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Autore: candycotton    07/05/2012    0 recensioni
«Sei nuova di qui?».
«Sì, sono appena arrivata. In realtà mi sono trasferita circa due settimane fa, però ho iniziato la scuola solo oggi», spiegò lei.
Rosiel provò una strana sensazione. Parlare con quella ragazza, in quel luogo silenzioso, tra la natura, lo faceva sentire come in un altro mondo. Per un istante si dimenticò di Lucas e di quello successo poco prima nel corridoio. Gli pareva lontano anni luce.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando scesero dall’auto, l’aria fresca di Port Wing sferzò i loro visi. Erano appena arrivati in quella cittadina sperduta nel Wisconsin e già sembrava a loro troppo piccola.

Era finalmente arrivato il giorno in cui Kosari Iendo e suo figlio Ville si trasferirono in America. Era già da parecchi anni che cambiavano casa, dal Giappone all’America, per poi tornare di nuovo in Giappone. Ora erano di nuovo lì. E Ville era felice di esserci. Finalmente avrebbe potuto rincontrare i suoi amici.

Suo padre aveva comprato un locale, all’ingresso dell’autostrada: il Velvet. Ma Ville sapeva che suo padre non era salito su un aereo soltanto per incrementare i suoi affari: ma anche per qualche faccenda del suo passato, che riteneva irrisolta, e che aveva intenzione di riportare alla luce.

Ville non si era mai sentito troppo legato a Kosari. Non parlavano quasi mai, loro due. Da quando erano scesi dall’auto, Kosari pareva eccessivamente contento e sorridente, cosa che Ville non vedeva da tanto tempo. O che probabilmente non aveva mai visto per davvero.

Alzò lo sguardo al cielo e poi sul grande edificio che gli si stagliava davanti. Era una villa immensa, e di eccellente architettura.

«Figliolo, siamo arrivati», annunciò suo padre orgogliosamente, respirando a pieni polmoni l’aria pulita e avviandosi lungo il sentiero di ghiaia.

Ville sospirò e lo guardò allontanarsi: camminava dritto e fiero come un re che va a sedersi sul proprio trono. Un altro sospiro e raggiunse suo padre.


Quella sera non era delle migliori. Il lavoro, al Velvet Diner, era notevole e tutti dovevano darsi da fare per non rischiare di rimanere indietro.

Un ragazzo, con un bel viso e gli occhi chiari come il ghiaccio, indossò la retina bianca, racchiudendoci dentro una chioma di capelli biondissimi, quasi bianchi che gli arrivava di poco fin sotto le spalle. Rosiel uscì dalla cucina, dove l’odore di carne e spezie impregnava l’aria.

Si affrettò al bancone, e si sistemò dietro ad un monitor, pronto a prendere le ordinazioni.

Subito una famiglia composta da quattro persone si fece avanti. Il padre iniziò a parlare, mentre le sue due figlie, di non più di una decina d’anni, fissavano curiose Rosiel. Lui rispose con un mezzo sorriso, mentre premeva sul monitor le ordinazioni.

«Diciotto dollari e settanta», dichiarò.

Il padre pagò immediatamente, il denaro già pronto in mano.

Rosiel incassò i soldi. «Arrivano subito», concluse, sorridendo ancora alle bambine che lo guardavano e chiacchieravano con le loro vocine squillanti.

Diede loro le spalle e si affacciò allo scorcio che dava alla cucina, poi rimase in attesa, fino a quando le scatoline contenenti gli hamburger arrivarono. Rosiel appoggiò tutto su due vassoi, infine aggiunse le patatine fritte e due bicchieri di Coca-Cola.

La famiglia si allontanò verso un tavolo, in fondo alla sala.

E una è andata pensò Rosiel. Non era entrato da molto tempo in quella tavola calda, ma dopotutto doveva pur accontentarsi. Non era un lavoro così brutto, se lo si prendeva con lo spirito giusto. E anche la paga non era niente male, almeno per un ragazzo di diciassette anni. Rosiel lavorava solo di sera e non tutti i giorni, e comunque andasse il lavoro, cercava di farselo piacere.

Servì altri quattro o cinque clienti. Con gioia notò che la gente andava diminuendo; buttò un’occhiata all’orario: le nove. Per molti era ora di tornare a casa.

La porta si aprì nuovamente.

«Rosiel!», una voce familiare lo raggiunse. Si voltò, incontrando i volti familiari dei suoi amici, sulla soglia della porta.

Chris, apparentemente tranquillo come spesso si mostrava, portava i suoi capelli rossi in disordine, lunghi fin sotto le orecchie. Con gli occhi vagò sulle persone sedute, fino ad arrivare su Rosiel.

La prima era Virginia, che quella sera sembrava euforica. Era stata lei a chiamarlo. Si appoggiò al bancone. Passò una mano tra i suoi capelli neri e fissò Rosiel.

Dietro di lei si trovava Angelina. Aveva il viso infantile, e i capelli biondo chiaro la rendevano riconoscibile tra la folla. Si appoggiò a sua volta sul bancone.

«Rosiel, cinque minuti», lo avvertì un ragazzo, che si occupava sia della cucina che delle ordinazioni. Era uno più grande di loro, e quello era il suo lavoro fisso. Lanciò una breve occhiata e un impercettibile cenno del capo ai tre appena entrati, poi riprese a lavorare, rivolgendo la sua attenzione ad un cliente.

Rosiel si volse agli altri con un enorme sorriso.

«Ciao ragazzi», li salutò.

«Come va stasera?», chiese Virginia, ricambiando il sorriso.

«Siamo pieni, c’è un po’ da fare…», si allontanò dalla postazione di lavoro, dirigendosi in un angolo della sala. Volse uno sguardo vago ai tavoli, e si levò la retina che gli aveva schiacciato i capelli.

Chris lanciò un’occhiata attorno. «Infatti».

«Vi fermate a mangiare qualcosa?», chiese Rosiel, osservandoli ad uno ad uno.

Loro si guardarono per un secondo, poi Virginia annuì e Rosiel fece lo stesso.

«Vi raggiungo subito».

I tre ragazzi si allontanarono verso un tavolo, mentre Rosiel tornò in cucina alla ricerca del supervisore. Si levò il grembiule rosso e lo sistemò insieme alla retina sopra ad un tavolo.

«Ehi, Jonas… pausa», gli disse quando lo trovò.

«Okay, Rosiel. Ma non più di venti minuti», lo avvertì Jonas, con l’espressione sempre seria e la voce ferma.


Rosiel si avvicinò al tavolo dei suoi amici, notando Angelina e Virginia appoggiare due vassoi sul tavolo. Chris era già seduto.

Rosiel si sedette a sua volta. Chris prese a mangiare le sue patatine quasi meccanicamente, una dopo l’altra. Angelina e Virginia tirarono fuori gli hamburger dalle loro scatole.

«Quindi, Angie… ci sarebbe quel compito per domani…», fece Rosiel, prendendo una patatina dal sacchetto di Chris.

Angelina lo guardò confusa.

«Sai, il tema di letteratura…».

«Angie, lascia perdere, non aiutarlo», intervenne Virginia, sospirando e scrollando il capo.

Rosiel si voltò verso di lei. «Come non aiutarlo? Devo lavorare e non riesco a farlo per domani».

Lei aprì la bocca per dire qualcosa. «Be’ devi imparare ad arrangiarti, se non ci fosse Angelina come faresti?».

«Dai Virgi… Rosiel te lo passo domani appena ci vediamo», disse Angelina.

«Oh, grazie».

Virginia scrollò il capo un’altra volta, poi alzò gli occhi sulla sala. In quel momento sentì lo sguardo di qualcuno addosso. Corrugò le sopracciglia, e si voltò fino ad incontrare gli occhi del ragazzo che aveva preso le loro ordinazioni.

Era dietro al monitor e puntava dritto a lei. Imbarazzata abbassò subito lo sguardo, e riprese a mangiare, più agitata di prima.

Al suo fianco, la risata di Rosiel si affievolì in quell’istante. Lui e Angelina si scambiarono ancora qualche battuta. Virginia notò sul volto di Chris solo l’ombra di un sorriso.

«Ehi, Chris, tutto okay?», chiese Rosiel.

Chris alzò gli occhi, con aria sperduta. «Sì, tutto bene», disse semplicemente, guardando Rosiel un po’ confuso.

Rosiel si spostò con gli occhi su Angelina, che alzò le spalle, perplessa.

Era già da qualche giorno che Chris aveva uno strano umore. Il più delle volte se ne stava in silenzio e durante le ore di scuola chiedeva più volte al professore di turno di poter uscire. Era inevitabile che loro fossero preoccupati, anche se, per quanto diceva lui, tutto andava bene.

Virginia si alzò dalla sua sedia, facendo del rumore non desiderato. «Vado un attimo al bagno», mormorò. Lasciò l’hamburger dentro la scatola e si allontanò.

Aprì la porta della toilette femminile. Si sporse sul lavandino e si lavò la faccia. Sciacquò velocemente le mani e uscì di nuovo nella sala. Appena aprì la porta, si trovò davanti il ragazzo delle ordinazioni, intento a pulire un tavolo, appena davanti alla porta del bagno. Lui alzò lo sguardo e le sorrise brevemente, con aria professionale.

Virginia lo scrutò un poco. Non era americano: aveva l’aspetto di un giapponese. La chioma spettinata sulla testa, nera, il viso scarno e le guance leggermente pronunciate, con gli occhi piccoli.

Virginia avanzò, diretta al suo tavolo. Quando gli passò accanto, lui la urtò, sospingendola contro il separè a muretto.

Si voltò di scatto e la prese per un braccio. «Oh, scusa», mugugnò.

Virginia scosse la testa e camminò oltre.

Tornò al tavolo e si sedette al suo posto. Rivolse una breve occhiata agli altri e riprese a mangiare il suo cibo. Cercò di reintrodursi nella loro conversazione.

«A che ora finisci?», domandò Angelina.

«Penso alle dieci e mezza o forse più tardi», rispose Rosiel, calmo. Mangiò una patatina, acchiappandola dal pacchetto di Chris.

Lei annuì, e si guardò un attimo in giro. «Ma che cavolo ha quello da fissare?», esclamò a bassa voce, indignata.

Virginia si voltò quel poco che bastava per notare il ragazzo di prima affaccendato a sistemare un altro tavolo, questa volta situato dietro al loro. Chris alzò lo sguardo.

«È qui da poco. Non lo conosco molto bene, ma per quello che ho visto non mi pare abbia molta voglia di lavorare. Si mette spesso a guardarsi in giro. Fissa le persone, è fastidioso», illustrò Rosiel a bassa voce.

«Ce l’ha con te, per caso?», domandò Chris, con voce roca.

Rosiel alzò le sopracciglia. «Non penso. O almeno, io non gli ho fatto niente», fece, non del tutto sicuro. In realtà non ci aveva mai pensato, perché mai quel ragazzo avrebbe dovuto avercela proprio con lui? «Mah», sbuffò alla fine.

«Ah, Angie, poi hai fatto matematica per domani?», chiese Virginia.

Rosiel le rivolse un’occhiataccia, ma lei lo ignorò.

«Ci ho provato, ma non credo vada bene», rispose Angelina.

Virginia alzò le spalle. «È lo stesso, mi faresti dare un’occhiata domattina?».

Angelina annuì e bevve un sorso di Coca-Cola dalla cannuccia.

Rosiel appoggiò il gomito sul tavolo e si rivolse a Virginia. «Come, vorresti copiare?», chiese ironicamente.

Virginia gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Guarda che anche tu lo fai», precisò convinta.

«Ti metti a prendere esempio da me, ora?».

Lei scrollò il capo e alzò gli occhi al cielo.

«Comunque, Angie, faresti copiare anche me?», proseguì.

«Pure matematica?», attaccò Virginia.

«Sì, non c’è problema», rispose Angelina, interrompendo il loro scambio di battute.

«Rosiel, se proprio non sai farlo, fattelo spiegare dal professore. Così almeno magari impari come si fa», intervenne Chris, con la voce bassa e flebile.

Rosiel gli rivolse un’occhiata perplessa. Fu sul punto di ribattere, quando il ragazzo di prima si presentò accanto a lui, in piedi.

«Ti vuole Jonas», bisbigliò.

Rosiel alzò lo sguardo su di lui. Annuì, si alzò e si allontanò, dopo aver fatto un breve cenno agli altri.

Virginia bisbigliò qualcosa ad Angelina, sottovoce, mentre Chris ripose le patatine e abbassò lo sguardo. Un attimo dopo, il ragazzo andò oltre e si fermò al tavolo successivo dove c’erano vassoi da ripulire.


«Rosiel, sai dov’è Ville?», domandò più tardi Jonas, passando dal bancone, dove Rosiel era intento a pulire, mentre non entravano clienti.

«Non l’ho visto».

«Accidenti, fa sempre quel che vuole lui!». Jonas appariva piuttosto alterato, quella sera. Sparì nel retro.

Rosiel si avvicinò al tavolo dove erano seduti i suoi amici che chiacchieravano. Si sedette e ci si accasciò sopra.

«Tutto a posto?», domandò Angelina.

«Ville, il ragazzo di cui vi parlavo prima, è introvabile. Jonas sta impazzendo».

«Ma dove può mai essere andato?», chiese Virginia.

«Che ne so», le parole si spensero, quando lui ributtò la testa sul tavolo, esausto.

«Ragazzi, forse è meglio se io torno a casa, non mi sento molto bene», mormorò Chris, lanciando una breve occhiata agli altri, che seppure preoccupati, annuirono.

«Se te ne vai, veniamo anche noi», affermò Virginia. Rivolse uno sguardo a Rosiel. «Siamo in macchina insieme», disse alla fine.

«Okay, allora ci vediamo», li salutò Rosiel.

Tutti e tre si alzarono. Angelina prese Chris per il braccio e lo tenne stretto fino a che non furono fuori. Lei bisbigliò qualcosa a bassa voce, standogli accanto.

Rosiel li guardò mentre si allontanavano, e tornò al lavoro.


«Ehi», la voce di Jonas lo accolse, quando entrò in cucina. «Mi aiuti a cercarlo?».

Rosiel annuì, senza entusiasmo. «Vado a veder fuori», disse tranquillamente. Uscì dalla porta sul retro, mentre l’aria fredda notturna lo avvolgeva.

Una figura stava in piedi accanto a uno dei bidoni della spazzatura, una colonna di fumo saliva verso l’alto. Rosiel si avvicinò.

«Che stai facendo?».

Ville si voltò di scatto, abbassando la mano che reggeva la sigaretta.

Rosiel scese velocemente con lo sguardo fino alla mano, poi risalì. «Jonas ti sta cercando…», accennò, fulminandolo con i suoi occhi glaciali.

«Ah, Rosiel», fece Ville, ignorando totalmente le sue parole.

«Senti, penso che sia meglio se torni dentro. C’è Jonas che…».

«Che mi sta cercando, sì ho capito».

Rosiel lo guardò stranito. «Non hai intenzione di rientrare?», domandò, scrutandolo.

«Aspetto di averla conclusa», alzò la sigaretta.

Rosiel fece un cenno con il capo. «Non penso tu abbia chiesto una pausa, altrimenti Jonas non ti starebbe cercando così…».

«Non ho chiesto nessuna pausa, infatti», fece Ville, con un sorrisetto.

«Forza, rientriamo», tagliò corto Rosiel.

«Ti ho detto di aspettare…».

«Guarda che se vuoi tenerti questo lavoro, la fumi in un altro posto la sigaretta».

Ville sospirò e alzò gli occhi al cielo.

«È mio padre il proprietario del Velvet, non mi succederà proprio un bel niente».

Rosiel fu sorpreso. Non sapeva che il padre di Ville fosse un personaggio di rilievo. Ma magari Jonas avrebbe potuto informare suo padre del suo comportamento, sempre che a suo padre fosse importato qualcosa.

«Ah, quindi è tuo padre che ti ha messo a lavorare qui?».

Ville fece di sì con il capo, in un gesto piuttosto teatrale. «Secondo lui la scuola non mi tiene abbastanza impegnato…». Tirò dalla sigaretta e lo guardò.

Rosiel non lo riusciva a capire. Fino a poco tempo prima gli pareva un po’ tonto e impedito, ma ora, d’un tratto era diventato più serio.

Ville lanciò il mozzicone di sigaretta a terra, pestandola con la punta della scarpa.

«Okay, ora possiamo tornare dentro», disse.

  
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