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Autore: SAranel    04/05/2012    6 recensioni
John lancia una curiosa sfida a Sherlock, che ovviamente poco crede della riuscita del buon dottore. Ma le cose potrebbero avere un risvolto decisamente inaspettato... che succederà?
“Tu resteresti seriamente sconvolto se ti elencassi tutto quello che sono capace di fare, con le mie mani” disse John con voce fiera e sicura, mentre Sherlock stava a guardarlo dall’altro capo del tavolo. Il detective alzò un sopracciglio.
“Nulla può sconvolgermi, lo sai” il detective specificò, unendo le mani e poggiandovi sopra il capo, come faceva spesso. I suoi occhi lo guardarono provocatori.
“Io potrei riuscirci” lo sfidò ancora il medico, con un sorriso sbarazzino in viso. Era deciso a non dargliela vinta, non quel giorno. Gli avrebbe detto il fatto suo, e nulla lo avrebbe fatto desistere. “Ne sono certo”.
Sherlock piegò le labbra nell’imitazione di un sorrisetto sarcastico e incrociò le mani tra loro.
“Fammi vedere allora. Sorprendimi”[...]
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao Fandom!
Cosa dire, ecco il mio secondo tentativo con qualcosina da rating rosso. Spero di non aver combinato un casino! :P
Sperando in bene, vi auguro buona lettura!

S.

 


Un talento naturale
*

 


“Tu resteresti seriamente sconvolto se ti elencassi tutto quello che sono capace di fare, con le mie mani” disse John con voce fiera e sicura, mentre Sherlock stava a guardarlo dall’altro capo del tavolo. Il detective alzò un sopracciglio.
“Nulla può sconvolgermi, lo sai” il detective specificò, unendo le mani e poggiandovi sopra il capo, come faceva spesso. I suoi occhi lo guardarono provocatori.
“Io potrei riuscirci” lo sfidò ancora il medico, con un sorriso sbarazzino in viso. Era deciso a non dargliela vinta, non quel giorno. Gli avrebbe detto il fatto suo, e nulla lo avrebbe fatto desistere. “Ne sono certo”.
Sherlock piegò le labbra nell’imitazione di un sorrisetto sarcastico e incrociò le mani tra loro.
“Fammi vedere allora. Sorprendimi” lo incoraggiò il detective sollevandosi dalla sedia per girarla verso il salone, come se fosse pressoché certo che John vi si sarebbe spostato.
John sbuffò, odiando quel suo insopportabile vizio di anticipare i suoi movimenti, e lo seguì. Si sistemò il maglioncino con le mani, cercando di non pensare al detective, come a volersi preparare al meglio, e dopo qualche minuto, con un complicato ed elaborato slancio si ritrovò a testa in giù sulla soglia del salotto, con le gambe ben bilanciate in aria e i piedi paralleli, così da prendere un giusto equilibrio. Prese a camminare sulle mani, (non senza un certo sforzo, ma questo a Sherlock non lo avrebbe mai detto) lungo il perimetro della sala, facendo elaborati cambi di rotta durante il percorso, alzando una mano e tenendosi in equilibrio precario con l’altra e viceversa, o facendo complicati giri su se stesso premendo con una certa forza i palmi sul pavimento. Quando pensò di averlo impressionato abbastanza, con un’ intricata piroetta tornò in posizione eretta, sistemandosi nuovamente i vestiti e guardando trionfante verso Sherlock. Era sicuro di aver fatto colpo, quella volta.
Il detective però, non si era scomposto di un minimo, anzi, il suo viso aveva assunto una strana e fastidiosa espressione di sufficienza.
“Tutto qui, John?” disse Sherlock, scuotendo la testa e tornando al suo microscopio, come se la cosa non lo avesse colpito nemmeno un po’. “Nessuna speciale predisposizione fisica, nessun particolare talento. Saprei farlo ad occhi chiusi” affermò.
John emise un rantolo deluso, rivolgendo una smorfia a Sherlock che non guardava.
Esisteva qualcosa capace di stupirlo che non contemplasse cadaveri, sangue ed enigmi cervellotici? John cominciava a dubitarne.
“Grazie mille. Sei sempre gentile” lo canzonò, ritornando anche lui ai fascicoli del caso. Guardava Sherlock sottecchi, come se meditasse di colpirlo con una delle cartelle, giusto per togliersi una soddisfazione.
“Sono solo obiettivo, John” rispose l’altro, rapito dal suo vetrino.
John sbuffò, risentito.

 

§

 

Una settimana dopo, Sherlock era con John al Barts, ad esaminare un corpo fresco di giornata che Molly aveva molto prontamente segnalato al detective.

“Segni di strangolamento” Sherlock disse fra sé e sé, mentre Molly lo osservava pendendo dalle sue labbra come al solito. “Ma la morte non è avvenuta per soffocamento” osservò ancora, annotando qualcosa sul suo taccuino.
John osservò anch’egli il cadavere, cercando qualcosa che a Sherlock magari era sfuggito, trovando un modo per farsi bello agli occhi del detective. Trovò quel che cercava, non senza un certo piacere, nell’incavo tra il pollice e l’indice dell’uomo sul tavolo.
“Gli hanno iniettato qualcosa, probabilmente. Ci sono segni d’iniezione fra le dita”.
Il detective lo guardò, con la stessa condiscendenza negli occhi di quando si guarda un neonato in cerca d’attenzioni.
“Se tu osservassi attentamente ti saresti accorto che l’ho appena segnato nei miei appunti” Sherlock gli porse il libretto, che John lesse a malavoglia. Uno sconfortante ‘iniezione’ troneggiava in cima al foglio.
“Oh beh, farò meglio a star zitto e lasciarti lavorare allora” osservò John stizzito.
“Molto bravo. Oggi quel che esce dalla tua bocca non è particolarmente brillante” rispose Sherlock tornando ad esaminare il cadavere.
Ad un certo punto, prima che John potesse controbattere, qualcuno entrò nella stanza. Una ragazza dai capelli rossi raccolti in un elaborato nodo dietro la testa li salutò timidamente, portando poi una mano sul mento e tendendo l’altro braccio, per poi sfiorare l’altra mano e la parte interna del gomito.
Molly le sorrise, andandole incontro.
“Oh, lei è Amanda” disse, prendendo quello che la ragazza le aveva portato, un mucchietto di cartelle impilate l’una sopra l’altra. “E’ nuova qui. E’ molto brava ma ci troviamo un po’ in difficoltà con il linguaggio dei segni. Ma impareremo, e lei è adorabile”.
La ragazza alzò le spalle, come a volersi scusare di qualcosa. John le sorrise, confortante.
Ripetè lo stesso gesto della ragazza, quello fatto poco prima. Poi sfiorò i palmi delle mani tra loro, incrociando gli indici per poi puntarli verso Amanda.
“Piacere di conoscerti” aggiunse. La ragazza sembrò illuminarsi, quando si accorse che John poteva comprenderla. Con espressione allegra ripeté lo stesso gesto, presentandosi. John scandì il suo nome con altrettanti segni, aggiungendo inoltre un sentito complimento che a Sherlock non sfuggì. Il detective alzò gli occhi al cielo.
La ragazza arrossì e salutò nuovamente i tre stavolta decisamente più sciolta. Fece l’occhiolino a John che compiaciuto si voltò verso Sherlock.
Il detective si mordeva una guancia con fare scocciato, osservandolo.
“So a cosa stai pensando. A quella cosa che hai detto giorni fa” gli lesse nella mente, come John aveva immaginato. Lui annuì, compiaciuto.
“Mi dispiace però, John” strinse la mano in un pugno e compì un cerchio sul suo cuore, in senso antiorario in una gestualità perfetta. “Nulla di speciale, temo. Conosco qualcosa anche io. Anzi, davvero più di qualcosa. Mi ricordo che imparai, per seguire un vecchio caso nel ’95…” specificò, lasciando John sprofondare nella delusione.
Rimase a bocca aperta mentre guardava Sherlock fargliela ancora una volta. Afferrò una cartella tra le mani, stringendo i denti ed evitando in tutti i modi di incontrare di nuovo gli occhi del detective.

 

§

 

Tre giorni dopo l’ospedale, Sherlock e John erano a Scotland Yard, ad analizzare alcune prove per un caso. Sherlock era seduto su una sedia con le mani giunte nella sua classica posa da riflessione e le gambe allungate sulla scrivania. Sally Donovan da dietro la porta, lo guardava con cipiglio minaccioso.
John, che aveva deciso di rimanere in silenzio fino a che Sherlock non si fosse risvegliato dalla sua trance, si abbandonò sulla poltrona di fronte alla finestra, lasciando che il pallido sole che filtrava dalle finestre li riscaldasse. Fissò Sherlock a lungo, chiedendosi cosa gli passasse per la testa, a cosa stesse pensando, a chissà quale quantità di informazioni adesso vagava libera e frenetica nella sua mente. Non si era mosso di un millimetro dalla sua posa iniziale.
John guardò sul mobile accanto alla poltrona, trovandovi una risma di fogli bianchi e un portamatite, apparentemente senza proprietario, e ad un certo punto, una piccola piacevole idea balenò nella sua mente.
Afferrò uno dei fogli e prese un vecchio manuale di scienze forensi che fungesse da base, prese anche una delle matite ben temperate e puntò nuovamente gli occhi su Sherlock.
Il detective era un soggetto decisamente interessante da immortalare in un ritratto, in quanto il suo viso, i suoi tratti sembravano essere fatti apposta per essere riprodotti mediante il leggero tratto di una matita, o di un carboncino. John cominciò a disegnare i riccioli scuri, sfumando con la punta del dito le zone più chiare, aggiungendo colore nelle zone d’ombra, ricalcando i contorni quanto bastava per dare profondità e sfumatura. Si soffermò sui suoi occhi chiari, non calcando troppo per non renderli troppo diversi e colorò leggermente le sue guance pallide con un tratto leggero e appena visibile. Accennò le sue mani grandi, le dita affusolate e perfette fino a passare ai polsi sottili, al torso coperto, e alle gambe lunghe e agili. Quando ebbe concluso il disegno, quasi di pari passo con Sherlock che all’improvviso sembrava essere tornato sulla terra dopo quei lunghi minuti in un altro mondo, lo riguardò reputandosi soddisfatto del risultato. Aveva sempre avuto un talento per quelle cose.
Sherlock nemmeno lo guardò, quando parlò.
“Mi hai fatto un disegno, John?” domandò il detective con un sopracciglio sollevato, sporgendo la testa per poter scorgere il foglio che John teneva in mano. Il dottore, fiero di sé stesso si avvicinò e mostrò il suo capolavoro a Sherlock.
Il detective lo osservò attentamente, gli occhi che vagavano sull’intera figura, soffermandosi sui dettagli ben rifiniti, i particolari curati, le luci e le ombre. Prese il foglio di carta tra le mani analizzandolo ancora più da vicino, come se nascondesse qualcosa che John non aveva visto.
“Discreto direi, ma nulla che mi faccia pensare ad un tuo innato talento” fu il suo giudizio. “Le ombre sono troppo scure, si scorge il solco della matita. E i contorni sono troppo marcati, innaturali. Mi dispiace John, ma sono costretto a contraddirti di nuovo”.
John gli sfilò il disegno dalle mani, amareggiato e lo strappò in tre lunghe strisce gettandolo nel cestino accanto alla finestra. Si mise le mani sui fianchi, mentre cercava di smaltire la rabbia. “Certe volte sono veramente tentato di prenderti a pugni, Sherlock” sibilò, tra i denti, frustrato.


§

 

Due settimane dopo aver lanciato la scommessa, John finalmente sentiva la vittoria in pugno.
Nel vero senso della parola.
Non si era mai comportato in quel modo il serio, coscienzioso e pacato John Watson.
Mai in vita sua aveva corso per tutta Londra dietro un tipo strambo, mai aveva sparato a qualcuno per salvare un tizio dopo un solo giorno di conoscenza, e soprattutto non aveva mai, mai sbattuto al muro un coinquilino a sera tarda, di ritorno da una scena del crimine.
Ma John adorava prendere iniziativa, quando si sentiva abbastanza ispirato per intraprendere qualcosa di nuovo.
E la lenta esplorazione delle labbra di Sherlock con le proprie, il rapido e frenetico vagare delle sue mani tra i riccioli scuri, sul suo collo affusolato, sulle sue spalle larghe e forti era decisamente un campo nuovo per lui, un campo che però cominciava a sembrargli immensamente piacevole.
Sherlock poi, non era mai stato così entusiasta e così reattivo quando si trattava di iniziative da parte di John: di solito era scostante, sarcastico, disinteressato, ma non quella volta, con sommo piacere del caro dottore.
Quando la sua bocca si separò da quella di Sherlock per scendere a lambire la pelle morbida del suo collo, il detective mugolò, con un tono voce supplichevole che ispirò John particolarmente in quello che stava per fare. Le dita del medico abbandonarono i fianchi del detective dove erano rimaste ancorate saldamente per almeno dieci minuti abbondanti, e con un coraggio non loro presero a slacciare il bottone dei pantaloni costosi del detective, abbassando la zip con accorata frenesia e insinuandosi (oddio oddio oddio! Era tutto ciò a cui riusciva a pensare) nei pantaloni e nei boxer dell’uomo più giovane.

“Oh mio Dio, John!” gridò Sherlock, ormai incapace di trattenersi mentre sentiva John diventare sempre più intraprendente, afferrando l’ ormai vistoso problema di Sherlock in una mano, lasciando che l’attrito e la stretta del suo pugno facessero il resto. Il detective sbarrò gli occhi e boccheggiò come se gli mancasse il respiro, gemendo, cominciando a spingere contro la mano di John per un maggior contatto. Il dottore, di tutta risposta, tremendamente lusingato da quella reazione, prese a muovere la mano con più vigore.
“Ora che ne dici, Sherlock?” domandò, sfiorando le sue labbra con le proprie. Sherlock lo guardò come se trovasse incredibile che il medico riuscisse a parlare in una situazione del genere.
“Riguardo cosa, John? Al momento ho qualche problema nel pensare” ammise.
John rise, solleticandolo con il suo respiro, senza smettere un secondo il movimento con la mano.
“Su quella piccola scommessa” chiarì il medico, ancora sorridendo. Sherlock lo guardò a bocca aperta, come se non sapesse cosa rispondere. Però John comprese dal suo sguardo che aveva certamente capito di cosa parlasse.
“Oh, si. Le mani” disse, spingendosi più forte verso John, stavolta decisamente più esigente, come se la sua vita dipendesse da quel tocco.
“Bravo ragazzo” disse ancora il medico, esigendo la sua personale soddisfazione. “Allora?”
Anche Sherlock rise, mentre distoglieva lo sguardo, scuotendo la testa. John voleva sentire Sherlock dargli ragione, concedergli finalmente una conquista, un primato, in qualcosa.
“Te lo concedo, John” disse, in un sussurro languido. “Questo mi hai decisamente sconvolto”.
John rise chiudendo gli occhi e affondando la testa nell’incavo della spalla di Sherlock, prima di catturare nuovamente le sua labbra in un bacio decisamente più appassionato degli altri.
La vittoria aveva un sapore straordinariamente dolce, a volte.

 

 

 

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