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Autore: Danseuse    06/05/2012    1 recensioni
"Era arrabbiato, deluso, amareggiato.
Odiava non capire ed odiava ancora di più non riuscire a farlo al primo colpo."
Hello, guys! Stavo tranquillamente sistemando alcune cartelle del mio vecchio pc quando, puff, mi compare davanti questa cosina che ho scritto, tipo, un po' di tempo fa.
Non è inerente a nessun episodio in particolare. E' una storia a sè e anche fuori tema, devo dire, visto che siamo in 'estate'~ See ya.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'aria gelida si infilava, sinuosa, tra le fessure della porta, tanto che sembrava avesse eliminato ogni differenza di temperatura tra l'interno e l'esterno.
Quel corridoio era diventato più freddo di una cella frigorifera.
Con la spalla destra appoggiata alla parete, osservava con sufficienza, attraverso le vetrate trasparenti della porta, quella delicata e soffice coltre bianca.
Aveva coperto tutto e reso la forma di ogni oggetto più tondeggiante, facendoli apparire più grandi di quanto non fossero.
Saranno stati una decina di centimetri, ad occhio e croce.
Gli spazzini si erano già messi in moto ed avevano ripulito le strade principali, creando dei piccoli fossati immersi nel bianco più totale. Le poche persone che entravano nel suo raggio visivo tenevano tutte le mani in tasca e la testa incassata nelle spalle, per metà coperta da enormi sciarponi di lana. Quelli che, invece, passeggiavano in gruppetti formavano delle nuvolette di vapore caldo davanti al viso ad ogni parola che pronunciavano. Ma quegli sbuffi di fumo erano troppo tenui per poter scaldare anche solo l'unghia del mignolo.
E lui, non capiva.
Non capiva perché la gente si ostinasse a camminare sotto la neve.
Non capiva perché le mamme controllasero che i cappelli dei loro figli fossero ben calati sul capo quando poi, questi, creavano assurdi fantocci di neve a mani nude.
Non capiva perché, quella roba, procurasse così tanta felicità.
La lingua schioccò sonoramente contro il palato nel preciso istante in cui allontanò la spalla dalla parete e con uno strattone deciso tirava su il colletto del cappotto.
Da che mondo è mondo, basarsi sull'esperienza, sull'istinto e sull'intuizione è sempre stato il modo migliore per imparare, no?
La mano destra strinse la maniglia e, con una leggera spinta, fece scattare in avanti la porta. Un'arietta tutt'altro che calda lo fece rabbrividire.
Il freddo era pungente.
Il leggero tonfo della porta alle proprie spalle gli confermò che, ormai, era fuori.
Gli parve che, tutto intorno a lui, vi fosse un ronzio scomposto di voci ilari e rumori a dir poco fastidioso, probabilmente reso tale dalla presenza di quel mantello immacolato, capace di attenuare qualsiasi suono.
Persino i suoi passi nella neve, che copriva quasi del tutto la punta delle scarpe, avevano un che di ovattato e leggero.
Era impaziente di capire, come un bimbo che impara a conoscere il mondo.
Senza indugiare oltre, si accoccolò sulle ginocchia e, a capo chino, puntò gli occhi cerulei sul bianco accecante della neve.
Le sopracciglia scure si incurvarono verso il basso, in un cruccio di fastidio.
Lui non sentiva niente: né la voglia di creare fantocci d'acqua solida, né la voglia di parlare e né, tanto meno, una sensazione di felicità.
Sentiva solo il gelo congelargli le chiappe. Quello sì, lo sentiva chiaramente.
Al suo sbuffo contrariato una piccola nuvoletta di fumo gli si formò sotto al naso.
Era arrabbiato, deluso, amareggiato.
Odiava non capire ed odiava ancora di più non riuscire a farlo al primo colpo.
Poi, senza preavviso, cominciò a nevicare ed automaticamente si ritrovò con il naso all'insù. I fiocchi volteggiavano leggiadri nel cielo, fino a spegnersi silenziosamente sui loro simili, già uniti a terra in un candido manto.
Alcuni di essi si depositarono tra i suoi capelli, altri sulle spalle.
I più audaci gli sfiorarono la fronte, le palpebre appena socchiuse, il naso, le guance, le labbra.
Erano come una carezza delicata, quasi timida.
Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare miriadi di puntini scuri che contrastavano con il bianco brillante del cielo, scendere lentamente senza una posizione precisa.
In quel momento non si udiva nessun rumore e sembrò che il tempo avesse rallentato la sua corsa, fino a fermarsi del tutto.
«Mamma, guarda! Nevica!»
Una voce elettrizzata e squillante aveva spezzato, con tre banalissime parole, quell'atmosfera silenziosa di incredibile pace.
I marmocchi. Dovrebbero indossare la museruola, come i cani.
Lentamente si rimise in posizione eretta e con entrambe le mani spolverò le spalle, per ripulirle dalle rimanenze di quella “polvere” bianca.
L'eccitato marmocchio di poco prima gli si fece vicino e, tirandogli un lembo del cappotto, lo costrinse ad abbassare lo sguardo.
Un sorriso, mancante di alcuni denti, lo accolse.
«Signore, ha visto che bella la neve?»
Le labbra si arricciarono per capriccio e, velocemente, strattonò il cappotto versò di sé, vedendolo scivolare via dalle mani paffute dell'estroverso interlocutore.
«E' solo acqua ghiacciata.»
Con tono saccente e volutamente scocciato girò i tacchi e prese la porta, lasciandosi alle spalle lo strano mondo imbiancato di cui, no, non ne aveva colto la bellezza.
O forse, per un solo attimo, lo aveva fatto.
Aveva pensato che, al di là del suo mondo di gialli, esisteva qualcosa di bello.
Sorrise.
Paradossalmente, quel corridoio, adesso gli sembrava quasi caldo ed accogliente.

  
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