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Autore: Ashfenfi_    06/05/2012    0 recensioni
Durante la Guerra di Secessione americana, un giovane allevatore di cavalli di nome Everett Gardner viene trasformato in vampiro insieme al suo superiore Garrett Newton. Vive 143 anni nell’ oscurità, che nel 2006 sarà rischiarata dall’ incontro con Serena, una pazza tutto pepe . E, come noi tutte fan della Twilight Saga sappiamo, solamente due esseri tanto diversi possono amarsi totalmente e incondizionatamente. C’ è un piccolo problema, però: come dire alla sua amata che lui è un demone senz’ anima? I destini dei nostri due amanti si incroceranno presto con la famiglia Cullen e coi Volturi. Un’ altra storia, altre mille emozioni.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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PROLOGO.
 
 

Addentai la pagnotta freneticamente, il non mangiare da giorni mi aveva indebolito molto. Mi sorpresi di avere ancora la forza di muovere la mascella. Anche se infondo era solo del pane mezzo ammuffito, per me valse come un intero pranzo offerto dalla mia tavola calda preferita. Quando hai veramente fame non ti fermi di certo alle piccolezze e non schivi nulla di indispensabile al tuo sostentamento. Con un gesto secco mi levai il berretto azzurro dalla testa. C’ era caldo, troppo. Ed’ eravamo in piena notte, figuriamoci, nelle ore del dì, come doveva essere quel  deserto infernale. L’ aria era rarefatta. La casacca era impregnata di sudore, mi sarei tolto anche gli stivali se avessi potuto.
-Prendete, Everett, siete in uno stato pietoso.-
Alzai lo sguardo e vidi il tenente Garrett Newton porgermi una tazza d’ acqua. Mi parve un angelo, ma avevo il dovere di pensare prima ai miei superiori che a me stesso.
-No, Tenente, sarete assetato quanto me. Vi prego, bevetela voi.-
-Suvvia, soldato! Prendetela prima che ci ripensi seriamente. Non voglio prendermi la responsabilità di farvi morire di sete.-
Sorrisi e presi in mano quella salvezza dissetante, altro non era che semplice acqua torbida di fiume. E considerato che non incontravamo un fiume da molte lune, non doveva avere un sapore squisito. Ma per me valse come un buon boccale di birra danese offerto dalla mia tavola calda preferita.
-Grazie infinite, Signore.-
-Oh, smettetela con le smancerie! Su, andate a dormire! Viaggiamo da soli trenta giorni, non vorrete morirmi adesso, vero?-
Il tenete Garrett era noto per il suo umorismo pungente. Solo ai suoi soldati più fedeli, però, era riservato sapere che sotto quell’ uniforme differente dalle altre e quella cascata di capelli biondi ci fosse un contadinotto dal cuore tenero. Ghignai di gusto e un po’ barcollante tentai di obbedire all’ ordine. Il Tenente si voltò e si avviò alla sua tenda senza proferire parola. Avrei dovuto seguire il suo esempio e andare a dormire. Eravamo stati fortunati ad essere affidati al suo comando.
 
Un urlo straziante. Fu quello che mi risvegliò dal mio sonno profondo. Sobbalzai mettendomi a sedere. Vidi che Austen Cribs, il soldato con cui condividevo la tenda, fece lo stesso. Ci guardammo per un millesimo di secondo negli occhi, terrorizzati. Immaginai subito un attacco dei Nordisti, perciò presi la carabina Spencer che affiancava le mie coperte. Il cuore mi batteva a mille. Uscimmo scattanti dalla tenda per capire cosa stesse succedendo, tra le grida disperate dei nostri compagni. Mi guardai intorno e rimasi letteralmente scioccato. Delle figure indefinite sfrecciavano in tutto l’ accampamento, entrando e uscendo dalle tende dei soldati. Cercai con la vista le sentinelle che erano di guardia quella notte. Non riuscii a scorgere tutto per via del buio pesto, ma compresi che erano state uccise. I loro corpi giacevano inermi sul terreno arido, ormai trapassati. Si udirono rumori assordanti di spari e di proiettili che nel loro cammino incontravano materiale come... Roccia. Notai che le figure sparirono per qualche momento, ma poi ritornarono. Non potevano essere umane, erano troppo veloci. Probabilmente erano demoni. Quasi non feci in tempo a completare il pensiero, che mi ritrovai a terra. Fu come essere investiti a un treno. Il contatto produsse un suono sordo. Caddi su un fianco, il dolore mi pervase completamente. Sentivo lo scricchiolio delle ossa della parte sinistra del mio corpo, intuii che alcune costole erano fratturate e la tibia e il perone pure. Gridai, unendomi a quella melodia macabra che si stava già componendo in tutto l’ accampamento. Restai immobile per un tempo indefinibile. Tentai di imbracciare il fucile, sperando in un miracolo. Se avessi pregato forse Dio mi avrebbe dato la forza per reagire. Ma probabilmente in quel momento il Signore aveva ben altro da fare che pensare a me, perciò non mi mossi di un millimetro. A mala pena mi accorsi che una delle terrificanti ombre maledette mi stava sovrastando. Esalando gli ultimi respiri dolosi mi sforzai di osservare come fosse fatto il demone, per quanto la fioca luce lunare mi permettesse di scorgere. Era sicuramente una figura femminile, ci arrivai squadrando la gonna ampia del vestito, lunghi capelli scuri la circondavano fino alla vita. L’ ultima dettaglio che distinsi da quell’ ammasso di colori oscuri furono due occhi. Rosso sangue, rosso crudeltà, rosso omicida. Poi, solo l’ accortezza di serrare le palpebre mentre la creatura demoniaca si avventava su di me. Con forza mi scostò la testa e sfiorò con le sue labbra gelide il mio collo. Le mie urla squarciarono il tempo e lo spazio, la ragione e l’ immaginazione. Non erano denti quelli che stava piantando nella mia carne, erano rasoi. Udii il suono gutturale di qualcuno che si abbevera con impazienza, sentii il mio sangue scivolare fuori dalla ferita per incontrare le labbra del demone. Si stava nutrendo del mio corpo. Si sarebbe nutrito anche della mia anima? Rimuginai sui peccati commessi nella mia vita. Lussuria, gola, invidia. Quale delle mie azioni meritava una punizione peggiore della morte stessa? Probabilmente l’ avere tolto la vita a dozzine di esseri viventi uguali a me. Era quella la mia colpa? Aver offerto il mio onore per la mia patria? Tzè, l’ onore, l’ ho sempre odiato. Quale malsana idea di onore porterebbe un uomo a privare del dono più importante di Dio un suo simile? Mentre l’ essere completava il mio martirio, sentii la mia volontà di vivere indebolirsi. Non avevo più speranze. Chissà se avrebbero trovato il mio corpo. Madre, piccola Madeleine vi prego non struggetevi per me. Ancora con gli occhi chiusi, affannai l’ ultima boccata d’ aria. Mi lasciai abbandonare. Però forse Dio non aveva troppo da fare il quel momento, infatti nella sua onnipotenza trovò un posticino per un’ anima insulsa come la mia. Probabilmente il demone aveva già ingurgitato due litri e mezzo di sangue, non bastò comunque a uccidermi. Sulla pelle ricoperta del liquido caldo non percepii più la raccapricciante sensazione delle sue labbra ghiacciate sulla mia carne martoriata. Respiravo lentamente. I miei occhi vedevano doppio. Al mio fianco, due figure indefinibili lottavano tra loro. La mia anima doveva essere proprio succulenta. Chiusi gli occhi inevitabilmente, attendendo che uno dei demoni prevalesse sull’ altro e terminasse di nutrirsi. Nonostante l’ orrenda guerra di secessione che avevo combattuto, vissi una vita felice (breve). Le mie aspettative future non riguardavano morire a venticinque anni, ma pazienza.
D’ un tratto sotto il mio corpo esamine sentii mancare il terreno. Non capii quanto tempo passai, cullato da una camminata lenta e piacevole. Come mai l’ angelo non saliva in cielo? Non feci nemmeno in tempo a svenire,  che mi schiantai a terra. Il dolore alle costole fu atroce. Niente di paragonabile, però, alle fiamme che iniziarono a divampare su di me. Altri lamenti strazianti si disperdevano nell’ aria intorno a me, attutiti dai miei. Non sarei salito in Paradiso, sarei affogato all’ Inferno. 

  
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