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Autore: DarkBlue    07/05/2012    7 recensioni
nel cartone non si vede questa storia, quindi ho cercato di descriverla nel miglior modo possibile. io scrivo e voi, che ora state leggendo, immaginate una bambina da occhi chiari come il cielo dell'ovest e rossi capelli. immaginate la sua tristezza, la sua sofferenza e il bisogno insaziabile di dare affetto a qualcuno che non esiste
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella mia mente vedevo solo il volto di un uomo. Un uomo bello, con i capelli scuri, una folta barba e un paio di occhi chiari che mi facevano raggiungere i suoi pensieri. Erano tristi e continuavano a pensare all'amore per la figlia che non aveva più, che non possedeva più. E in quel momento, quell'uomo si accorse quanto fosse importante sua figlia, quando non le dava a parlare, quando si dimenticava di lei, quando interrompeva qualsiasi attività che stava facendo con lei per andare chissà dove in giro per la sua città, per quello che un tempo era il suo regno. La sua bocca sussurrava un nome, che non riuscivo a decifrare, l’uomo era troppo lontano da me, lontano dalle mie mani, che volevano, afferarlo. Le sue braccia erano tese verso di me e portavano dei guanti bianchi. Nella sua testa, c’era l’unica fonte di luce. Una corona. Una corona dorata che era posata sopra i capelli bruni. Un rumore disturbò il mio sogno e mi fece aprire gli occhi, intanto, l’uomo nella mia mente svanì. Un dolore interno m’invase, non volevo che quell’uomo se ne andasse, ne avevo bisogno, come l’ossigeno nei polmoni, come l’acqua nel deserto, come una figlia per il proprio padre… Una mano mi accarezzava il volto e i capelli. Non mi ricordavo né dov’ero né dove ero stata. Una porta della mia vita si era appena chiusa, non ricordavo niente. Per quel che riuscivo a pensare, io, ero nata in quel momento. Aprii gli occhi, confusa, e davanti a me ritrovai il volto di una donna anziana, con i capelli bianchi e le rughe sul volto. Mi alzai incapace di riconoscere il luogo. Quelle voci mi erano del tutto sconosciute, alcune persone gridavano dall’altro lato di quella stanza, forse stanza, non lo sapevo. Capii un secondo dopo che ero all’aperto e un fresco venticello mi accarezzava i capelli rossi che erano tenuti indietro dalla vecchia signora che cercava di aiutarmi. Aveva occhi dorati, come se al loro interno avesse dell’oro liquido. In quel momento diventai Anya. A volte pensavo quando sarebbe arrivata la mia morte. Chi se ne sarebbe accorto? L’unica traccia del mio passato che avevo era un ciondolo, d’oro. Insieme a Parigi. L’unica cosa che c’era scritta. Chi me lo poteva aver dato? Avrei regalato il mare intero pur di scoprire l’artefice di quel regalo, eppure quella era la realtà, non avrei mai potuto né regalare il mare, né andare in giro per il mondo cercando una persona a me sconosciuta. Dentro il mio cuore avevo il desiderio di incontrarla, di dirle quanto la amavo e anche di sapere che qualunque cosa poteva accadere, ci saremmo riviste a casa, la nostra casa. Forse anche a lei mancavo. Non la conoscevo, ma una cosa invisibile mi spingeva via dall’orfanotrofio, via dai vestiti sporchi e strappati, per correre incontro al futuro che potevo avere davanti. Una cosa però del futuro sapevo già che le opportunità non ce ne sono molte e come il sole se ne andranno e torneranno, ma non mi sarà permesso di rimpiangerle. Quindi tanto vale iniziare a correre. Iniziare a vivere. Iniziare a fare ricerche e a scoprire il mio passato. Il mio. E solo il mio. Si dice che conoscendo il passato, si conoscerà meglio il futuro, ma se io non conoscevo il mio passato, che possibilità potevo avere di vivere il futuro? Si vive una volta sola e volevo vivere col cuore in gola, cambiando questa storia. Il giorno dopo partì… con una sola parola in mente: Dicembre. Quella parola mi risuonava in mente come un campanello d’allarme. La sentivo in ogni momento della mia vita. Mi frullava in testa con una forza inimmaginabile. Chissà perché. Io ero nata a dicembre. Esattamente il 9 Dicembre. Ma non era per quello. C’era certamente un significato più importante che potevo dare a quella parola, ma mi sfuggiva.
  
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