Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: MariaChiraOtaku    03/05/2012    1 recensioni
Quando scoppiò la Terza Guerra Mondiale nessuno avrebbe potuto prevederne l'esito. Il mondo cambiò volto e i neri divennero sovrani di una nuova realtà. Cassian, ragazzo bianco di genitori neri, vive in Italia e nemmeno nei suoi sogni più folli potrebbe mai immaginare cosa gli succederà.
Complotti, minacce e tradimenti. Cosa si cela dietro una sconfitta?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mi alzai dal divano di Bianca e mi stiracchiai. Odiavo dormire sul divano, ma mi sembrava ancora presto per condividere il letto con Bianca. Lei dormiva ancora ma non mi preoccupavo per l’ora: quel giorno avevamo deciso di non andare a scuola e Bianca aveva passato buona parte della notte sveglia, troppo agitata per prendere sonno. Io mi ero addormentato solo dopo essermi assicurato che si fosse addormentata e, alla fine, mi ero coricato alle tre.
Lanciai uno sguardo all’orologio e mi accorsi che erano solo le otto. Il sole era già alto all’orizzonte e la città in pieno movimento. I clacson delle macchine si alzavano dalle strade, il suono era a mala pena filtrato dalle sottili finestre di vetro. La casa era leggermente buia, in quanto delle tende rosse impedivano ai raggi del sole di illuminarla completamente.
Non sapendo cosa fare andai in bagno e mi lavai per poi vestirmi in tutto silenzio. I vestiti puliti me li aveva procurati Michael, un giorno che era venuto a darci notizie riguardo il processo.
- Questi sono per te – mi aveva detto, lanciandomi una busta piena di vestiti.
- Non dovevi – tentai di protestare io.
- Non dirlo neanche per scherzo! – sbraitò lui – Questi cosi mi sono costati una fortuna, senza contare che non voglio che mia nipote conviva con un barbone… accettali e basta, non lamentarti! -.
Mentre mi mettevo una maglietta nera con il logo dei News, un gruppo POP formatosi nel 2099, pensavo che avevo avuto fortuna ad incontrare Michael. Grazie a lui stavamo per fare il processo e non era da tutti accettare di difendere un branco di bianchi allo sbaraglio.
Infilai un paio di pantaloni e tornai in camera. Ero appena uscito dal bagno quando vidi Bianca, in canottiera e pantaloncini, ferma davanti alle finestre che davano sulla strada.
- Già sveglia? – le chiesi, avvicinandomi a lei – Sono solo le otto e mezza… -.
- Lo so – rispose lei, stropicciandosi gli occhi – solo che non riuscivo a dormire bene, così mi sono alzata -.
Le poggiai una mano sul fianco e le diedi un bacio sulla guancia.
- Facciamo colazione? – proposi, prendendole la mano. Cercammo di non pensare a cosa avremmo dovuto fare quella notte e passammo una mattinata normale.
- Voglio fare una cosa – annunciai verso le due. Lei mi lanciò uno sguardo sospettoso.
- Devo preoccuparmi? – mi chiese, con falsa paura. Ridacchiai e la trascinai sul letto.
- Aspetta qui – le mormorai. Mi avvicinai alla mia cartella e tirai fuori il blocco da disegno e una matita.
- Oh, no! – lei scoppiò a ridere, mentre io mi sedevo sul letto vicino a lei – Vuoi farmi un ritratto? -.
- Esatto – affermai io, sistemandomi tra le lenzuola.
-  Ma mi vergogno! – protestò lei.
- Di cosa? – sbuffai io, facendola stendere sul letto. Adoravo prenderla in giro, soprattutto perché tutte le volte che mi facevo più vicino lei arrossiva. In quel momento, il suo volto era una maschera rossa. Io spinsi il mio petto contro il suo e trattenni un sorriso.
- Non voglio che tu mi ritragga – sussurrò, ma i suoi occhi era completamente rapiti dai miei.
- Sicura? – le mormorai, avvicinando il mio naso al suo collo. Lei deglutì. Io la bacia sul mento e lei trattenne il respiro.
- In effetti – si arrese, quando le passai una mano sul fianco – potrei anche fare uno sacrificio -.
- Bene! – io mi alzai di botto. Lei aprì gli occhi di colpo e mi guardò, con occhi fiammeggianti.
- Mi hai preso in giro?! -.
- Certo – riposi – ma il fine giustifica i mezzi, no? -.
- Scemo! – lei rideva mentre parlava e io le diedi un bacio leggero sulle labbra come segno di ringraziamento.
- Non ti perdono lo stesso – mi avvisò, ma io non le diedi ascolto e presi il fogli e la matita.
- Come mi devo mettere? – mi domandò, impacciata.
Io la osservai un attimo – Alza il braccio sopra la testa… piega la gamba destre e metti il braccio sinistro vicino l’ombelico… la testa un po’ più in alto e non coprirti gli occhi con la mano! -.
- Così va bene, oh mio artista? – mi chiese, con una voce profonda.
- Grazie, mia musa, penso vada bene – io stetti al gioco per un po’, poi iniziai a disegnarla.
Era la prima volta che disegnavo un corpo umano e la cosa,  all’inizio, si rivelò difficile ma ci feci la mano dopo poco e, in brave, iniziai a disegnare più tranquillamente.
Alzavo di rado gli occhi dal foglio e facevo scorrere velocemente la mano sul foglio.
Bianca non si mosse di un millimetro: teneva lo sguardo fisso su di me e io mi sentivo abbastanza in soggezione, anche perché mi accorsi che i suoi occhi seguivano ogni mio movimento. Non parlai per tutto il tempo del disegno: mi ci volle circa un’ora per terminarlo.
Alla fine osservai la mia opera, soddisfatto.
- Voglio vederlo! – mi gridò, sporgendosi verso di me.
- Aspetta! – le mi si lanciò contro e, in un attimo, ci ritrovammo a terra. Sbattei la testa per terra e Bianca mi cadde addosso.
- Ops… - mormorò lei.
- Ops?! Mi sei caduta sopra! – le feci notare ma non riuscii a trattenermi dal ridere.
Lei ridacchiò, poi si mise pancia in su e mi prese la tavola dalle mani.
- Ehy! Ti faccio notare che sei ancora spalmata su di me! – le dissi.
- Comportati da uomo e non lamentarti – mi rispose lei, osservando il disegno.
Io arrossii – Se non ti piace puoi dirmelo… -.
- È bellissimo – mi zittì lei, passando una mano tremante sul foglio – una delle cose più belle che abbia mai visto -.
- Ora esageri – mormorai io ma ero soddisfatto del risultato ottenuto.
- Posso tenerlo? – mi chiese ad un tratto.
- Certo, dopo tutto lo ho fatto per te – le feci presenti.
- Allora lo vado ad attaccare -. Finalmente si alzò dal mio petto e corse alla parete. Io mi rialzai e mi sedetti sul bordo del letto. Bianca attaccò il ritratto tra le foto e ne staccò una, poi me la diede. Era la foto di lei che mangiava il gelato, quella che avevo visto il giorno del nostro primo bacio.
Sorrisi e misi con cura la foto nel mio zaino. Erano le tre e mezza circa. Mangiammo con calma un piatto di insalata e guardammo la televisione. Io le feci sentire qualche canzone dal iPod e lei mi insegnò ad usare la macchina fotografica. Cercammo di tenerci occupati il più possibile ma, alle otto, il peso di quello che stavamo per fare ci piombò addosso.
Lei iniziò a farsi silenziosa e io mi accorsi che era persa nei suoi pensieri.
Era seduta per terra ad osservare le foto. Io mi misi dietro di lei e la strinsi, facendola stendere sopra di me e le diedi un bacio sulla nuca.
- Andrà bene – le sussurrai.
- Lo so, stupido – mi rispose. Io sorrisi – E allora perché sei così silenziosa? -.
Lei sbuffò – Non sono fatti tuoi! -.
- Si certo - le massaggiai la pancia – non sei proprio capace a mentire -.
- Ti sentiresti meglio se ti dicessi che ho paura di entrare nella scuola? – mi domandò.
- Di cosa hai paura? Ci sarò io con te! -.
- Non è questo – mormorò.
- E quindi cosa? -.
- Ho una brutta sensazione -.
- Che sensazione? – indagai io, incuriosito.
Lei si mosse un po’ a disagio – Non so come dire: è come se sentissi un peso all’altezza del petto. Sento la gola chiusa e la gambe molli. Mi fa male il centro del petto e ogni volta che respiro sento come una piccola scossa salire fino al naso. Non è per nulla piacevole -. Io ascoltai la sua spiegazione e, con calma, le dissi che, semplicemente, era in ansia.
- Tu non ti senti così? -.
- Certo che mi sento così – riposi – solo che io sono un ragazzo e tu sei  la mia ragazza: non posso farmi vedere debole e spaventato. Io devo essere forte perché devo poter essere per te un punto d’appoggio -.
- Che stupidaggine – borbottò.
- No, invece. Se io mi dimostro forte tu potrai dividere il peso delle tue preoccupazioni senza sentirti in colpa. Se io mi mostrassi debole non riusciresti ad parlarmi di tutto quello che pensi, perché avresti paura di ferirmi. Ebbene, sappi che io sono qui -.
Lei non rispose per molto tempo. Poi, si girò verso di me e mi carezzò la guancia – Grazie – mi sussurrò.
Io le sorrisi e la cullai tra le braccia. Passai molto tempo con Bianca sul petto: lei si addormentò dopo poco e io rimasi solo con me stesso.
Le macchine in strada continuavano a sfrecciare, sentivo il suono dei clacson anche a quell’ora e i lampioni si erano accesi da poco.
La stanza era scura, dato che le luci erano ancora spenti e il ticchettio dell’orologio della stanza mi dava leggermente fastidio. Sentivo anche il suono della lavatrice in bagno e anche il respiro di Bianca contro il mio petto. Silenziosamente, le carezzai la testa.
La guardai in volto: com’era bella. E, mentre la guardavo, giurai che quella notte l’avrei protetta con tutto me stesso. Non avrebbe mai più pianto.
Alle undici e mezza la svegliai e ci recammo, mano nella mano, alla scuola. Lei era tesa, ma io la condussi a destinazione mostrandomi falsamente tranquillo. Le strade erano quasi deserte e le macchine molto rare. Indossammo comunque il cappuccio e mantenemmo lo sguardo basso.
Quando arrivammo trovammo gli altri già lì. Li salutammo e ci abbassammo i cappucci. Loro risposero al saluto.
- Siamo tutti? – chiesi io.
Laila annuì e indicò la porta, chiusa con un lucchetto – Iniziamo con quella -. Ci mettemmo subito in azione.
Bianca prese un piccolo coltellino multi uso e ne cacciò fuori un piccolo e sottile pezzo di ferro. Lo inserì nel lucchetto e, mentre io le facevo luce, Laila e Tommy controllavano le scale, mentre Paula ci stava dietro, assicurandosi che nessuno ci osservasse.
Passarono dei secondi interminabili, ma, alla fine, il lucchetto scattò. Bianca sorrise e abbassò la maniglia.
Che peccato, che in quel momento non ci accorgemmo degli allarmi posti appena dietro la porta. Se lo avessimo fatto avremmo evitato di entrare in tutta fretta in scuola. Gli allarmi erano alla base della porta e scattarono appena entrammo. Io sapevo bene come funzionavano, ne avevo visti tanti: non appena rilevavano una presenza partiva la chiamata automatica alla polizia. Eravamo stati così incauti da non controllare la porta e ci eravamo condannati.
Entrammo nella scuola e trovammo, come previsto, le guardie addormentate: erano due vecchietti sui settanta e li superammo senza difficoltà. Salimmo nella mia classe e ci demmo da fare per accendere le telecamere.
- Poi farlo? – chiesi a Paula, collegando il suo computer alle telecamere.
- Certo che posso – mi rispose, spezzante. Accese velocemente il computer.
Intanto, la polizia si stava avvicinando alla scuola, ma io questo non lo sapevo. I poliziotti erano scesi dalle auto e si stavano posizionando sotto le scale. La mia classe, purtroppo, non affacciava sulla strada, ma sul cortile quindi non vidi le macchine parcheggiate fuori.
Paula ci mise dieci minuti per superare il sistema della scuola e, pochi secondi dopo, le telecamere erano in funzione. Un piccolo bip fece accendere una luce rossa sopra le macchine che iniziarono a muoversi, seguendo gli ordini di Paula, che le controllava con il mouse. Io esulati in silenzio e la diedi una pacca sulla spalla.
Laila mi batté il cinque e Bianca sospirò di sollievo. Veloci, scendemmo per le scale.
Intanto, la polizia si nascondeva dietro le scale e aspettavano il nostro arrivo con le pistole in mano.
La scena fu tragica. Eravamo appena usciti dai cancelli della scuola e io ero… felice, già. Tenevo la mano di Bianca, che sorrideva e Laila stava parlando con Tommy di cosa fare con i soldi che avrebbero ottenuto vincendo il processo.
Un attimo prima ero il ragazzo più felce della terra,  una attimo dopo ero circondato da poliziotti e accecato dalla luce di decine di torce. Per un attimo non capii cosa fosse successo. Il mio cervello ci mise qualche secondo per capire che ci avevano beccato. La mia mente era ancora concentrata sulla gioia che avevo provato per accettare il dolore e la paura.
Girai lo sguardo verso Bianca e nei suoi occhi vidi la stessa paura che, probabilmente, stava invadendo i miei.
- A terra! – gridavano i poliziotti, mirandoci con le pistole – A terra, bastardi! -. Noi ci abbassammo lentamente.
- Presi – sussurrò un poliziotto alla radio – ora li mostriamo al signor Ferri -. Io sentii il respiro mancare.
Non può essere. Queste tre parole si ripetevano nella mia mente, continue. Alzai gli occhi e vidi, disperato, Michael farsi spazio tra i poliziotti. Indossava un vestito costoso e gli occhiali da sole.
- Sono loro – confermò al poliziotto – non è così? -.
Si voltò e un ragazzo inconfondibile si sporse verso di noi. Steven ci osservò per un secondo.
– Si, papà, sono loro, riconoscerei quell’idiota di Tommaso ovunque – ghignò. Io guardai Laila ma il dolore che traboccava dai suoi occhi era indescrivibile, paragonabile solo a quello di Bianca.
Tommy, invece, era immobile. Non respirava nemmeno e teneva le braccia inerti lungo i fianchi. Gli occhi erano sbarrati e la bocca semi aperta. Era completamente spiazzato. Steven sorrise e gli mostrò il dito medio.
- Idiota! Fa qualcosa! – lo incitò, divertito. Tommy iniziò a tremare e il suo respiro si fece irregolare. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e il naso gli divenne rosso. Laila, inerme al suo fianco, osservava il pavimento sconvolta. – Finita – mormorava – è finita… -.
- Fottetevi! –. L’urlo di Tommy fu agghiacciante. Io sobbalzai e lo vidi saltare in piedi, con il viso solcato dalle lacrime. In un attimo spinse Michael contro i poliziotti e afferrò Steven per la camicia, alzandolo di peso dalla sedia a rotelle.
- Come!?! – gli urlò, sbattendolo a terra. Steven gemette – Come hai potuto?! Lurido verme! Sei un bastardo senza palle! – Tommy gli tirò un pugno sul naso e alla pancia ma Michael lo prese alle spalle e lo gettò contro le scale. Tommy allora, infuriato, scattò contro i poliziotti, che non aspettavano che quello. Un colpo di pistola colpì il mio amico alla spalla e un altro alla gamba. Tommy gemette e gridò, prima di accasciarsi al suolo. Laila si riscosse di botto e, con un grido, e si affretto a soccorrerlo ma i poliziotti le spararono al piede costringendola a terra. Lei si lasciò sfuggire una lacrima e si trascinò vicino a Tommy.
- Si! – gridava Steven, sostenuto dal padre – Uccidete quei bastardi se lo meritano! -.
Io stavo per saltargli addosso quando vidi un poliziotto mirare Bianca.
“No!”.
Ora, non so bene cosa pensai. La mia mente era offuscata ma il mio corpo gridava solo una cosa “PROTEGILA!”. L’istinto mi gridava “FAI QUALCHE COSA!”.
Mi lancia davanti a Bianca e la spinsi a terra. Lei cadde vicino a Laila e alzò gli occhi giusto in tempo per vedere il proiettile colpirmi al fianco destro.
Io sentii il dolore e mi accasciai, poggiando le ginocchia a terra. Ne sapevo e come di medicina e sapevo che il colpo era grave, ma non letale. Il proiettile si era fermato nel fianco ma non aveva colpito nessun organo. Il sangue, però, usciva e come. Un altro colpo alla coscia mi fece cadere all’indietro e mi ritrovai faccia a faccia con Bianca. Lei piangeva.
Io sorrisi. – Non… piangere… Bianca, no… non… - tossii violentemente e lei mi carezzò il volto, piangendo a dirotto. – No… - sussurrai, prendendole la mano. Sentivo i passi dei poliziotti farsi più vicini e gli strepiti di Steven, così attirai Bianca a me e la baciai. Lei piangeva ancora, ma rispose al bacio, singhiozzando.
- Scusa – mormorai contro le sue labbra – ti ho… fatto piangere…. avevo giurato che non sarebbe… più successo -. Sentivo la testa girare ma non potevo lasciarla sola in quel momento. I poliziotti erano vicinissimi.
- Bianca? – la chiamai. Lei, ancora con i viso vicino al mio, sussultò.
- Ti amo – le sussurrai – come non ho mai amato nessuno -.
La sentii deglutire – Ti amo – sussurrò al mio orecchio. Io sorrisi – Bene – mormorai – questa è una bella cosa -.
Poi i poliziotti ci raggiunsero e sentii le mani di lei allontanarsi dal mio corpo. Sentii Tommy gridare e Laila bestemmiare. Vidi Paula abbracciare Bianca, mentre i poliziotti la caricavano in macchina. Steven era seduto su un lettino di un ambulanza e i poliziotti stavano parlando fitto con Michael che sorrideva, sereno. Io fui lanciato in una macchina insieme a un medico. Ma io, quando fui sicuro che Bianca non poteva più vedermi, svenni.
“Almeno” mi dissi, mentre perdevo i sensi “sei riuscito a proteggerla. Bravo, Cassian”

******** Che capitolo... tragico. Scusatemi ma non ho molto da dire. Grazie a chi legge e chi segue. Ciao ciao.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: MariaChiraOtaku