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Autore: _hurricane    07/05/2012    10 recensioni
Raccolta di Missing Moments della mia fanfiction Let Me Be Your Sun: 8 momenti diversi della loro vita, alti e bassi, sconfitte, vittorie.
Perchè ci sono tanti modi in cui il sole può splendere. Come le albe, i tramonti e le aurore boreali.
“…mi avresti fermato e mi avresti chiesto Scusa, posso farti una domanda? Sono nuovo qui! e io avrei fatto finta di crederci” concluse Blaine al suo posto, soffocando una risatina di scherno. Kurt gli diede una spallata, per poi raggomitolarsi di nuovo contro di lui.
“Poi mi avresti preso per mano, così, senza pensarci” continuò, lo sguardo lontano.
“Senza neanche conoscerti?” domandò Blaine, un piccolo sorriso sul volto. Dio, sapeva che lo avrebbe fatto. Sapeva che se quando si erano conosciuti Kurt fosse stato diverso, se tutto fosse stato diverso, avrebbe allungato una mano verso il suo cuore alla prima occasione, dal primo istante.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blaine conosce Richard.

 

 

 

 

 

“Papà, perché piangi?”

Blaine alzò la testa dalle sue mani, togliendo i gomiti da sopra il tavolo del salotto. Si asciugò velocemente gli occhi, strofinando con forza e rendendoli così ancora più rossi, e cercò di chiudere il diario e l’album di fotografie che aveva di fronte prima che suo figlio si accorgesse di loro.

“E’ tutto ok, Kurt, torna a dormire” gli disse, mentre il bambino camminava a passo felpato verso di lui, i piccoli piedi coperti dai calzini che creavano un ritmico suono ovattato sul pavimento di legno. Kurt ignorò quello che aveva appena detto – testardo, così testardo com’era lui – e alla fine lo raggiunse, incrociando le braccia sul bordo del tavolo e appoggiandovi sopra il mento per sbirciare. In silenzio, allungò una mano e prese una delle fotografie che c’erano sparse sopra, che Blaine aveva rimosso momentaneamente dall’album per guardare meglio come se non le conoscesse tutte a memoria, come se non riuscisse ancora a sentire la risata di Kurt quando rimaneva a fissarle.

“E’ papà?” chiese suo figlio, osservando la fotografia che aveva preso. Era una delle tante che Blaine aveva scattato mentre lo guardava dipingere; in quella in particolare, aveva i capelli letteralmente in ogni direzione e una macchia di pittura blu sulla punta del naso – se lo era grattato dimenticandosi di avere le dita sporche, pensò Blaine – e stava sbirciando verso l’obiettivo con la coda dell’occhio, un piccolo sorriso consapevole sul volto nel rendersi conto che Blaine aveva scattato proprio in quell’istante.

“Sì” rispose Blaine con la voce incrinata, osservando attentamente l’espressione di suo figlio che cambiava leggermente, diventando subito più curiosa. Lo vide arricciare il naso, avvicinando il viso alla fotografia per cogliere meglio ogni dettaglio, ogni lineamento.

Era passata qualche settimana da quando gli aveva spiegato che era morto, che non era semplicemente una stella del cielo. E Kurt era ancora così piccolo, così dannatamente piccolo, che Blaine non riusciva a fare a meno di provare una punta di bruciante orgoglio nel vedere quanto fosse maturo, quanto fosse in grado di capire senza dover chiedere.

Kurt sarebbe così fiero di te.

“Posso vedere le altre?” chiese il bambino, e Blaine tirò indietro la testa, colto di sorpresa, ma senza dire nulla ne raccattò alcune da sopra il tavolo e gliele porse. Ce n’era una del loro matrimonio, Kurt con un braccio intorno alla sua vita con il sorriso più grande che avesse mai fatto, l’arco bianco dietro di loro e il verde di Central Park tutto intorno, i due anelli, difficili da vedere dentro la fotografia, che ogni singola volta riuscivano a cogliere l’attenzione di Blaine.

In un’altra erano sul prato di notte, seduti sopra una tovaglia a quadretti rossi e bianchi con cestini di cibo intorno a loro; Kurt stava mangiando una fetta di pane con sopra la marmellata – di fragole, la sua preferita – e poco prima che la foto venisse scattata da Burt stava lottando animatamente con una zanzara che non aveva la minima intenzione di lasciarlo in pace, mentre Blaine rideva sotto i baffi con un panino al burro d’arachidi in mano.

“Sembra simpatico” esordì il figlio di Blaine, la testa inclinata da un lato mentre rifletteva silenziosamente, l’espressione concentrata come se si stesse sforzando con tutto se stesso per farlo.

“E tu come fai a dirlo?” gli domandò Blaine, appoggiando il mento sul palmo di una mano e guardandolo dall’alto verso il basso con curiosità.

“Ha un bel sorriso” rispose con ovvietà il bambino, spostando lo sguardo da una foto all’altra e annuendo quando si rese conto che era proprio come aveva detto. Blaine lo fissò per un attimo, prima che il suo cuore si contorcesse dentro il suo petto fino a curvarsi su se stesso e poi esplodere.

“Papà?” chiese Kurt in tono preoccupato, posando le foto sul tavolo e strattonandogli la maglietta quando lo vide scoppiare a piangere, la testa di nuovo sepolta tra le braccia conserte. “Scusami, non volevo farti piangere, non piangere…”

Blaine continuò a singhiozzare per almeno cinque minuti buoni, mentre suo figlio gli accarezzava la schiena con la sua piccola mano, inesperta e titubante – un flash attraversò la mente di Blaine, un’altra mano incerta, un’altra esplosione di singhiozzi dentro una stanza della Dalton – eppure in un modo così terribilmente adulto.

“E se io trovo un altro papà? Tu starai meglio?” esordì Kurt, e all’improvviso Blaine smise di piangere e alzò la testa.

No.

Si voltò del tutto e guardò il figlio con espressione dura, quasi ferita, come se lo avesse appena tradito. Kurt sgranò leggermente gli occhi ed indietreggiò, torturandosi il bordo del pigiama con le mani e abbassando gli occhi sul pavimento.

“C’è- c’è una bambina nella mia classe e- e suo padre era andato in guerra” disse, incespicando sulle parole. “E mi ha detto che la sua mamma piangeva sempre, però poi ha trovato un altro papà e adesso sorride, allora ho pensato che-“

“Le cose non vanno per tutti allo stesso modo, Kurt” lo interruppe Blaine, serrando la mascella. Il figlio si morse il labbro, tirando leggermente su col naso, e Blaine inspirò e si passò una mano sugli occhi per cercare di calmarsi. Per qualche attimo ci fu solo silenzio.

“Scusa” sussurrò Kurt, e quando Blaine riportò lo sguardo su di lui vide che aveva una piccola lacrima sulla guancia.

“No, no, non piangere” gli disse, alzandosi dalla sedia sulla quale era seduto. Si abbassò su di lui e lo prese in braccio, accarezzandogli la testa e facendogliela appoggiare sulla sua spalla. “Shh, non hai fatto niente di male, è tutto a posto.”

“Ora pensi che io non voglio bene a papà” singhiozzò Kurt, stringendogli le braccia intorno al collo. Blaine si trattenne dall’esplodere di nuovo – fai l’adulto, Blaine, fai il padre, dio – e lo strinse con forza, cullandolo lievemente in alto e in basso.

“No, no, lo so che gli vuoi bene” gli rispose, sussurrandoglielo nell’orecchio. “Lui sa che gli vuoi bene.”

“E come fa a saperlo?” domandò Kurt, la voce improvvisamente così piccola e indifesa che ricordò a Blaine, come se non lo sapesse già, il peso che gli aveva messo sulle spalle.

“Non te l’ho detto? Le stelle sanno sempre tutto” gli rispose, una lacrima che alla fine ebbe la meglio su di lui e gli scivolò sulla guancia. “Di giorno non le vedi solo perché c’è il sole, ma ci sono lo stesso, non vanno mai via.”

Kurt rimase in silenzio per un po’, i piccoli singhiozzi che a poco a poco si attutirono fino a diventare il ritmo di un respiro un po’ più strozzato e affannato del normale. Blaine gli accarezzò la schiena, su e giù, su e giù, e gli sfiorò i capelli con la sua guancia umida prima di dargli un bacio.

“A cosa stai pensando?” chiese a suo figlio, sapendo con assoluta certezza che non aveva smesso di riflettere. Era uno di quei bambini che pensavano anche nel sonno, che in ogni secondo della loro vita avevano qualcosa che gli frullava per la testa.

“Se- se lui sa sempre tutto” - rispose infatti Kurt, alzando la testa dalla sua spalla per guardarlo – “allora sa anche che sei triste?”

Blaine inspirò e chiuse gli occhi, facendo combaciare la sua fronte a quella molto più piccola del bambino. Non rispose.

 


“Allora, come sta andando?” disse Blaine, facendo il giro dell’isolotto della cucina per aprire lo sportello dove teneva i biscotti. Ne tirò fuori un pacco e lo aprì, per poi prenderne distrattamente uno e portarselo alla bocca.

“Io e Charlie stiamo facendo le sottrazioni” gli rispose Kurt con entusiasmo dal tavolo che c’era al di là del bancone, le sue gambe che ondeggiavano al di sotto della sedia senza riuscire a toccare terra, e Blaine non potè fare a meno di sorridere e appoggiare i gomiti all’isolotto per godersi la scena. Charlie era un compagno di classe di Kurt, che lui aveva invitato a casa per studiare; un bambino timido e silenzioso che distoglieva lo sguardo non appena Blaine gli rivolgeva la parola.

Rimase ad osservarli, a concentrarsi sulle piccole differenze tra di loro. Charlie continuava a cercare di sbirciare verso Kurt per vedere cosa stesse scrivendo, mentre Kurt era totalmente nel suo mondo: la lingua tra le labbra, all’angolo della bocca, in evidente segno di concentrazione; le sopracciglia corrugate, la testa inclinata da un lato, la penna stretta con forza tra le piccole dita mentre si sforzava di scrivere i numeri bene in fila senza uscire dalla riga di quadretti.

“Charlie, a che ora vengono a prenderti i tuoi genitori? Tra un po’ sarà buio, e io e Kurt dobbiamo… fare una cosa” disse Blaine, lo sguardo che saettò subito fuori dalla finestra dove il cielo si stava a poco a poco tingendo di rosso, preparandosi al tramonto.

Dobbiamo andare in giardino a stenderci sul prato e cercare la stella più luminosa del cielo per dirgli che lo amo ancora.

“Tra- tra qualche minuto, signore” gli rispose il bambino, mordendosi il labbro. “Però la mamma era impegnata, viene mio zio a prendermi.”

“Va bene, non c’è problema” gli disse Blaine distrattamente, tutta la sua attenzione ormai rivolta a quel quadrato di cielo che riusciva a vedere. Quando Kurt c’era ancora, le finestre erano sempre oscurate di giorno, fino a dopo il tramonto. Era strano, riuscire a guardare fuori.

Proprio in quel momento, il campanello dell’ingresso suonò.

“Beh, dev’essere lui allora” disse Blaine, scuotendo la testa per tornare alla realtà. Drizzò la schiena e fece il giro del bancone, oltrepassando il tavolo e arruffando i capelli di suo figlio mentre passava. Quando andò ad aprire alla porta, si trovò davanti un uomo alto e di bell’aspetto, le spalle larghe e i capelli castani tagliati molto corti. Aveva gli occhi di un verde bellissimo, smeraldo quasi. Blaine si sentì terribilmente in colpa nel notarlo.

“Salve, sono Richard, lo zio di Charlie” disse l’uomo con un sorriso, allungando subito una mano per stringere la sua.

“Blaine Hummel-Anderson, piacere” rispose Blaine, scuotendola. “Prego, Charlie è quasi pronto.”

Facendosi da parte, lasciò che l’uomo oltrepassasse la soglia, che entrasse in casa sua. In casa loro. Fu strano, perché a parte Burt, Finn o suoi familiari, nessuno lo aveva mai fatto, nessun estraneo. Kurt andava quasi sempre a giocare a casa di suoi compagni, piuttosto che il contrario; e quelle poche volte che qualcuno era venuto lì a prendere il figlio, era rimasto sulla porta ad aspettare.

E forse fu l’apprezzamento silenzioso che Blaine aveva fatto ai suoi occhi, a farlo sembrare così sbagliato. Fu il fatto che stava osservando l’ampiezza delle sue spalle, il modo in cui il maglione sagomato accentuava le linee del suo petto, il gusto impeccabile nel vestire. Fu quello, a farlo sentire un traditore. Blaine deglutì.

“Ehi, campione!” esclamò Richard, facendo il giro del tavolo per dare un pizzicotto sulla guancia al nipote e sbirciare cosa stava scrivendo. Charlie sorrise ma si raggomitolò leggermente allo stesso tempo, chiudendo subito il quaderno e affrettandosi a sistemare tutto nello zaino che aveva appeso allo schienale della sua sedia.

Smettila di guardarmi.

“Spero non abbia creato problemi a lei e sua moglie” esordì l’uomo, ignaro di come stessero le cose, e Blaine avrebbe letteralmente voluto fondersi con il pavimento in quel preciso istante. Tutte le mamme si tenevano ben lontane dall’argomento, conoscendolo a grandi linee; chiaramente, i genitori di Charlie non si erano ricordati di farlo sapere anche a Richard.

“Non- non ho una moglie” rispose Blaine, schiarendosi la voce prima di continuare. “Kurt. Il suo nome è Kurt.”

“Oh, chiedo scusa” disse Richard, grattandosi la nuca con fare impacciato. “Terribile gaffe. Comunque sia, non si crei assolutamente problemi al riguardo. Sa com’è… stessa squadra.”

Cazzo, non guardarlo. Non guardarlo non guardarlo non guardarlo.

“Spero di avere il piacere di conoscere anche lui, allora” continuò Richard, vedendo che Blaine non accennava a voler rispondere. Blaine abbassò lo sguardo.

“Vuoi venire con noi? Te lo facciamo conoscere!” esclamò Kurt, saltando giù dalla sedia mentre Charlie scendeva lentamente dalla sua, affrettandosi poi per stargli dietro mentre Kurt raggiungeva suo zio e gli sorrideva dal basso verso l’alto.

Kurt” lo ammonì Blaine, le dita che formicolavano e gli occhi che iniziavano a bruciare mentre nella sua testa era tutto un No no no no ti prego no.

“E dove dovrei venire per conoscerlo?” chiese Richard, piegando le gambe per abbassarsi ed essere all’altezza di Kurt. Gli sorrise teneramente, e Blaine non potè fare a meno di notare quanto sembrasse gentile, onesto, affettuoso. Non potè fare a meno di rendersi conto di quanto sentisse la mancanza, in quel momento, di qualcuno che sorridesse a lui in quel modo, e No no no no non fargli questo, Blaine non fargli questo, mandalo via.

“Con noi in giardino, a guardare il cielo!” rispose Kurt, prima di alzare lo sguardo verso suo padre per cercare conferma. Ma Blaine non fece in tempo a scuotere la testa, che il bambino riprese a parlare: “Lo sai, lui è la stella più bella di tutte.”

Richard inspirò e ritrasse lievemente la testa, alzando gli occhi verso Blaine. I loro sguardi si incontrarono.

“Io- io credo che dovrei andare” disse Richard, schiarendosi la voce. Si alzò e si sistemò le pieghe del pantalone, prima di voltarsi per raggiungere il tavolo e prendere lo zaino di Charlie dalla sua sedia. Blaine lo osservò, le braccia strette intorno a sé e gli occhi che continuavano a pizzicare fastidiosamente. Era come se avessero appena scoperto un suo grande segreto, come se lo avessero denudato davanti a tutti, e il pensiero di quell’estraneo che si stendeva insieme a loro sul prato con lo sguardo verso il cielo gli fece venire la nausea.

Non dimenticarmi. Anche quando andrai avanti e avrai una famiglia e sarai felice… non dimenticarmi, Blaine. Almeno un pezzo, un pezzetto del tuo cuore, anche il più piccolo e insignificante, conservalo per me.

Blaine spalancò gli occhi, come se una freccia lo avesse appena colpito al petto.

Anche quando andrai avanti e avrai una famiglia e sarai felice.

Kurt voleva che fosse felice. Voleva che andasse avanti, che vivesse, che si innamorasse di nuovo e avesse una famiglia. Ma Blaine non sapeva come fare; dopo sei anni, non sapeva nemmeno se volesse farlo davvero.

“Papà, papà, facciamoglielo conoscere!” riprese ad insistere Kurt, correndogli incontro e tirandogli la stoffa dei pantaloni. Blaine lo guardò con la mascella serrata, i pugni chiusi ai fianchi, incapace di trovare un modo per dirgli di no che fosse più gentile del gridare, gridare con tutto il fiato che aveva in corpo di smetterla, smetterla di cercare inconsciamente di spingerlo verso una felicità che non voleva.

“Ora devo proprio andare, Kurt” disse Richard, prendendo Charlie per mano e scoccando a Blaine un’occhiata comprensiva, quasi di silenziose scuse. “Ho degli impegni, un’altra volta magari, ok?”

“Ok” gli rispose Kurt, il tono speranzoso. “Un’altra volta.”

Blaine deglutì e si voltò, aprendo finalmente la porta d’ingresso.

“Kurt, vai a prendere il cappotto così dopo usciamo” disse a suo figlio, aspettando che si fosse allontanato dalla stanza prima di riportare lo sguardo su Richard, ora in piedi sulla soglia al di là dello stipite.

“Mi dispiace” disse l’uomo, mordendosi il labbro e sbattendo le palpebre sui suoi dannati occhi verde smeraldo.

“Non è colpa tua” rispose Blaine con un’alzata di spalle. “E’ solo un bambino molto insistente.”

“Non dev’essere facile… crescerlo da solo” gli disse Richard, lo sguardo rivolto verso l’interno sul punto in cui poco prima si trovava il bambino.

“Certe volte è più dura di altre” fu la risposta di Blaine. Il sole intanto era calato del tutto, e lui era già in ritardo. Quando riportò lo sguardo su Richard, con l’intenzione di salutarlo definitivamente, vide che c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi, come se stesse attentamente riflettendo su cosa dire. Trattenne il fiato.

“Se hai voglia di parlare, mi- mi piacerebbe…” – disse l’uomo, abbassando il tono della voce – “…sentirti.”

Blaine lo fissò, deglutendo il nodo che aveva improvvisamente in gola e cercando dentro di sé la forza di non scoppiare a piangere lì, in quel momento di fronte al secondo uomo più bello che avesse mai visto. Di fronte ad una persona gentile e comprensiva che sicuramente lo avrebbe stretto tra le sue braccia senza pensarci due volte, se lo avesse fatto. Che gli avrebbe detto che andava tutto bene e che non doveva vergognarsi di niente e lo avrebbe riportato in casa, magari sul divano, per poi offrirsi di preparargli qualcosa di caldo.

Sembrava proprio una di quelle persone. Genuine. Vere. Blaine aveva così dannatamente bisogno di qualcosa di vero. Qualcosa da poter toccare che non fosse né un quadro, né una pagina sbiadita, né una fotografia. Qualcosa che gli rispondesse e gli accarezzasse i capelli mentre piangeva nel sonno, qualcosa che non fosse lontana anni luce, brillante, perfetta, inafferrabile.

Blaine aveva bisogno di Kurt. Ma Kurt non c’era, e Richard sì. Richard era lì e se solo avesse trovato il coraggio, avrebbe potuto dirgli di si e chissà, chissà cosa sarebbe successo. Blaine era ad un bivio, fermo esattamente al centro dell’incrocio, senza sapere che cosa fare.

Continuerei a vivere, perché è ciò che tu vorresti. Ed è ciò che io voglio, Blaine.

Promettimelo.

“Anche a me” disse tutto d’un fiato, prima di potersene pentire. Si sentì un po’ più leggero, e il senso di colpa sfumò lievemente come tempera diluita su una tela.

Grazie a quelle parole, senza saperlo ancora, Blaine mantenne la sua promessa.

 

 

   
 
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