Ciao Fandom!
Cosa dire, ecco il mio secondo tentativo con qualcosina da rating
rosso. Spero
di non aver combinato un casino! :P
Sperando in bene, vi
auguro buona lettura!
S.
*
“Nulla può sconvolgermi, lo sai” il
detective specificò, unendo le mani e
poggiandovi sopra il capo, come faceva spesso. I suoi occhi lo guardarono
provocatori.
“Io potrei riuscirci” lo sfidò ancora il
medico, con un sorriso sbarazzino in
viso. Era deciso a non dargliela vinta, non quel giorno. Gli avrebbe
detto il
fatto suo, e nulla lo avrebbe fatto desistere. “Ne sono
certo”.
Sherlock piegò le labbra nell’imitazione di un
sorrisetto sarcastico e incrociò
le mani tra loro.
“Fammi vedere allora. Sorprendimi” lo
incoraggiò il detective sollevandosi
dalla sedia per girarla verso il salone, come se fosse
pressoché certo che John
vi si sarebbe spostato.
John sbuffò, odiando quel suo insopportabile vizio di
anticipare i suoi
movimenti, e lo seguì. Si sistemò il maglioncino
con le mani, cercando di non
pensare al detective, come a volersi preparare al meglio, e dopo
qualche
minuto, con un complicato ed elaborato slancio si ritrovò a
testa in giù sulla
soglia del salotto, con le gambe ben bilanciate in aria e i piedi
paralleli,
così da prendere un giusto equilibrio. Prese a camminare
sulle mani, (non senza
un certo sforzo, ma questo a Sherlock non lo avrebbe mai detto) lungo
il
perimetro della sala, facendo elaborati cambi di rotta durante il
percorso,
alzando una mano e tenendosi in equilibrio precario con
l’altra e viceversa, o
facendo complicati giri su se stesso premendo con una certa forza i
palmi sul
pavimento. Quando pensò di averlo impressionato abbastanza,
con un’ intricata
piroetta tornò in posizione eretta, sistemandosi nuovamente
i vestiti e
guardando trionfante verso Sherlock. Era sicuro di aver fatto colpo,
quella
volta.
Il detective però, non si era scomposto di un minimo, anzi,
il suo viso aveva
assunto una strana e fastidiosa espressione di sufficienza.
“Tutto qui, John?” disse Sherlock, scuotendo la
testa e tornando al suo
microscopio, come se la cosa non lo avesse colpito nemmeno un
po’. “Nessuna
speciale predisposizione fisica, nessun particolare talento. Saprei
farlo ad
occhi chiusi” affermò.
John emise un rantolo deluso, rivolgendo una smorfia a Sherlock che non
guardava.
Esisteva qualcosa capace di stupirlo che non contemplasse cadaveri,
sangue ed
enigmi cervellotici? John cominciava a dubitarne.
“Grazie mille. Sei sempre gentile” lo
canzonò, ritornando anche lui ai
fascicoli del caso. Guardava Sherlock sottecchi, come se meditasse di
colpirlo
con una delle cartelle, giusto per togliersi una soddisfazione.
“Sono solo obiettivo, John” rispose
l’altro, rapito dal suo vetrino.
John sbuffò, risentito.
§
Una settimana dopo,
Sherlock era con John al Barts, ad esaminare un corpo fresco di
giornata che
Molly aveva molto prontamente segnalato al detective.
“Segni di
strangolamento”
Sherlock disse fra sé e sé, mentre Molly lo
osservava pendendo dalle sue labbra
come al solito. “Ma la morte non è avvenuta per
soffocamento” osservò ancora,
annotando qualcosa sul suo taccuino.
John osservò anch’egli il cadavere, cercando
qualcosa che a Sherlock magari era
sfuggito, trovando un modo per farsi bello agli occhi del detective.
Trovò quel
che cercava, non senza un certo piacere, nell’incavo tra il
pollice e l’indice
dell’uomo sul tavolo.
“Gli hanno iniettato qualcosa, probabilmente. Ci sono segni
d’iniezione fra le
dita”.
Il detective lo guardò, con la stessa condiscendenza negli
occhi di quando si
guarda un neonato in cerca d’attenzioni.
“Se tu osservassi attentamente ti saresti accorto che
l’ho appena segnato nei
miei appunti” Sherlock gli porse il libretto, che John lesse
a malavoglia. Uno
sconfortante ‘iniezione’
troneggiava
in cima al foglio.
“Oh beh, farò meglio a star zitto e lasciarti
lavorare allora” osservò John
stizzito.
“Molto bravo. Oggi quel che esce dalla tua bocca non
è particolarmente
brillante” rispose Sherlock tornando ad esaminare il cadavere.
Ad un certo punto, prima che John potesse controbattere, qualcuno
entrò nella
stanza. Una ragazza dai capelli rossi raccolti in un elaborato nodo
dietro la
testa li salutò timidamente, portando poi una mano sul mento
e tendendo l’altro
braccio, per poi sfiorare l’altra mano e la parte interna del
gomito.
Molly le sorrise, andandole incontro.
“Oh, lei è Amanda” disse, prendendo
quello che la ragazza le aveva portato, un
mucchietto di cartelle impilate l’una sopra
l’altra. “E’ nuova qui. E’
molto
brava ma ci troviamo un po’ in difficoltà con il
linguaggio dei segni. Ma
impareremo, e lei è adorabile”.
La ragazza alzò le spalle, come a volersi scusare di
qualcosa. John le sorrise,
confortante.
Ripetè lo stesso gesto della ragazza, quello fatto poco
prima. Poi sfiorò i
palmi delle mani tra loro, incrociando gli indici per poi puntarli
verso
Amanda.
“Piacere di conoscerti” aggiunse. La ragazza
sembrò illuminarsi, quando si
accorse che John poteva comprenderla. Con espressione allegra
ripeté lo stesso
gesto, presentandosi. John scandì il suo nome con
altrettanti segni, aggiungendo
inoltre un sentito complimento che a Sherlock non sfuggì. Il
detective alzò gli
occhi al cielo.
La ragazza arrossì e salutò nuovamente i tre
stavolta decisamente più sciolta.
Fece l’occhiolino a John che compiaciuto si voltò
verso Sherlock.
Il detective si mordeva una guancia con fare scocciato, osservandolo.
“So a cosa stai pensando. A quella cosa che hai detto giorni
fa” gli lesse
nella mente, come John aveva immaginato. Lui annuì,
compiaciuto.
“Mi dispiace però, John” strinse la mano
in un pugno e compì un cerchio sul suo
cuore, in senso antiorario in una gestualità perfetta.
“Nulla di speciale,
temo. Conosco qualcosa anche io. Anzi, davvero più
di qualcosa. Mi ricordo che imparai, per seguire un vecchio
caso nel ’95…” specificò,
lasciando John sprofondare nella delusione.
Rimase a bocca aperta mentre guardava Sherlock fargliela ancora una
volta.
Afferrò una cartella tra le mani, stringendo i denti ed
evitando in tutti i
modi di incontrare di nuovo gli occhi del detective.
§
Tre giorni dopo
l’ospedale,
Sherlock e John erano a Scotland Yard, ad analizzare alcune prove per
un caso. Sherlock
era seduto su una sedia con le mani giunte nella sua classica posa da
riflessione e le gambe allungate sulla scrivania. Sally Donovan da
dietro la
porta, lo guardava con cipiglio minaccioso.
John, che aveva deciso di rimanere in silenzio fino a che Sherlock non
si fosse
risvegliato dalla sua trance, si abbandonò sulla poltrona di
fronte alla
finestra, lasciando che il pallido sole che filtrava dalle finestre li
riscaldasse.
Fissò Sherlock a lungo, chiedendosi cosa gli passasse per la
testa, a cosa
stesse pensando, a chissà quale quantità di
informazioni adesso vagava libera e
frenetica nella sua mente. Non si era mosso di un millimetro dalla sua
posa
iniziale.
John guardò sul mobile accanto alla poltrona, trovandovi una
risma di fogli
bianchi e un portamatite, apparentemente senza proprietario, e ad un
certo
punto, una piccola piacevole idea balenò nella sua mente.
Afferrò uno dei fogli e prese un vecchio manuale di scienze
forensi che
fungesse da base, prese anche una delle matite ben temperate e
puntò nuovamente
gli occhi su Sherlock.
Il detective era un soggetto decisamente interessante da immortalare in
un
ritratto, in quanto il suo viso, i suoi tratti
sembravano essere fatti apposta per essere riprodotti mediante il
leggero
tratto di una matita, o di un carboncino. John cominciò a
disegnare i riccioli
scuri, sfumando con la punta del dito le zone più chiare,
aggiungendo colore
nelle zone d’ombra, ricalcando i contorni quanto bastava per
dare profondità e
sfumatura. Si soffermò sui suoi occhi chiari, non calcando
troppo per non
renderli troppo diversi e colorò leggermente le sue guance
pallide con un
tratto leggero e appena visibile. Accennò le sue mani
grandi, le dita
affusolate e perfette fino a passare ai polsi sottili, al torso
coperto, e alle
gambe lunghe e agili. Quando ebbe concluso il disegno, quasi di pari
passo con
Sherlock che all’improvviso sembrava essere tornato sulla
terra dopo quei
lunghi minuti in un altro mondo, lo riguardò reputandosi
soddisfatto del
risultato. Aveva sempre avuto un talento per quelle cose.
Sherlock nemmeno lo guardò, quando parlò.
“Mi hai fatto un disegno, John?” domandò
il detective con un sopracciglio
sollevato, sporgendo la testa per poter scorgere il foglio che John
teneva in
mano. Il dottore, fiero di sé stesso si avvicinò
e mostrò il suo capolavoro a
Sherlock.
Il detective lo osservò attentamente, gli occhi che vagavano
sull’intera
figura, soffermandosi sui dettagli ben rifiniti, i particolari curati,
le luci
e le ombre. Prese il foglio di carta tra le mani analizzandolo ancora
più da
vicino, come se nascondesse qualcosa che John non aveva visto.
“Discreto direi, ma nulla che mi faccia pensare ad un tuo
innato talento” fu il
suo giudizio. “Le ombre sono troppo scure, si scorge il solco
della matita. E i
contorni sono troppo marcati, innaturali. Mi dispiace John, ma sono
costretto a
contraddirti di nuovo”.
John gli sfilò il disegno dalle mani, amareggiato e lo
strappò in tre lunghe
strisce gettandolo nel cestino accanto alla finestra. Si mise le mani
sui
fianchi, mentre cercava di smaltire la rabbia. “Certe volte
sono veramente
tentato di prenderti a pugni, Sherlock” sibilò,
tra i denti, frustrato.
§
Due settimane dopo aver
lanciato
la scommessa, John finalmente sentiva la vittoria in pugno.
Nel vero senso della parola.
Non si era mai comportato in quel modo il serio, coscienzioso e pacato
John
Watson.
Mai in vita sua aveva corso per tutta Londra dietro un tipo strambo,
mai aveva
sparato a qualcuno per salvare un tizio dopo un solo giorno di
conoscenza, e
soprattutto non aveva mai, mai sbattuto al muro un coinquilino
a sera tarda, di ritorno da una scena del crimine.
Ma John adorava prendere
iniziativa, quando
si sentiva abbastanza ispirato per intraprendere qualcosa di nuovo.
E la lenta esplorazione delle labbra di Sherlock con le proprie, il
rapido e
frenetico vagare delle sue mani tra i riccioli scuri, sul suo collo
affusolato,
sulle sue spalle larghe e forti era decisamente un campo nuovo per lui,
un
campo che però cominciava a sembrargli immensamente
piacevole.
Sherlock poi, non era mai stato così entusiasta e
così reattivo quando si
trattava di iniziative da parte di John: di solito era scostante,
sarcastico,
disinteressato, ma non quella volta,
con sommo piacere del caro dottore.
Quando la sua bocca si separò da quella di Sherlock per
scendere a lambire la
pelle morbida del suo collo, il detective mugolò, con un
tono voce
supplichevole che ispirò John particolarmente in quello che
stava per fare. Le
dita del medico abbandonarono i fianchi del detective dove erano
rimaste
ancorate saldamente per almeno dieci minuti abbondanti, e con un
coraggio non
loro presero a slacciare il bottone dei pantaloni costosi del
detective, abbassando
la zip con accorata frenesia e insinuandosi (oddio
oddio oddio! Era tutto ciò a cui riusciva a
pensare) nei
pantaloni e nei boxer dell’uomo più giovane.
“Oh mio Dio,
John!” gridò
Sherlock, ormai incapace di trattenersi mentre sentiva John diventare
sempre più
intraprendente, afferrando l’ ormai vistoso
problema di Sherlock in una
mano, lasciando che l’attrito e la stretta del suo pugno
facessero il resto. Il
detective sbarrò gli occhi e boccheggiò come se
gli mancasse il respiro,
gemendo, cominciando a spingere contro la mano di John per un maggior
contatto.
Il dottore, di tutta risposta, tremendamente lusingato da quella
reazione,
prese a muovere la mano con più vigore.
“Ora che ne dici, Sherlock?” domandò,
sfiorando le sue labbra con le proprie.
Sherlock lo guardò come se trovasse incredibile che il
medico riuscisse a
parlare in una situazione del genere.
“Riguardo cosa, John? Al momento ho qualche problema nel
pensare” ammise.
John rise, solleticandolo con il suo respiro, senza smettere un secondo
il
movimento con la mano.
“Su quella piccola scommessa” chiarì il
medico, ancora sorridendo. Sherlock lo
guardò a bocca aperta, come se non sapesse cosa rispondere.
Però John comprese
dal suo sguardo che aveva certamente capito di cosa parlasse.
“Oh, si. Le mani” disse, spingendosi più
forte verso John, stavolta decisamente
più esigente, come se la sua vita dipendesse da quel tocco.
“Bravo ragazzo” disse ancora il medico, esigendo la
sua personale
soddisfazione. “Allora?”
Anche Sherlock rise, mentre distoglieva lo sguardo, scuotendo la testa.
John
voleva sentire Sherlock dargli ragione, concedergli finalmente una conquista, un primato, in qualcosa.
“Te lo concedo, John” disse, in un sussurro
languido. “Questo mi hai
decisamente sconvolto”.
John rise chiudendo gli occhi e affondando la testa
nell’incavo della spalla di
Sherlock, prima di catturare nuovamente le sua labbra in un bacio
decisamente
più appassionato degli altri.
La vittoria aveva un sapore straordinariamente
dolce, a volte.
*