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Autore: Assasymphonie    06/05/2012    1 recensioni
Ogni volta che camminava verso l'istituto d'arte si ritrovava avvolto dal medesimo profumo.
{ Spamano only for Ana (L) }
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo del capitolo: Breath.
Personaggi: Romano Vargas { Sud Italia } / Antonio Fernandéz Carriedo { Spagna }
Rating: Verde
Note dell'autore: One-shot / Romantica / Leggero shonen-ai / AU
Disclaimer: Personaggi, luoghi e abitudini sono di proprietà del mangaka; lo scritto e le situazioni sono di mia proprietà.


.Breath.


Ogni volta che camminava verso l'istituto d'arte si ritrovava avvolto dal medesimo profumo.
Che fossero le sette del mattino o le nove di sera, in quel piccolo tratto di strada, nulla più di un vicolino, quel profumo la faceva da padrone. Certo, l'odore delle rose è un aroma abbastanza comune, direte voi.
E anche per Romano, null'altro che uno studente all'ultimo anno di una scuola piena di sfaccendati, fino a qualche mese prima era tale.

Non aveva idea di come quel fioraio fosse apparso nel vicolo. Semplicemente, il giorno prima non c'era e il giorno dopo tutto si era riempito di colori, di profumi e dalla sensazione perenne di terra bagnata. Non riusciva a capacitarsi come un negozio così piccolo riuscisse ad avere sempre fiori freschi e tutti quei clienti ad ogni ora del giorno e della notte; vendeva mazzi di rose, boquet da sposa, centrotavola, o più semplicemente... li regalava.
Il proprietario, che ancora non aveva visto in faccia, regalava un fiore diverso ogni giorno ad ogni bella donna passasse di fronte al suo negozio, ricompensato da risolini estasiati e da sorrisi capaci di sciogliere anche il marmo di San Pietro.
... Perché anche lui non aveva questo successo?!
Persino la ragazza che gli piaceva, quella con gli occhi verdi e i capelli biondi e mossi, era caduta sotto le grinfie di quel fioraio che non aveva altro da fare che fregargli la ragazza da sotto il naso.
L'aveva visto, regalarle un tulipano rosso proprio all'uscita da scuola; lei si era spostata appena, sorpresa, e Romano aveva potuto vedere per la prima volta gli occhi di quell'uomo che tanto non sopportava, specialmente in quel momento.
Erano... verdi.
Di un verde particolare, con un fondo scuro difficilmente individuabile, ridenti e allegri quanto una domenica mattina in piena estate, con le cicale che cantano e il sole che riscalda con viva forza qualsiasi posto riesca a raggiungere. Non si era nemmeno accorto di star scavando dei piccoli solchi con le unghie nella malta del muro, non si era accorto dell'espressione ebete che aveva assunto nell'annusare quel profumo di estate e di rose con un solo, singolo respiro.
Era come essere proiettati su una dimensione parallela.
Non gli piaceva.
Ma gli piacque ancor meno quando il fioraio, la cui testa era irrimedialmente sormontata da una zazzera riccia e scura, schiuse le labbra fatte solo per essere morse e mostrò una fila di denti bianchi come perle; un sorriso non diretto alla ragazza, ma diretto a lui.
Bene.
Se quell'uomo era il sole, lui si era appena preso una bella ustione su tutta la faccia, che lo portò a staccarsi dal muro ormai rovinato e a correre via verso casa -sperando ardentemente che la direzione presa fosse quella giusta-, inseguito da quel profumo di rose che non voleva togliersi dalla sua mente. Così come l'immagine di quel sorriso, diverso eppure uguale a tutti gli altri.

Il giorno dopo fu, se possibile, ancora più difficile uscire di casa.
Si era inventato una scusa qualsiasi, un mal di testa, ma nessuno gli aveva seriamente creduto; così si era dovuto vestire e uscire con la cartella svogliatamente messa su una spalla sola. Non voleva andare a scuola, non voleva entrare in classe e vedere tutte le ragazze con dei fiori in mano, non voleva passare in quel maledetto vicolo.
Non voleva rivedere quel sorriso.
Il solo pensarci gli chiudeva la bocca dello stomaco, su cui posò una mano nel pallido tentativo di farla smettere di dolere. Non sapeva bene cosa fosse; forse ansia, forse paura, forse solo un mal di pancia degno di questo nome.
... anzi, sperava fosse un mal di pancia. Così avrebbe avuto una scusa per tornare sui suoi passi, non passare nel vicolo e magari trascorrere la giornata ad oziare sul letto e a giocare alla playst-

«Buongiorno!»

... e ora chi diavolo si era messo a salutarlo con tanta baldanzosità proprio quella mattina? Doveva essere un matto, sicuramente, o qualcuno che desiderava mettere fine alla sua vita piuttosto in fretta.
Chiuse lentamente gli occhi e si girò di scatto, pronto a riempire di insulti coloriti chiunque si fosse avvicinato tanto, e invece... si trovò di fronte non una persona.
Un fiore.
Una rosa.
Una rosa rossa.
Sbattè le palpebre per qualche secondo sugli occhi di un verde speranza, osservando come i petali rilucessero di rugiada contro il sole nascente, come il gambo fosse privo di spine e come dietro di essa e al suo profumo inebriante vi fosse quel sorriso che aveva cercato di evitare in ogni modo.
Ora che poteva vederlo da vicino, il respiro gli si fermò per un attimo; non solo aveva quegli occhi così particolari, ma la pelle era di un lieve colore bronzeo del tutto naturale, come se fosse appena uscito da un qualche affresco greco o romano e si fosse materializzato di fronte alla sua figura troppo magra e troppo pallida.

«... cosa vuoi. Levami dalla faccia questo... questo coso...!»

Aggrottò le sopracciglia sottili in modo abbastanza minaccioso e cercò di evitarlo, magari passando al lato di quel vicolo stretto, ma puntualmente si ritrovava con la sua figura davanti al naso, a sbarragli il passaggio.
Cominciava ad essere irritante.

«Levati, devo andare a lezion-»

«Mi chiamo Antonio. Ieri mi sei sembrato di malumore, così oggi volevo regalarti questa rosa.»

Le parole nella bocca di Romano si bloccarono, così come il suo respiro. Per quanto tempo lo aveva osservato ieri?
Quanto a lungo era rimasto a pensarci?
E poi... perché a lui? Che senso aveva tutto quello? Oddio, eccolo, il mal di testa, lo sentiva...!

«Non me ne frega nulla di come ti chiami e dei tuoi fiori. Levati.»

Voleva essere rude, abbastanza da mandarlo via, ma ottenne l'effetto contrario; di nuovo quel sorriso, di nuovo il viso in fiamme e l'incapacità di poter gestire quel mal di pancia che continuava ad accumularsi, nemmeno avesse fatto colazione a base di selvaggina fresca.
Non controllava le sue mani, non potè impedir loro di prendere quella rosa; non potè impedire ai propri occhi di indugiare sul sorriso ancora più bello che era apparso sul volto di quell'uomo.
No, non andava bene.
Non disse nulla ma le sue gambe lo portarono via, meccaniche quanto quelle di un robot. Fece qualche metro, stringendo il gambo liscio della rosa tra le dita. No, okay, no. Era colpa del mal di pancia.
Si girò di scatto, gli occhi serrati, il respiro corto.

«... Mi chiamo Romano e non sono una ragazza, idiota!»

Urlato questo perché, sì, fu un urlo, riuscì a riprendere il controllo del suo corpo abbastanza in fretta per scappare via.
Ma le ultime parole del fioraio, "Lo so bene che lo sei", ancora rimbombavano nel suo cervello, assieme al profumo di quella rosa che non voleva lasciar cadere.
... ora persino le ragazze lo avrebbero invidiato.
Ma che ne sa uno come lui del significato dei fiori?

.Fine.

________

Salve salvino vicini vicinini- ehm no, okay.
Non ho nulla di particolare da dire riguardo questa fanfiction, se non che è stata scritta oggi per un motivo.
E' il mio regalo di compleanno per una grandissima amica, che spero apprezzerà, dato che per me scriverla è stato uno sforzo non indifferente.
Ad ogni modo... sì, ecco.
Tanti auguri Ana, (L)
   
 
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