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Autore: LivingTheDream    06/05/2012    6 recensioni
"Quando la calma e la noia regnavano sovrane, quindi, prima di andare a letto, ogni santa volta, John si infilava le pantofole, si alzava, lasciava il giornale o il libro di traverso sulla poltrona, si stiracchiava, passava accanto a Sherlock accarezzandogli per qualche secondo i capelli – solitamente venendo ignorato – e si dirigeva in cucina, dove metteva su del the.
Due tazze, bollenti entrambe, infusione media per lui e prolungata per Sherlock, due zollette di zucchero per lui e il doppio per Sherlock.
Dopodiché prendeva la sua tazza nella mano destra e quella dell'altro nella sinistra, poggiandole entrambe sulla scrivania per tentare di lasciare almeno un bacio della buonanotte a quel sociopatico. Gli lasciava poi lì il suo the, e saliva in camera da letto bevendo."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Nda: una nota per i miei lettori più affezionati, o magari coloro che mi conoscono e che mi seguono da tanto.
Vi porgo delle scuse, perché il mio stile sta cambiando. So che le scuse non hanno senso perché le storie sono mie e faccio come dico io, ma sta cambiando e questo mi rende più orgogliosa di ciò che scrivo. Detto questo, e che in un prossimo edit linkerò [EDIT, clicca qui!] la fanart a cui è ispirata questa storia, vi auguro una buona lettura, e grazie.



Capitavano giorni in cui John era così stanco da crollare sul divano e svegliarsi la mattina dopo con un terribile torcicollo ed un plaid tirato su fino alle spalle con il quale era
sicuro di non essersi addormentato. I giorni in cui questo non succedeva, invece, erano rari, ma ogni tanto capitavano anche loro.

Quando la calma e la noia regnavano sovrane, quindi, prima di andare a letto, ogni santa volta, John si infilava le pantofole, si alzava, lasciava il giornale o il libro di traverso sulla poltrona, si stiracchiava, passava accanto a Sherlock accarezzandogli per qualche secondo i capelli – solitamente venendo ignorato – e si dirigeva in cucina, dove metteva su del the.

Due tazze, bollenti entrambe, infusione media per lui e prolungata per Sherlock, due zollette di zucchero per lui e il doppio per Sherlock.

Dopodiché prendeva la sua tazza nella mano destra e quella dell'altro nella sinistra, poggiandole entrambe sulla scrivania per tentare di lasciare almeno un bacio della buonanotte a quel sociopatico. Gli lasciava poi lì il suo the, e saliva in camera da letto bevendo.

'Il rito', lo prendeva in giro Sherlock, il quale puntualmente ignorava la gentilezza del suo partner e, alla mattina, John si ritrovava a dover scaldare quel the ed a mescolarlo ad altro appena pronto, essendo lui naturalmente avverso sia allo spreco che alle discussioni inutili.

Era un rito, assolutamente un rito.

Sherlock, dal canto suo, però, non lo ignorava per cattiveria, a differenza di tutto il resto. Solo, non se ne accorgeva fino al giorno dopo. Ogni sera si concentrava su qualcosa di diverso, e quando spostava lo sguardo per rendersi conto di aver fatto mattina inoltrata o quando si alzava per raggiungere John, solo allora notava il the. Che rimaneva lì fino alla colazione, e così via. Non era tipo da ringraziare, quindi non lo faceva, ma questo non significava non apprezzare il gesto. Se ne dimenticava, tutto qui.

Sherlock sentiva che quella tazza di the sarebbe stata per sempre. Anche John, solo, lui lo sperava.

Ma le abitudini cambiano così come fanno le situazioni, anche se John impiegò un tempo inumano a smetterla di preparare due tazze di the.

Ci mise mesi, davvero, mesi. Le sere tranquille erano aumentate a dismisura, quindi si infilava le pantofole, si alzava, lasciava il giornale o il libro di traverso sulla poltrona, si stiracchiava, passava accanto alla postazione vuota di Sherlock accarezzandogli per qualche secondo i capelli – solitamente venendo ignorato – e si dirigeva in cucina, dove metteva su del the.

Due tazze, bollenti entrambe, infusione media per lui e prolungata per Sherlock, due zollette di zucchero per lui e il doppio per Sherlock.

Dopodiché prendeva la sua tazza nella mano destra e quella dell'altro nella sinistra, poggiandole entrambe sulla scrivania per poi lasciare che lo stomaco gli si stringesse come faceva quando lasciava un bacio della buonanotte a quel sociopatico. Gli lasciava poi lì il suo the, e saliva in camera da letto bevendo.

Anche il resto era uguale. La mattina dopo il the era sempre lì, intatto, proprio come se fosse stato ignorato da uno Sherlock troppo concentrato nel suo lavoro. Solo che quando la signora Hudson incrociava John con le due tazze in mano, anziché scuotere la testa sorridendo, piangeva – anche se poco – e chiamava Lestrade per invitarlo a cena. John ci metteva sempre qualche minuto a realizzare il perché del cambio di reazione, anche se con il passare del tempo divenne più veloce. Più rassegnato.

Insomma, le tazze di the continuavano a sostare per una notte sulla scrivania per poi essere scaldate e bevute il giorno dopo, fino al momento in cui una donna non entrò al 221b di Baker Street.

Evangeline Everett, da Scotland Yard, gliel'aveva presentata Lestrade in un momento di disperazione, non ce la faccio più a vederti così, aveva detto, e lo aveva mollato con lei, che era evidentemente il classico tipo incline alla classica botta e via.

A John sarebbe anche andata bene, ma lei no navrebbe dovuto permettersi di toccare la tazza sul tavolo. Invece la prese, la sentì fredda e la svuotò addirittura, Evangeline Everett, da Scotland Yard.

John trovò il liquido nel lavandino, non bevuto, non ignorato, non restituito al suo creatore da un sociopatico troppo concentrato sul suo lavoro. Versato nel lavandino. Si sentì sbattere una porta rivestita di ferro in faccia.

Non tornò più a Baker Street, Evangeline Everett, da Scotland Yard. Dopo che John si chiuse in camera per tre giorni Lestrade accettò la richiesta di trasferimento di Evangeline Everett, che a quel punto non fu più da Scotland Yard.

Dopo quell'episodio, però, John iniziò a preparare una sola tazza. La signora Hudson non sapeva se esserne triste o felice da pazzi.

Da un “finalmente un po' di tranquillità” detto con il sorriso più amaro che il mondo avesse mai visto, John passò ad una noia ed una stanchezza interna, pesante sullo stomaco e tra i polmoni, pesante sul respiro, pesante sul cuore, sulle gambe e sulla volontà.

Poi le giornate continuarono a sembrare tutte uguali, gli unici sguardi che gli rivolgevano le ragazze divennero di pietà per 'il povero vedovo di Sherlock Holmes' e lui iniziò anche a sparare al muro.

Per la gioia della signora Hudson.

Poi una giornata fu diversa, ed a quel punto fu come osservare un domino, al posto del calendario. Per una giornata diversa che cadde, iniziarono a cadere le successive settimane, mesi, anni, tutti di nuovo diversi e speciali. Era semplicemente tornato Sherlock a far ripartire le tessere, e, con loro, la vita.

 

Era come se non fosse mai andato via dal 221b, con l'unica differenza che quest'impressione era viva nel cuore di John solo quando erano nella stessa stanza. Nei primi tempi, infatti, appena Sherlock si allontanava dal suo campo visivo, gli sembrava che non sarebbe mai più tornato. Veri e propri attacchi di panico, con crisi respiratorie e tutto, spariti poi nel giro di qualche settimana a furia di andare in giro come se ancora fossero ammanettati.

Successe però, l'episodio che vale tutta questa premessa, poco tempo il suo tanto atteso ritorno, in quel periodo in cui le cose nuove ormai sono entrate a far parte della quotidianità, eppure ti fermi comunque a guardarle perché ricordi il periodo in cui non c'erano e non stavi bene come adesso.

Successe che John si infilò le pantofole, si alzò, non lasciò il giornale o il libro di traverso sulla poltrona perché aveva passato la serata a fissare l'altro con la testa inclinata, si stiracchiò, passò accanto a Sherlock accarezzandogli i capelli per molto più di qualche secondo – senza essere ignorato, stavolta – e si diresse in cucina, dove mise su del the.

Due tazze, bollenti entrambe, infusione media per lui e prolungata per Sherlock, due zollette di zucchero per lui e il doppio per Sherlock.

Dopodiché prese la sua tazza nella mano destra e quella dell'altro nella sinistra, le poggiò entrambe sulla scrivania e lasciò un bacio della buonanotte a quel sociopatico. Gli lasciò poi lì il suo the, e salì in camera da letto bevendo. Prima però disse una frase, “ci si abitua presto al meglio, il problema poi è riabituarsi a non averlo”, ma lo disse sorridendo.

Sherlock, quando fu da solo, alzò la testa dal computer e lo puntò sulla tazza, gli occhi sgranati e la testa piena di tutte le scene identiche a quella e lo stomaco giù a brontolare insieme al cuore per tutti quei the rifiutati e mai bevuti. Capì, in quel momento e solo in quel momento, tutto quello che si era perso. Comprese che il rito cui John tanto teneva era rimasto scolpito nella sua mente per tutto quel tempo, comprese che era quel tepore che gli era mancato, era quello il gelo delle notti al lavoro in uno studio che non era il suo, era la mancanza del dorato vapore del simbolo di una persona che sa di amarti e che non ti chiede nulla in cambio se non l'onore di prendersi cura di te. E lui non se ne era mai accorto. Si sentì come quando risolveva un caso, e tutti i pezzi scivolavano di colpo al loro posto, violenti e veri. Una porta nel suo Mind Palace si spalancò ed andò ad arricchire quel salone assurdo che era lo spazio dedicato a John.

Afferrò allora il manico a righe bollenti e bevve tutto il the quasi in un sorso solo, scottandosi la lingua e rischiando di farlo cadere sul tappeto, dopodiché salì nella camera da letto di John con la tazza ancora in mano e spalancò la porta senza nemmeno domandarsi se l'altro stesse dormendo o fosse sveglio.

La prima cosa che notò era che John era rimasto sveglio a fissare il soffitto senza muovere un muscolo che non fosse atto a respirare.

La seconda cosa che notò non la notò per davvero, dato che si avvicinò alla testa bionda che sbucava dalle coperte e che si tirò su quasi di scatto. John sgranò gli occhi alla vista della tazza finalmente vuota, e la prima cosa che gli venne di fare fu ridere, mentre Sherlock si arrampicava alle sue spalle e si infilava, vestito, sotto le coperte, abbracciandolo da dietro mentre lui continuava a sorridere divertito.

Rimasero così per un po' di tempo, senza bisogno di parlare per davvero, John con l'impressione che in tutti quegli anni non fosse cambiato nulla, Sherlock con la certezza che in quegli ultimi minuti fosse cambiato tutto.

«John, per favore, non voltarti», fu tutto quello che Sherlock disse.

John si sentì la schiena umida, e dopo poco anche le maniche del suo pigiama lo erano.

«Quanto mi sei mancato, Sherlock. Quanto mi sei mancato», fu tutto quello che disse John.

Il resto fu solo il profumo del the e il rumore delle lacrime.



Nda: Sherlock potrebbe essere OOC. Sul serio, non lo so, potrebbe esserlo, ditemelo e metto l'avvertimento senza meno, perché queste parole sono qui solo per smaltire questa idea e basta. Grazie.
Questa storia partecipa alla Sherlothon, con il prompt #4. Tazza di tè.

   
 
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