NESSUNO
di Kuno84
Ni-hao a tutti. L’ultimo capitolo di WaPB è ormai in
dirittura d’arrivo, ma nel frattempo ho deciso di rifarmi vivo pubblicando
questo: una one-shot scritta durante l’estate, che rappresenta l’ennesimo
esperimento e il tentativo di realizzare qualcosa di diverso dai miei consueti
canoni. Conto sul vostro giudizio, come sempre!
DISCLAIMER. Ranma & Co. non mi appartengono
(purtroppo) ma sono frutto della geniale mente di Rumiko Takahashi. La storia
che segue è invece farina del mio sacco. Buona lettura!
Un viaggio mi aspetta.
Un viaggio molto, troppo lungo. Mi
mancherà, Nerima. Mi mancheranno, questi tetti. Purtroppo, però, non è più
nelle mie facoltà rimandare oltre l’inevitabile partenza.
“Arrivederci, mia
dolce Akane-san…”
La frase mi è uscita
spontanea dalle labbra. Segno che, anche adesso, lei è nei miei pensieri. Mi
sto chiedendo… si accorgerà della mia assenza? Si ricorderà di me? Forse,
magari, io potrei… anche… mancarle?
Che sciocco che sono!
Riecco che prendo a sognare. So benissimo di non contare nulla, nel cuore di
Akane.
Solamente un povero
sciocco. Se già la speranza irrazionale che lei un giorno sarebbe venuta a
conoscenza dei miei sentimenti e questo la avrebbe spinta a ricambiarli, se già
questa speranza era di per sé stupida quanto tenue e come aggrappata ad un
filo, ebbene negli ultimi tempi tutto è precipitato. E sento di non poter fare
più presa nemmeno su quel filo: perché, spezzandosi tutto d’un colpo, non
farebbe che lasciarmi cadere, crollare pesantemente proprio sulla profonda
ferita che mi corrode il cuore. E farebbe ancora più male.
Tutto è precipitato.
E’ sorto un ostacolo. Ed ha un nome.
Ranma Saotome.
Quel maledetto!
Prepotente, sbruffone, insolente, egocentrico. Eppure, lui gode di tutto ciò di
cui la sorte mi ha sempre privato. E’ stimato, ammirato, amato. Amato… già,
tutte quelle ragazze, pronte a qualunque cosa per il suo amore. Da dove gli
viene quel fascino, quel carisma? E come fa a trovarsi sempre immancabilmente
al centro dell’attenzione? Me lo chiedo da quando l’ho conosciuto. Ma non sono
ancora riuscito a trovare una risposta.
E poi è forte. Lo è
maledettamente. Forte quanto mai io potrò diventarlo. E dire che per molto
tempo avevo sperato di poterlo sconfiggere. Poi mi sono arreso di fronte
all’amara verità. Infatti, se anche… se anche riuscissi nell’intento, non
potrei mai cambiare un dato di fatto.
Akane non pensa che a
lui.
Certo, questo non è
esplicito. Si nota, tuttavia, da tanti piccoli indizi. Sono bravo a notare
certi segnali. Al contrario di quel buzzurro di Ranma, sono un osservatore
attento, io. Del resto, lo dicono: questa è una dote tipicamente consona alle
persone sole ed introverse. Insomma, i tipi come me.
La solitudine è il mio
destino. Non ho nessun amico e la mia presenza passa inosservata al mondo
circostante. No. Akane non attenderà il mio ritorno. Ma non solo lei. Nessuno
si accorgerà della mia mancanza: la vita quotidiana di tutti proseguirà
monotona senza di me, senza che nessuno noterà alcuna differenza. Tanto, sono
ben cosciente che nessuno mi considera né lo ha mai fatto.
Dire che io mi sarei
accontentato di così poco! Non mi
importa degli altri. Non me n’è mai importato. Ma lei... se lei solo si voltava
nella mia direzione e mi rivolgeva il proprio saluto, guardandomi con
gentilezza e accennando uno dei propri sorrisi – tutto, unicamente dedicato a me – allora ciò solo bastava perché
l’intera giornata acquisisse la ragione d’essere: e la luce del mattino sarebbe
stata, per me, quella emanata dal suo candido volto; i raggi del sole, quelli
sprigionati dal caldo sorriso; e la musica del creato, il suono della sua voce
che mi rivolgeva la parola.
Ciò mi bastava, prima.
Ora, perché non è più così?
Mi lascio sfuggire un
triste sospiro.
La mia è una domanda
retorica. Lo conosco, il motivo.
Akane non comprende
quello che provo per lei, al più mi vede come un amico. Come può bastarmi? Forse, anzi sicuramente Akane è stata
l’unica persona ad essersi mostrata gentile con me – l’unica che al contrario
degli altri, in un certo senso, mi abbia mai offerto la propria amicizia: ma
questo, che espresso da un qualunque altro essere umano sulla faccia del
pianeta mi avrebbe riempito di gioia, questo, al contrario, mi strazia
inarrestabilmente l’anima. E rende la mia sofferenza, se possibile, ancora più
atroce.
Non può essere
altrimenti, dato che ora, al centro
dei suoi pensieri, c’è quello lì.
Quell’imbecille di Ranma.
Maledetto Saotome!
Maledetto Saotome! Maledetto Saotome! Lo odio. Come lo odio! Ma non è per
questo che soffro, non è perché si tratta di lui. Almeno, non solo per questo.
So che in realtà soffrirei allo stesso modo, chiunque occupasse il posto del
cuore di Akane. Basterebbe comunque la consapevolezza che quella persona non sono io.
No. Non posso restare
un minuto di più.
Ho preso la mia
decisione.
Il mio viaggio sarà
ancora più lungo di quel che mi ero figurato fino a solamente pochi minuti fa.
E avrà un termine soltanto quando sarò in grado di trovare un frammento di
serenità. Ovvero, quando il mio cuore sarà riuscito a dimenticarla.
E così sarà. Estraggo
dalla tasca un fazzoletto di seta ricamato. Da lei. Conteneva uno dei suoi
pranzi, che quell'ingrato come al solito si era rifiutato di assaggiare. Io
l'ho raccolto da terra, dove era finito in seguito al loro inevitabile litigio.
Ma ora ho deciso che non mi servirà più. E lo lascio cadere, permettendogli di
tornare al suo posto. Come se io non ci fossi mai stato.
Mi isso sulle spalle
un grosso zaino da viaggio.
Le rivolgo mentalmente
un ultimo saluto.
‛Addio, Akane-san…’
Sto per partire.
Tanto, nessuno noterà
la differenza.
Basta indugiare, mi
dico. Dopotutto, è così semplice.
E faccio il primo
passo in avanti.
…
…
…
Non riusciva a credere
ai propri sensi. Eppure, il passante cui aveva chiesto indicazioni era stato
più che chiaro: la città dove si trovava era Tokyo, il quartiere era Nerima.
Nerima. Erano passati ben tre mesi, dall’ultima volta che era stato in questi
posti. Gli pareva un’eternità.
Era incredibile,
giudicò, come il tempo fosse in grado di rimarginare anche le ferite più
profonde. Ryoga Hibiki ricordava di essere partito col cuore gonfio di
malinconia, accompagnato solo dallo sguardo luminescente delle stelle, che con
il loro brillio incerto parevano commuoversi per il suo triste destino. La
ricordava bene, la sera della propria partenza. Non vedeva alcun avvenire
felice, davanti a sé. Ebbene, adesso era tornato ed era nuovamente carico di
ottimismo e deciso più che mai a dichiararsi.
‛Tadaima!’ pensò, scherzosamente, tra sé (¹). Dopotutto la sua
casa, quella vera, era quasi sempre deserta… e del resto, tutte le persone che
conosceva si trovavano, in quel momento, a pochi passi di cammino da lui.
Abbassò distrattamente
il volto. Accade, talvolta. Qualcosa come un presentimento. Che ti porta a
compiere quel dato gesto. Un gesto
che tu probabilmente, anzi sicuramente non avresti commesso. Ma l’hai fatto. E
questo ti condiziona immancabilmente il futuro. Combinazione, la chiamano.
Ebbene, Ryoga ebbe l’impulso immotivato di girare lo sguardo, mirando
meccanicamente pochi centimetri di là dai suoi piedi. E ciò che vide, e che
quasi sicuramente non avrebbe visto né dovuto vedere, né in quel momento né mai
più, gli serrò il cuore in gola. E le parole presero a fluire velocemente
davanti ai suoi occhi.
Morte nel liceo
Furinkan. L’istituto testimone della disgrazia di uno dei propri studenti.
Si fermò. Il mondo
prese a rovinargli addosso: per un lungo eterno istante, credette di non capire
più niente, mentre una paura innominata prendeva il sopravvento sul proprio
istinto di sopravvivenza, impedendogli di respirare. Cercò di raccapezzarsi e
di recuperare un poco appena di lucidità. Il buon senso gli venne infine a
spiegare che stava leggendo il titolo di un foglio di giornale, che giaceva
abbandonato per terra, logorato dal tempo impietoso.
Portava la data di
qualche giorno prima. Ryoga tornò a fissare il titolo e sbirciò
involontariamente anche una delle righe sottostanti.
Il suo corpo trovato
nella piscina del complesso. Liceale, frequentava la 1-F.
La 1-F. La classe che
frequentava… Ryoga si capacitò pienamente solo in quell’istante di trovarsi di
fronte ad un avvenimento reale. Gli
venne in mente che lei non sapeva
nuotare. Si maledisse, subito dopo, per essersene ricordato. Era un caso, di
sicuro. Doveva esserlo. Lesse ancora,
pregando che non si trattasse di ciò che più temeva. Che Akane non c’entrasse
nulla.
Fu accontentato. La
frase successiva iniziava con “lo
studente” e questo metteva a tacere inconfutabilmente gli incubi affiorati
dalle tane più cupe e remote dell’inconscio del ragazzo con la bandana.
Raccolse il foglio e continuò a leggere. I passi successivi dell’articolo
spiegavano che il ragazzo era stato trovato sul fondo della piscina, a pancia
in su, con indosso alle spalle uno zaino riempito di roba molto pesante che lo
ancorava sott’acqua. Più che attendibile l’ipotesi del suicidio. La porta che dava alla sommità dell’edificio, cioè la
terrazza della scuola, vale a dire giusto parecchi metri sopra la piscina, era
stata, infatti, trovata spalancata. Molto probabilmente, il disgraziato aveva
deciso di buttarsi: e se già non avesse perso conoscenza a causa del violento
impatto con l’acqua, il peso gli avrebbe in ogni caso impedito di riemergere a
galla.
L’articolo si chiudeva
con delle supposizioni che tiravano ad indovinare sul motivo di tale gesto. In
realtà, venivano solo messe insieme alcune informazioni. La sua famiglia stava
traslocando: il padre aveva trovato un nuovo lavoro ad Osaka e probabilmente
sarebbero passati anni, prima che avessero potuto fare ritorno a Tokyo. Proprio
il giorno che seguiva alla supposta notte della disgrazia, proprio quello era
il giorno prefisso per la partenza. Una nota stonata, in tutta la vicenda, il
fatto che nessuno dei compagni fosse al corrente di questo prossimo
trasferimento. Forse il ragazzo aveva tenuto tutto nascosto ai compagni, non
avendo alcun’intenzione di lasciare i luoghi dov’era cresciuto. Forse.
Uno studente. Ripensandoci un'altra volta, Ryoga non poté
fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: salvo pentirsene, un solo momento
più tardi, richiamato dalla propria coscienza. Insomma, una persona era
comunque morta. Anzi, dato che la notizia riguardava un compagno di classe di
Akane, poteva anche trattarsi di qualcuno che lo stesso Ryoga conosceva. Certo,
non lui. Non Ranma, di sicuro.
Impossibile, era l’ultima persona al mondo che considerava capace di un gesto
tanto estremo. Un’ipotesi da scartare, assolutamente.
Ma poi, perché porsi
tante domande? Sarebbe bastato tornare indietro con la lettura. A quella prima
riga tanto temuta e saltata fin dall’inizio. Doveva farlo, non sarebbe servito
a niente rimandare lo scontro con la realtà. Non era mai fuggito ad uno
scontro, lui. Prese coraggio e tornò a scorrere le parole con lo sguardo, augurandosi
istintivamente che non si trattasse di qualcuno che conoscesse.
Fu accontentato una
seconda volta. Il giornalista si era curato di riportare cognome e nome dello
sventurato.
Gosunkugi Hikaru.
Ryoga rilesse entrambi
una e due e tre volte.
Non gli dicevano
nulla.
Riprese a camminare. Ignaro che in quello stesso preciso istante
una folata di vento aveva levato da terra un fazzoletto di seta che giaceva da
tempo inosservato sul pavimento della terrazza del Furinkan, disperdendolo
oltre l'orizzonte.
‛Chissà chi era…’ pensò, con un
misto di pietà e compassione, mentre il richiamo della vita lo dirigeva
inconsapevolmente verso l’abitazione dei Tendo.
(¹) Tadaima! = “Sono a casa!”