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Autore: Bethesda    07/05/2012    5 recensioni
Il lettore non mi biasimi: se la Patria mi avesse richiamato alle armi sarei partito con il petto gonfio di orgoglio verso il fronte. Ma ormai non era più il mio tempo.
Ho trascorso la vita in un’epoca diversa, ben lontana dalle modernità che quel periodo stava mostrando al mondo.
Era giunto il momento di lasciare spazio alle nuove generazioni anche per quanto riguardava il campo bellico: io la mia battaglia l’avevo combattuta in un passato che appariva già incredibilmente lontano.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella primavera del 1915 venni invitato a trascorrere una piacevole vacanza nel Sussex, presso la casa del mio caro amico Holmes.
Il nostro ultimo incontro risaliva a circa a due anni prima quando, al termine della sua missione per conto dei servizi segreti inglesi, decidemmo di comune accordo di rintanarci nella sua casa campagnola, rimembrando vecchie avventure e nascondendoci agli occhi del nuovo secolo.
Fu una fuga breve: i miei doveri di marito mi imponevano di ritornare a Londra e con rammarico presi congedo da Holmes, lasciandolo alle sue amate api che per tre lunghi anni aveva trascurato.
Quando mi giunse il suo invito la guerra si era ormai insinuata in città, sempre sulla bocca di ogni abitante. Inoltre in quei giorni si stavano portando avanti delle trattative con i paesi rimasti ancora neutrali e per me fu un enorme sollievo riuscire ad allontanarmi da quel continuo flusso di informazioni, propaganda e ignoranza.
Il lettore non mi biasimi: se la Patria mi avesse richiamato alle armi sarei partito con il petto gonfio di orgoglio verso il fronte. Ma ormai non era più il mio tempo.
Ho trascorso la vita in un’epoca diversa, ben lontana dalle modernità che quel periodo stava mostrando al mondo.
Era giunto il momento di lasciare spazio alle nuove generazioni anche per quanto riguardava il campo bellico: io la mia battaglia l’avevo combattuta in un passato che appariva già incredibilmente lontano.
Ma in quei giorni mi si apriva di fronte unicamente la prospettiva di lunghe chiacchierate con la pipa fra le labbra insieme al mio migliore amico, via dalla folla fremente e dall’eco di esplosioni lontane.
Quando comparve sull’uscio della propria casa, vestaglia color topo e sigaretta fra le dita, sentii un piacevole tepore insinuarmisi nel petto e la sensazione di trovarmi nel posto giusto.
«La trovo bene».
«Posso dire la stessa cosa di lei. Ha messo su qualche chilo. Devo ringraziare la signora Watson, immagino».
Mi avvicinai quel che bastava per poterlo guardare negli occhi e constatare che la prima impressione era sbagliata: era invecchiato.
Delle rughe profonde gli solcavano la fronte, risultato di un’attività mentale che l’aveva spesso portata a corrucciarsi, mentre le tempie erano screziate di argento. Nel complesso dava l’impressione di un uomo che si è caricato sulle spalle tutta la saggezza e tutte le fatiche del mondo.
Gli occhi invece non erano affatto cambiati dalla prima volta in cui li incrociai al St Barth: acciaio vivo, indagatore.
Ci scambiammo una vigorosa stretta di mano e non dicemmo più nulla: avevo imparato che con Holmes le parole vanno calibrate e che ogni silenzio può nascondere il più profondo dei significati.
In quello riuscivo a sentire quanto ci fossimo mancati.
 
«Ormai l’apicoltura è solo un diletto: tutto ciò che posso sapere è in questo libro», disse tamburellando il lungo indice sul tomo posato sopra al tavolino vicino alla sua poltrona.
Il giorno aveva lasciato il posto alla notte e Holmes ed io ci eravamo accomodati in poltrona, davanti al fuoco.
Parlavamo del più e del meno, pigramente, come se in quei due anni non ci fossimo mai separati e nulla di sensazionale fosse accaduto.
Furono molte le occasioni in cui quella sera mi sentii ancora in Baker street, in attesa di un nuovo caso, e non mi sarei stupito nell’udire in lontananza i passi della signora Hudson –pace all’anima sua – o le voci eccitate e sgrammaticate degli Irregolari.
Ma purtroppo quei bei ricordi svanirono e presero prepotentemente il loro posto i pensieri minacciosi che speravo avrei abbandonato fra le nebbie di Londra.
«Holmes, cosa ne pensa di quello che sta accadendo all’Europa? Di ciò che questo conflitto sta mostrando?»
La mano di Holmes si sollevò imperiosa, impedendomi di domandare altro.
«Watson, Watson, Watson. Ma come? La invito per cercare la pace e lei mi porti la guerra? Speravo che la verde costa inglese la spingesse a rilassarsi», disse con aria scherzosa, nascondendo la serietà che si celava dietro quelle parole.
Sospirai abbandonandomi maggiormente contro lo schienale.
«Ha ragione, amico mio. Anche io credevo che lo stare qui mi avrebbe giovato e mi auguravo di potermi godere la sua compagnia senza questi pensieri incerti. Tuttavia non posso impedire al mio cervello di pensare».
Lo sguardo di Holmes si perse oltre la mia spalla, verso un punto imprecisato per svariati minuti.
«Penso ciò che le dissi due anni fa: si sta avvicinando il vento dell’Est».
Trattenni il fiato, aspettando che proseguisse.
«Mi aspettavo una guerra. Tutti ce la aspettavamo. Ma non pensavo che sarebbe stata di tale portata».
«Ma non è passato neanche un anno. So che molti si aspettano una giusta conclusione, senza eccessivi spargimenti di sangue, per la fine del mese. Molti paesi ne sono ancora fuori e potrebbero fare la differenza».
Non so per quale motivo lo dissi, probabilmente per convincermi che le parole di Holmes fossero sbagliate e che la sua non fosse la preoccupazione che mi accompagnava da mesi.
«L’Europa sta cambiando. I Tedeschi pensano ancora che sarà una guerra lampo, lo pensano tutti. Non è così. Questo mostro si è sviluppato per anni nel sottosuolo, affamato e bramoso di manifestarsi. E ora che ci è riuscito Dio solo sa quando verrà messo nuovamente a dormire».
Rimasi in silenzio e Baker street, con i suoi fantasmi benigni, scomparve per lasciar posto a paure ed incertezze.
«E quella che verrà dopo non sarà una terra migliore. L’uomo non impara mai dai propri errori. Si nutre di essi per accrescere la propria rabbia, ricercando la vendetta. Cambierà tutto. Sta già cambiando. Gli anni di riflessione fra queste mura e il mio passato mi hanno confermato unicamente che l’uomo è malvagio, che la storia non è razionale e che anche se vivessimo in un qualche regno utopistico, in pace e al colmo della felicità, ci sarebbe sempre qualcuno pronto ad alzarsi in piedi per scagliare la prima pietra».
Il suo volto rimase serio, illuminato in un gioco di luci ed ombre creato dal focolare.
Infine sembrò rassegnarsi e, voltatosi a guardarmi, mi sorrise senza riuscire a nascondere un velo di tristezza.
«Ma d'altronde è lei l’unico punto fisso in un’epoca di mutamento. Chissà, forse sarebbe un mondo migliore quello formato da persone simili a lei in tutto e per tutto: nessuno mentirebbe visto la facilità con cui la si scopre. Si assolverebbe ai propri doveri morali con orgoglio e ci si potrebbe fidare l’uno dell’altro senza timore».
«Dubito che sarebbe il suo mondo ideale: la noia la assalirebbe da subito e farebbe il tutto e per tutto pur di riuscire a scacciare quel clima di tedio che i miei simili provocherebbero».
La sua risata chioccia riempì la stanza e l’aria si distese nuovamente, ricordandomi che la guerra era lontana e che finalmente ero con il mio migliore amico.
«Forse un tempo lo avrei fatto. Ma ho imparato ad apprezzare la tranquillità e un mondo come quello che ho appena descritto mi sarebbe congeniale. Perlomeno ogni mia deduzione risulterebbe un vero e proprio miracolo logico».
 
 
Fu una settimana incantevole quella che trascorremmo insieme Holmes ed io.
Passeggiammo lungo le scogliere, mi mostrò dove era avvenuto l’incontro con “la criniera del leone” e non mancò di informarmi sui piccoli misfatti che avvenivano in zona.
Ma non si può frequentare Sherlock Holmes per tanto tempo senza acquisire una certa tendenza all’osservazione e questa, unita alla mia carriera medica, mi aveva spinto a mettermi in allarme.
Non era più come un tempo.
Cercava di non darmelo a vedere ma fare lunghe passeggiate era per lui spossante e quando lo convinsi a sottoporsi ad un controllo – già ai tempi d’oro era difficile che mi concedesse di visitarlo – riscontrai la fatica con cui il cuore pompava.
Non gli dissi nulla.
Sapevo che lui stesso si rendeva conto di ciò e non sarebbe servito a nulla informarlo: avrebbe affermato che ero ancora un paladino delle ovvietà e si sarebbe comportato come se nulla fosse.
Così continuammo a trascorrere insieme piacevoli giornate e fui più che lieto quando fummo costretti più volte in casa a cause della pioggia: Holmes non si sarebbe affaticato e io non lo avrei costretto con scuse fiacche a rimanere fra le mura domestiche.
 
Giunse infine la sera prima della mia partenza.
Avevo tentato più volte, in quelle tre settimane, di convincere il mio amico a tornare a Londra ma invano. Dunque quella sera fu per me estremamente penosa e più volte pensai di prolungare il mio soggiorno.
Eravamo accomodati su delle sdraio davanti all’abitazione, alternando futili discorsi a silenzi lunghi e pregni di significato, lo sguardo perso a contemplare il cielo stellato.
«Non me lo chieda ancora».
Non mi voltai a guardarlo.
«Non ho detto nulla».
«Stava per domandarmi nuovamente di tornare a Londra. Non lo farò».
Finsi di non capire cosa stesse dicendo.
«Cosa glielo fa pensare?»
«Lo ha fatto più volte in questo periodo e questa è l’ultima occasione che ha per ripropormelo. Non tornerò».
Sospirai rassegnato e volsi lo sguardo verso di lui.
«Mi rendo conto che il mio sia un pensiero egoistico ma averla vicino sarebbe un grande conforto e piacere. Due anni sono tanti, Holmes. Quando ci rivedremo la prossima volta?»
«Esistono le lettere».
«Non sempre bastano».
Il suo sguardo abbandonò la volta celeste per incrociare il mio.
«Amico mio, non ci sarebbe gioia più grande per me che trascorrere più tempo con lei e le sono grato per essere venuto qui. Mi ha fatto piacere ricordare il passato e lei è sempre la migliore e più gradita delle compagnie».
Una scintilla di speranza mi si accese nel petto ma venne subito spenta.
«Ma il mio posto è qui, in questo luogo senza tempo».
Le sue parole mi giunsero oscure e dovette capirlo dalla mia espressione, nonostante l’oscurità.
Gli occhi tornarono al cielo.
«Watson, tutto cambia. La guerra spazzerà via tutto ciò che ci apparteneva dei tempi andati e lei può continuare, deve farlo. È un uomo forte che si adatta a tutto e ciò che accadrà lo vivrà in prima linea. Respirerà  la Storia giorno per giorno, al centro di un regno potente e duraturo. Ma potrà farlo perché avrà memoria di ciò che è stato e continuerà a descriverlo nei suoi racconti.
«Io non posso. Il mio tempo l’ho vissuto e gloriosamente: ho lasciato un segno che nessuno potrà mai cancellare e ne vado fiero. E questo, amico mio, lo devo soprattutto a lei. A lei e a tutte quelle sue romantiche storielle che spesso ho criticato. Sono il personaggio di un’epoca precisa: come potrei vivere se ne venissi strappato fuori? Ma qui, lontano da tutto e da tutti, sono immerso in un costante presente».
Mi alzai in piedi, incapace di ascoltare ulteriormente quei discorsi che mi facevano vibrare il cuore nel petto.
Holmes fece lo stesso e mi si affiancò.
«Lei è stato il più grande dei Boswell e il migliore degli amici. Non posso fare altro che ringraziarla per tutto ciò che ha fatto in questi anni e se mai qualcuno in futuro si ricorderà il mio nome sarà grazie a lei».
Mi ci volle qualche istante per riuscire a parlare.
«Perché questo discorso? Sembra quello di un uomo in punto di morte».
Un sorriso triste gli increspò le labbra sottili.
«I personaggi dei libri non muoiono mai. Non finchè ci sarà qualcuno a ricordarli».
Fu troppo per me.
Le parole del mio amico erano troppo dolorose e il loro significato mi appariva in modo così lampante da ferirmi l’anima nel profondo.
Dopo anni di amicizia, segnata da lunghe e sofferte distanze, lo abbracciai.
Fu solo quando avvertii le braccia di Holmes cingermi le spalle in un gesto consolatorio che qualcosa dentro si spezzò.
 
Lui lo sapeva.
Non aveva bisogno di dirmelo in modo chiaro.
Quel discorso era stato un addio e un ringraziamento.
Diciassette giorni dopo Sherlock Holmes, il più saggio e il migliore degli uomini che abbia mai conosciuto, se ne andò nel sonno.
 



L'angolo della folle:
Ho infine concluso questa one-shot. Sinceramente a me scriverla ha portato più volte sull'orlo delle lacrime ma, dannazione, mi è piaciuto da morire.
Per quanto riguarda l'età di Holmes: in questa storia avrebbe 61 anni, uno meno del dottore. 
Le due frasi in corsivo sono state prese rispettivamente da "L'ultimo saluto; un epilogo" e da "Il problema finale". Ah, e la moglie è la fantomatica seconda consorte di Watson! Ci sono dei forti influssi di "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij nel pensiero pessimista di Holmes ed è dovuto al mio amore per quel libro. Ma ora ho finito!
Un bacio,
Beth
   
 
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