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Autore: QueenVLondon    07/05/2012    3 recensioni
Il week end precedente al reshoot di "Breaking Dawn Parte 2" Robert Pattinson decide di andare a Washington... Ma cosa, o chi, lo ha convinto ad andare lì?
Dal testo:
"I loro sguardi si incrociarono e, senza dire una parola, Robert entrò nella stanza, chiudendosi frettolosamente la porta alla spalle.
Non prestò la minima attenzione al mobilio, né ad altro: tutta la sua attenzione era rivolta alla donna di fronte a lui".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scese dall'auto scura cercando di non dare nell'occhio e percosse rapidamente i pochi metri che lo separavano dall'entrata dell'hotel.

Teneva la testa bassa, lo guardo fisso sul pavimento. Ormai era diventata un'abitudine, peccato che i suoi tentativi di divenire invisibile fallissero quasi sempre miseramente. Ovunque andasse qualcuno riusciva a riconoscerlo; erano lontani i tempi in cui poteva uscire con i suoi amici, o fare qualcosa senza preoccuparsi di essere fotografato, oppure, peggio ancora, inseguito.

“E' un piacere averla di nuovo qui”, gli disse l'uomo al reception.

Lui annuì, senza togliersi né il capellino da baseball, né gli occhiali da sole. Gli portava nonostante fosse notte fonda: gli davano l'illusione di potersi celare agli sguardi altrui.

Ringraziò il consierge per la sua discrezione ed afferrò la card magnetica, che gli stava porgendo. Si rimise il borsone in spalla e si diresse verso l'ascensore.

Ormai sapeva bene come muoversi in quell'ambiente. Non era la prima volta che si recava lì, ma stavolta la motivazione era molto diversa dal solito.

Non era lì per i suoi amici, non soltanto almeno, era lì per vedere lei.

Sul suo volto stanco si dipinse immediatamente un sorriso al pensiero che fra poche ore l'avrebbe rivista.

 

Stranamente scomparire tra la folla non fu difficile come aveva creduto. Il locale era molto più affollato dell'ultima volta in cui era stato lì. Erano passati tre o quattro mesi, forse di più.

Ormai non calcolava il tempo come le persone normali. La sua vita non era quella di un qualunque ragazzo di 26 anni. In realtà ne avrebbe avuti 25 ancora per un paio di settimane, ma che differenza c'era fra 25 e 26? Non riusciva proprio a coglierla. Anzi, la maggior parte del tempo se ne sentiva addosso molti di più.

Stava per tirare un sospiro di sollievo, quando ebbe la familiare, ed al tempo stesso fastidiosa, sensazione di essere osservato.

Almeno una sera potrei avere un po' di pace? Non è concessa anche ai carcerati una serata libera?”, pensò, passandosi una mano fra i capelli cortissimi.

Evitò di voltarsi, ma era consapevole che la fonte del suo stress sarebbe presto venuta da lui.
Foto oppure autografo? Forse entrambe... Giusto per non farsi mancare nulla.

Non era riuscito a godersi neppure i concerti al Coachella Music Festival...

Ma quella era tutta un'altra storia e, in quel momento, non aveva proprio voglia di pensarci.

Mise in bocca un boccone di bistecca e tentò di riconcentrarsi sul discorso dei suoi amici.

Stava per ribattere ad un'affermazione di uno di loro, quando sentì qualcuno schiarirsi la voce con il preciso intento di richiamare la sua attenzione.

Si stampò in faccia un sorriso cordiale, di circostanza, e si voltò, cercando di apparire rilassato.

Non rimase sorpreso di trovarsi davanti una ragazzina, avrà avuto sì o no 12, forse 13 anni. Non era mai stato particolarmente bravo nello stabilire le età.

Le guance della ragazzina, che riconobbe essere la figlia del proprietario, si dipinsero di rosso quando l'attore la guardò e lo salutò con un sorriso imbarazzato.

Ormai era abituato ad aspettarsi qualsiasi tipo di reazione delle fan, per cui una bambina che arrossiva gli appariva piuttosto innocua.

Anzi, la guardò con sincera tenerezza e firmò senza fare storie il menù, che questa gli stava porgendo.

Fortunatamente non gli chiese neanche una foto.

“Allora, fra quanto ci abbandonerai per correre in hotel?”, gli domandò Nick, quando ebbero finito di cenare.

Gli altri tre ragazzi ridacchiarono.

Robert diede un'occhiata all'orologio: segnava già le 9:30 PM.

“Direi adesso”, rispose e sul suo volto si dipinse un sorriso involontario.

Era convinto che ormai fosse già in hotel ad aspettarlo. Se non altro, ci sperava.

Erano quasi due mesi che non si vedevano, escludendo le video-chiamante su Skype. Aveva bisogno di vederla.

Finì di bere la sua birra, poi salutò i suoi amici, con la promessa di incontrarsi prima dell'inizio dell'estate, ed uscì dal locale, tenendo la testa bassa.

 

 

Stava osservando senza interesse i quadri appesi alle pareti: non era un'esperta di arte contemporanea, ma le bastò uno sguardo per riconoscere le riproduzioni che aveva davanti.

Un'opera “Senza titolo” di Pollock, “Un'incisione con taglio” di Fontana.

Si era sempre domandata come si potesse definire opere d'arte alcuni lavori di artisti più o meno disturbati. Ma lei non era un'esperta d'arte. Le piacevano Degas, Picasso, trovava interessante persino il lavoro di qualche futurista, quale Boccioni, ma proprio non riusciva a comprendere come si potesse definire un capolavoro di inestimabile valore una tela, su cui era stata praticata un'incisione. Chiunque avrebbe potuto farlo. Persino lei, addirittura in quel momento, in quella stanza. Mentre lo aspettava.

Sospirò. Quando era nervosa la sua mente si perdeva in strane riflessioni.

Camminò su e giù per la stanza, ma quel movimento, invece di rilassarla, la agitò ulteriormente. Così si sedette di nuovo sul letto e si mordicchiò un'unghia, rovinandosi lo smalto rosso.

Accidenti!, pensò, alzandosi ed afferrando l'iPhone.

Era stato un suo regalo. Le aveva detto che non gli era costato nulla, che gliene avevano fatti avere un paio in omaggio. Lei era rimasta senza parole.

A chi regalavano oggetti del genere gratis?

Certamente alla gente comune non accadeva...

Osservò il display. Niente. Non un messaggio, non una chiamata. Solo due palme in mezzo all'oceano incontaminato. Il suo sfondo del telefono.

Si alzò di nuovo e si affacciò alla finestra. La sola cosa che vedeva era la fila incessante di automobili in strada e le persone che camminavano.

Erano le 10:00 PM.

Dov'era?

Forse non aveva ricevuto il suo messaggio, nel quale lo avvisava che era già arrivata.

Era impossibile che se ne fosse dimenticato, era stata una sua idea quella di vedersi lì, in quell'hotel, quella sera....

Ma allora perché attardava ad arrivare?

Di certo non poteva scendere nella hall e chiedere sue notizie al consierge.

 

 

Diede un'occhiata all'orologio. Non aveva voluto rinunciare all'ultimo boccale di birra con gli amici ed adesso era discretamente in ritardo.

Era da parecchio tempo che non si sentiva così bene e gli era dispiaciuto lasciarli a The Majestic; tuttavia, la sua prospettiva era senz'altro più interessante.

Sempre che lei ci fosse... Doveva esserci. Aveva bisogno di vederla, di parlarle, di percorrere con le dita il suo corpo esile e tonico. Voleva fare l'amore con lei, una, dieci, cento volte. Non gli pareva mai abbastanza.

Superò la porta della sua suite e raggiunse la stanza di lei. Si fermò lì davanti, con le mani che gli sudavano, incerto sul da farsi.

Probabilmente non era felice del suo ritardo. Deglutì e bussò, una sola volta, con decisione.

Si sentì rinascere soltanto nel momento in cui la vide in piedi davanti a sé.

I loro sguardi si incrociarono e, senza dire una parola, Robert entrò nella stanza, chiudendosi frettolosamente la porta alla spalle.

Non prestò la minima attenzione al mobilio, né ad altro: tutta la sua attenzione era rivolta alla donna di fronte a sè.

I suoi lunghi e soffici capelli biondi erano raccolti dietro la testa con un fermaglio. Indossava un paio di jeans ed una canottiera bianca. Era bellissima.

La ragazza lo guardò per un istante che gli sembrò interminabile e poi le sua labbra si aprirono in un sorriso di sollievo nel vederlo lì. Aveva dubitato che sarebbe arrivato.

Robert si avvicinò in silenzio, le prese il viso fra le mani e la baciò ripetutamente. Non aveva mai desiderato così tanto qualcuna. Mai.

“Mi spiace di essere in ritardo”, le sussurrò fra un bacio e l'altro.

Lei annuì, paziente. Ormai erano abituati a vivere alla giornata, a vedersi raramente e per poco tempo.

“Ti sei divertito?”, gli chiese.

“Sì”, le rispose con lo sguardo acceso di desiderio. “Sono felice che tu sia qui”.

Melyssa osservò attentamente l'uomo che aveva di fronte, il suo uomo ed ogni dubbio, ogni perplessità, ogni ansia, scomparve a velocità record.

Robert le passò una mano intorno alla vita e l'attirò con vigore a sé. Per quanto tempo aveva atteso quell'incontro. Non poteva aspettare un istante di più. La voleva.

La ragazza non oppose la minima resistenza e si lasciò andare alle sue carezze, ai suoi baci. Il suo corpo esile vibrava di piacere ad ogni tocco delle sue dita, che si muovevano con una sapienza da maestro lungo il suo collo, le sue spalle, la sua schiena, il suo seno, fino a fermarsi sui suoi glutei.

“Mi sei mancata così tanto”, le disse, con voce roca di desiderio.

Gettò a terra la camicia e si sfilò rapidamente la t-shirt, che aveva ancora addosso. Mel osservò vogliosa il torace del suo ragazzo ed iniziò ad accarezzarlo.

Robert le sfilò la canottiera e la spinse sopra il letto. I loro sguardi ardevano di passione.

“Ti voglio”, le sussurrò.

Lei non disse nulla, ma tirò giù la cerniera dei jeans del suo ragazzo con un gesto sicuro, dopodiché lo baciò appassionatamente. Poi si liberò anche dei suoi indumenti e contemplò il volto del meraviglioso uomo che era sopra di lei, dentro di lei.

 

 

Il viso di Robert era appena visibile nella penombra della stanza, ma poteva sentire il suo sguardo fisso su di lei. Mel poggiò la testa contro il suo torace e si lasciò sfuggire un sospiro.

“Mel...”, mormorò con tenerezza, sfiorandole un braccio.

Lei scosse la testa.

“Sto bene, Rob”, gli disse per rassicurarlo.

Il ragazzo si incupì, ma prima che potesse aprire bocca, si affrettò ad aggiungere con un velo di umorismo:

“Sai, mi piaci di più con un pò di barba, ma presenta qualche inconveniente quando mi baci. Graffia!”

Lui scoppiò a ridere e, in quel momento, per un istante, si sentì davvero soltanto un ragazzo di 25 anni, che stava parlando con la sua ragazza.

“Sai che trovo noioso radermi”.

“Lo so”, dichiarò lei, con un sorriso complice.

Si era innamorata di lui per tutte le sue contraddizioni, perché non era come gli altri uomini che aveva incontrato. Era diverso. C'era una sorta di aurea magica intorno a Robert ed era la stessa aurea che le permetteva di tollerare quella situazione a dir poco paradossale.

Si erano conosciuti circa un anno prima, durante un evento benefico, a Los Angeles, al quale aveva partecipato anche lei. All'inizio avevano scambiato due parole sulla festa, sugli ultimi libri letti e sulle pessime abitudini dei californiani.

Poi si erano ritrovati a bere qualcosa insieme dopo il concerto di Adele a Ferragosto e fra loro era nato un sentimento, un'amicizia sincera, qualcosa a cui non era mai riuscita a dare un nome.

Ma quando l'attore si era fatto avanti, Mel si era tirata indietro, perché sapeva, credeva, che fosse già impegnato con un'altra e, l'ultima cosa che avrebbe voluto, era essere l'altra.

Tuttavia, dopo molte spiegazioni e silenzi imbarazzati, Robert le aveva spiegato che le cose non stavano esattamente così fra lui e Kristen Stewart. Erano stati una coppia, ma già da tempo, nonostante le apparenze e quello che i giornali continuavano a scrivere, non lo erano più.

Mel era rimasta sempre più perplessa dalle parole di Robert, ma alla fine aveva capito perfettamente la situazione ed, a maggior ragione, si era tirata fuori da quella storia. O almeno così aveva creduto.

Tuttavia, ben presto si era resa conto che amava Robert. Non voleva rinunciare a lui, anche perché quest'ultimo non aveva certo intenzione di lasciarla perdere e gli aveva dimostrato in più di un'occasione, a cominciare dalla cena che era riuscito segretamente ad organizzare affinché Mel potesse conoscere la sua famiglia, quanto tenesse a lei.

La situazione era tutt'altro che semplice, poiché c'erano due verità, due versioni della stessa storia: quella che conoscevano soltanto loro e quella di cui tutti parlavano da anni.

La seconda era la più difficile da gestire: Robert e Kristen erano una coppia, anzi erano la coppia. Quella che tutti invidiavano, quella che serviva a vendere i giornali ed i film della Twilight Saga.

Poi c'era la prima versione della storia, quella che univa Robert e Mel, quella che non si era mai basata sulla pubblicità, o sulla fama.

“Soltanto un anno, Mel. E ti giuro che non dovremo più nasconderci. Te lo prometto”, le disse Robert, con voce chiara, prendendole la mano e baciandogliela nella semioscurità.

“Lo so, amore”, gli assicurò lei, passandogli una mano fra i capelli.

Le piaceva con quel taglio.

 

 

Robert fissò il cielo tetro e capì che ormai mancava poco all'atterraggio. Si torturò le mani, nervoso. Era stato avvisato che ci sarebbero stati parecchi paparazzi ad attenderlo al suo arrivo all'aeroporto di Vancouver. Sospirò e, non appena l'aereo toccò terra, afferrò il suo borsone e seguì l'hostess fuori.

Impiegò pochissimo tempo per superare i controlli di routine: l'impiegata alla dogana aprì a malapena il suo passaporto e lo salutò con un sorriso cordiale, che lui ricambiò a malapena.

Il teatrino stava per ricominciare. Questione di pochi istanti e si sarebbe trovato davanti schiere di paparazzi pronte ad immortalare ogni sua mossa, per poi vendere le sue foto ai giornali. Di certo pregavano che inciampasse, oppure che fosse abbastanza irritato da tirargli un pugno. Sarebbe stata una ventata d'oro per loro. Non gliene faceva neppure una colpa: era il loro mestiere, come quello di fingere che andasse tutto bene era il suo. Doveva essere professionale. Cercava di essere professionale. Era professionale. In certi giorni era complicato persino per lui riconoscersi nella sua stessa pelle.

Non sarò Edward per sempre. La gente si stancherà di Twilight e potrò essere di nuovo Robert”, pensò, mentre i flash dei paparazzi lo accecavano.

Gli occorreva soltanto ancora un briciolo di pazienza. Quella tortura sarebbe finita presto e finalmente non avrebbe più dovuto rendere conto di ogni suo minimo spostamento.

Salutò Dean, il suo bodyguard, con un cenno della testa e salì in auto, pronto a vestire per l'ultima volta i panni di Edward Cullen.

 

 

 

 

 

 

  
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