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Autore: Kuno84    26/11/2006    7 recensioni
Si sta accingendo a partire.
Lo aspetta un lungo viaggio.
Ha appena preso una decisione.
Questo viaggio avrà termine solo quando sarà riuscito a dimenticarla...
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikaru Gosunkugi, Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NESSUNO

di Kuno84

 

 

Ni-hao a tutti. L’ultimo capitolo di WaPB è ormai in dirittura d’arrivo, ma nel frattempo ho deciso di rifarmi vivo pubblicando questo: una one-shot scritta durante l’estate, che rappresenta l’ennesimo esperimento e il tentativo di realizzare qualcosa di diverso dai miei consueti canoni. Conto sul vostro giudizio, come sempre!

 

DISCLAIMER. Ranma & Co. non mi appartengono (purtroppo) ma sono frutto della geniale mente di Rumiko Takahashi. La storia che segue è invece farina del mio sacco. Buona lettura!

 

Volgo un ultimo sguardo alla città che si estende sotto di me, avvolta nei pallidi bagliori notturni. Qui dall’alto posso distinguere chiaramente i contorni delle case e dei tetti, delineati dal chiarore della luna e degli astri. Ormai li conosco a memoria, a dire il vero. Li vedrei anche ad occhi chiusi. Questo è, ed è sempre stato, il mio punto d’osservazione preferito. E a ragione: si gode di una vista magnifica. Per un momento appena, mi dispiace amaramente la consapevolezza che non potrò dilettarmene, in futuro.

Un viaggio mi aspetta. Un viaggio molto, troppo lungo. Mi mancherà, Nerima. Mi mancheranno, questi tetti. Purtroppo, però, non è più nelle mie facoltà rimandare oltre l’inevitabile partenza.

“Arrivederci, mia dolce Akane-san…”

La frase mi è uscita spontanea dalle labbra. Segno che, anche adesso, lei è nei miei pensieri. Mi sto chiedendo… si accorgerà della mia assenza? Si ricorderà di me? Forse, magari, io potrei… anche… mancarle?

Che sciocco che sono! Riecco che prendo a sognare. So benissimo di non contare nulla, nel cuore di Akane.

Solamente un povero sciocco. Se già la speranza irrazionale che lei un giorno sarebbe venuta a conoscenza dei miei sentimenti e questo la avrebbe spinta a ricambiarli, se già questa speranza era di per sé stupida quanto tenue e come aggrappata ad un filo, ebbene negli ultimi tempi tutto è precipitato. E sento di non poter fare più presa nemmeno su quel filo: perché, spezzandosi tutto d’un colpo, non farebbe che lasciarmi cadere, crollare pesantemente proprio sulla profonda ferita che mi corrode il cuore. E farebbe ancora più male.

Tutto è precipitato. E’ sorto un ostacolo. Ed ha un nome.

Ranma Saotome.

Quel maledetto! Prepotente, sbruffone, insolente, egocentrico. Eppure, lui gode di tutto ciò di cui la sorte mi ha sempre privato. E’ stimato, ammirato, amato. Amato… già, tutte quelle ragazze, pronte a qualunque cosa per il suo amore. Da dove gli viene quel fascino, quel carisma? E come fa a trovarsi sempre immancabilmente al centro dell’attenzione? Me lo chiedo da quando l’ho conosciuto. Ma non sono ancora riuscito a trovare una risposta.

E poi è forte. Lo è maledettamente. Forte quanto mai io potrò diventarlo. E dire che per molto tempo avevo sperato di poterlo sconfiggere. Poi mi sono arreso di fronte all’amara verità. Infatti, se anche… se anche riuscissi nell’intento, non potrei mai cambiare un dato di fatto.

Akane non pensa che a lui.

Certo, questo non è esplicito. Si nota, tuttavia, da tanti piccoli indizi. Sono bravo a notare certi segnali. Al contrario di quel buzzurro di Ranma, sono un osservatore attento, io. Del resto, lo dicono: questa è una dote tipicamente consona alle persone sole ed introverse. Insomma, i tipi come me.

La solitudine è il mio destino. Non ho nessun amico e la mia presenza passa inosservata al mondo circostante. No. Akane non attenderà il mio ritorno. Ma non solo lei. Nessuno si accorgerà della mia mancanza: la vita quotidiana di tutti proseguirà monotona senza di me, senza che nessuno noterà alcuna differenza. Tanto, sono ben cosciente che nessuno mi considera né lo ha mai fatto.

Dire che io mi sarei accontentato di così poco! Non mi importa degli altri. Non me n’è mai importato. Ma lei... se lei solo si voltava nella mia direzione e mi rivolgeva il proprio saluto, guardandomi con gentilezza e accennando uno dei propri sorrisi – tutto, unicamente dedicato a me – allora ciò solo bastava perché l’intera giornata acquisisse la ragione d’essere: e la luce del mattino sarebbe stata, per me, quella emanata dal suo candido volto; i raggi del sole, quelli sprigionati dal caldo sorriso; e la musica del creato, il suono della sua voce che mi rivolgeva la parola.     

Ciò mi bastava, prima. Ora, perché non è più così?

Mi lascio sfuggire un triste sospiro.

La mia è una domanda retorica. Lo conosco, il motivo.

Akane non comprende quello che provo per lei, al più mi vede come un amico. Come può bastarmi? Forse, anzi sicuramente Akane è stata l’unica persona ad essersi mostrata gentile con me – l’unica che al contrario degli altri, in un certo senso, mi abbia mai offerto la propria amicizia: ma questo, che espresso da un qualunque altro essere umano sulla faccia del pianeta mi avrebbe riempito di gioia, questo, al contrario, mi strazia inarrestabilmente l’anima. E rende la mia sofferenza, se possibile, ancora più atroce.

Non può essere altrimenti, dato che ora, al centro dei suoi pensieri, c’è quello lì. Quell’imbecille di Ranma.

Maledetto Saotome! Maledetto Saotome! Maledetto Saotome! Lo odio. Come lo odio! Ma non è per questo che soffro, non è perché si tratta di lui. Almeno, non solo per questo. So che in realtà soffrirei allo stesso modo, chiunque occupasse il posto del cuore di Akane. Basterebbe comunque la consapevolezza che quella persona non sono io.

No. Non posso restare un minuto di più.       

Ho preso la mia decisione.

Il mio viaggio sarà ancora più lungo di quel che mi ero figurato fino a solamente pochi minuti fa. E avrà un termine soltanto quando sarò in grado di trovare un frammento di serenità. Ovvero, quando il mio cuore sarà riuscito a dimenticarla.

E così sarà. Estraggo dalla tasca un fazzoletto di seta ricamato. Da lei. Conteneva uno dei suoi pranzi, che quell'ingrato come al solito si era rifiutato di assaggiare. Io l'ho raccolto da terra, dove era finito in seguito al loro inevitabile litigio. Ma ora ho deciso che non mi servirà più. E lo lascio cadere, permettendogli di tornare al suo posto. Come se io non ci fossi mai stato.

Mi isso sulle spalle un grosso zaino da viaggio.

Le rivolgo mentalmente un ultimo saluto.

Addio, Akane-san

Sto per partire.

Tanto, nessuno noterà la differenza.

Basta indugiare, mi dico. Dopotutto, è così semplice.

E faccio il primo passo in avanti.

Non riusciva a credere ai propri sensi. Eppure, il passante cui aveva chiesto indicazioni era stato più che chiaro: la città dove si trovava era Tokyo, il quartiere era Nerima. Nerima. Erano passati ben tre mesi, dall’ultima volta che era stato in questi posti. Gli pareva un’eternità.

Era incredibile, giudicò, come il tempo fosse in grado di rimarginare anche le ferite più profonde. Ryoga Hibiki ricordava di essere partito col cuore gonfio di malinconia, accompagnato solo dallo sguardo luminescente delle stelle, che con il loro brillio incerto parevano commuoversi per il suo triste destino. La ricordava bene, la sera della propria partenza. Non vedeva alcun avvenire felice, davanti a sé. Ebbene, adesso era tornato ed era nuovamente carico di ottimismo e deciso più che mai a dichiararsi.

Tadaima! pensò, scherzosamente, tra sé (¹). Dopotutto la sua casa, quella vera, era quasi sempre deserta… e del resto, tutte le persone che conosceva si trovavano, in quel momento, a pochi passi di cammino da lui.

Abbassò distrattamente il volto. Accade, talvolta. Qualcosa come un presentimento. Che ti porta a compiere quel dato gesto. Un gesto che tu probabilmente, anzi sicuramente non avresti commesso. Ma l’hai fatto. E questo ti condiziona immancabilmente il futuro. Combinazione, la chiamano. Ebbene, Ryoga ebbe l’impulso immotivato di girare lo sguardo, mirando meccanicamente pochi centimetri di là dai suoi piedi. E ciò che vide, e che quasi sicuramente non avrebbe visto né dovuto vedere, né in quel momento né mai più, gli serrò il cuore in gola. E le parole presero a fluire velocemente davanti ai suoi occhi.

 

Morte nel liceo Furinkan. L’istituto testimone della disgrazia di uno dei propri studenti.

 

Si fermò. Il mondo prese a rovinargli addosso: per un lungo eterno istante, credette di non capire più niente, mentre una paura innominata prendeva il sopravvento sul proprio istinto di sopravvivenza, impedendogli di respirare. Cercò di raccapezzarsi e di recuperare un poco appena di lucidità. Il buon senso gli venne infine a spiegare che stava leggendo il titolo di un foglio di giornale, che giaceva abbandonato per terra, logorato dal tempo impietoso.

Portava la data di qualche giorno prima. Ryoga tornò a fissare il titolo e sbirciò involontariamente anche una delle righe sottostanti.

 

Il suo corpo trovato nella piscina del complesso. Liceale, frequentava la 1-F.

 

La 1-F. La classe che frequentava… Ryoga si capacitò pienamente solo in quell’istante di trovarsi di fronte ad un avvenimento reale. Gli venne in mente che lei non sapeva nuotare. Si maledisse, subito dopo, per essersene ricordato. Era un caso, di sicuro. Doveva esserlo. Lesse ancora, pregando che non si trattasse di ciò che più temeva. Che Akane non c’entrasse nulla.    

Fu accontentato. La frase successiva iniziava con “lo studente” e questo metteva a tacere inconfutabilmente gli incubi affiorati dalle tane più cupe e remote dell’inconscio del ragazzo con la bandana. Raccolse il foglio e continuò a leggere. I passi successivi dell’articolo spiegavano che il ragazzo era stato trovato sul fondo della piscina, a pancia in su, con indosso alle spalle uno zaino riempito di roba molto pesante che lo ancorava sott’acqua. Più che attendibile l’ipotesi del suicidio. La porta che dava alla sommità dell’edificio, cioè la terrazza della scuola, vale a dire giusto parecchi metri sopra la piscina, era stata, infatti, trovata spalancata. Molto probabilmente, il disgraziato aveva deciso di buttarsi: e se già non avesse perso conoscenza a causa del violento impatto con l’acqua, il peso gli avrebbe in ogni caso impedito di riemergere a galla.

L’articolo si chiudeva con delle supposizioni che tiravano ad indovinare sul motivo di tale gesto. In realtà, venivano solo messe insieme alcune informazioni. La sua famiglia stava traslocando: il padre aveva trovato un nuovo lavoro ad Osaka e probabilmente sarebbero passati anni, prima che avessero potuto fare ritorno a Tokyo. Proprio il giorno che seguiva alla supposta notte della disgrazia, proprio quello era il giorno prefisso per la partenza. Una nota stonata, in tutta la vicenda, il fatto che nessuno dei compagni fosse al corrente di questo prossimo trasferimento. Forse il ragazzo aveva tenuto tutto nascosto ai compagni, non avendo alcun’intenzione di lasciare i luoghi dov’era cresciuto. Forse.  

Uno studente. Ripensandoci un'altra volta, Ryoga non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: salvo pentirsene, un solo momento più tardi, richiamato dalla propria coscienza. Insomma, una persona era comunque morta. Anzi, dato che la notizia riguardava un compagno di classe di Akane, poteva anche trattarsi di qualcuno che lo stesso Ryoga conosceva. Certo, non lui. Non Ranma, di sicuro. Impossibile, era l’ultima persona al mondo che considerava capace di un gesto tanto estremo. Un’ipotesi da scartare, assolutamente.

Ma poi, perché porsi tante domande? Sarebbe bastato tornare indietro con la lettura. A quella prima riga tanto temuta e saltata fin dall’inizio. Doveva farlo, non sarebbe servito a niente rimandare lo scontro con la realtà. Non era mai fuggito ad uno scontro, lui. Prese coraggio e tornò a scorrere le parole con lo sguardo, augurandosi istintivamente che non si trattasse di qualcuno che conoscesse.

Fu accontentato una seconda volta. Il giornalista si era curato di riportare cognome e nome dello sventurato.

 

Gosunkugi Hikaru.

 

Ryoga rilesse entrambi una e due e tre volte.

Non gli dicevano nulla.  

Riprese a camminare. Ignaro che in quello stesso preciso istante una folata di vento aveva levato da terra un fazzoletto di seta che giaceva da tempo inosservato sul pavimento della terrazza del Furinkan, disperdendolo oltre l'orizzonte.

Chissà chi era…’ pensò, con un misto di pietà e compassione, mentre il richiamo della vita lo dirigeva inconsapevolmente verso l’abitazione dei Tendo.

 

 

(¹) Tadaima! = “Sono a casa!”

   
 
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