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Autore: Sonomi    07/05/2012    6 recensioni
Kim Kibum amava fotografare. Adorava vedere qualunque cosa immobilizzarsi e diventare eterna sotto lo scatto del flash. Era qualcosa di dannatamente bello quando quel ‘click’ risuonava nell’aria, andando ad aggiungere una foto all’immenso puzzle di una storia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jonghyun, Key
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: questa è la prima shot che scrivo in questo campo, e spero non sia venuta una schifezza lol Lasciate un commentino se vi va u.u 
buona lettura! 
 
Kim Kibum amava fotografare. Adorava vedere qualunque cosa immobilizzarsi e diventare eterna sotto lo scatto del flash. Era qualcosa di dannatamente bello quando quel ‘click’ risuonava nell’aria, andando ad aggiungere una foto all’immenso puzzle di una storia. Ciò che catturava l’attenzione di Kibum doveva considerarsi speciale: che fosse un fiore, un sasso, un monte, un fiume, non aveva importanza. Bastava che avesse quel qualcosa di particolare, di magico. 
Trovava il genere umano monotono, quasi statico. Lo scorrere delle giornate era uguale per ogni individuo su quel pianeta, ma non per lui, no. Era per questo che nei suoi scatti cercava qualcosa che non fosse semplice, ma ricercata. 
Kim Kibum non aveva mai fotografato una persona fino a quel giorno. 
 
L’unica cosa che sapeva di lui era il nome. Kim Jonghyun. 
E doveva ammettere di sentirsi dannatamente stupido a fissare un altro essere umano, seduto comodamente sul balcone del suo appartamento, con le mani che tremavano leggermente reggendo la tazza di the caldo. Le sopracciglia aggrottate facevano presagire la moltitudine di pensieri che gli attanagliavano il cervello, cosi come le sue labbra a cuore serrate in un’espressione totalmente contrariata. 
Ma era impossibile cercare di distogliere gli occhi da quel ragazzo: che stesse sistemando il cortile dell’asilo in cui lavorava o che tenesse in braccio un bambino, aveva sempre un candido sorriso stampato sul volto. 
E Kibum odiava dire a se stesso che quel sorriso era speciale. Spesso si chiedeva come fossero gli occhi di Kim Jonghyun. Non li aveva mai visti da vicino ma poteva immaginare che fossero caldi e profondi. Due pozzi scuri in cui annegare felicemente. Sentì una fitta allo stomaco, seguita da una sensazione di nervosismo. 
Dannato essere umano! Tornatene da dove sei venuto!
Sbuffò contrariato, sbattendo con rabbia la tazza sul tavolino. Aveva bisogno del suo ritaglio di giornata, del suo spazietto in quel mondo statico. 
Corse in camera da letto, afferrò la macchina fotografica e scattò fuori di casa, mentre ancora il the caldo, rimasto abbandonato sul terrazzo, fumava nella fresca aria autunnale. 
 
 
Kim Jonghyun amava la gente. Essere circondato da persone era proprio ciò di cui non poteva fare a meno. La vivacità delle conversazioni, i sorrisi di cortesia, le allegre voci del bambini erano il suo modo di sentirsi vivo. Per questo aveva deciso di lavorare in un asilo e di occuparsi di tante piccole pesti senza mai lamentarsi. Dopotutto si considerava ancora un bambino nonostante i suoi ventidue anni e la cosa gli piaceva. Pensare come un adulto era troppo triste e infelice e lui non sopportava l’infelicità. 
-Maestro, maestro, la mia mamma è qua fuori, posso andare?- urlò qualcuno, tirando il lembo della camicia del ragazzo. Jonghyun abbassò lo sguardo verso un piccoletto di quattro anni che saltellava contento di poter andare a casa dalla sua famiglia. Lasciò che le sue labbra piene si tendessero in un sorriso e si chinò accanto al bambino. 
-Va bene, ma non correre e stai attento ai sassi quando passi nel cortile ok?- 
Per tutta risposta il ragazzino gli schioccò un bacio sulla guancia e annuì, scattando verso la porta dell’asilo. Un’altra giornata stava per volgere al termine, o almeno così credeva. 
 
 
Il soggetto preferito di Kibum per una bella foto era di solito un grande albero: le fronde che si protendevano verso il cielo, quasi a volerlo abbracciare; il tronco, ruvido ma allo stesso tempo delicato, oscurato al sole dalle timide foglie colorate. 
Gli alberi facevano sorridere Kibum in qualche modo ed era per quel motivo che passava la maggior parte della sua vita nel parco a due isolati da casa sua. Era capace di starsene per delle ore in contemplazione della natura e delle volte si sentiva strano nel farlo. Insomma, poteva anche avere una mentalità un po’ insolita, ma sapeva riconoscere di esagerare a volte. 
Scattò l’ennesima foto a quella grande quercia che si trovava davanti, per poi iniziare a riguardare tutte le immagini precedentemente fatte. Ne avrebbe sicuramente stampate alcune, ma la scelta sarebbe stata ardua. Con un sorriso cominciò a fare una prima selezione, mordicchiandosi timidamente le labbra. 
Fu allora che sentì qualcuno piangere. Si alzò di scatto dalla panchina su cui si era abbandonato, spaventato, cercando di captare la direzione di quel rumore. Non ci mise molto ad individuarla. Un bambino di circa cinque anni era seduto per terra, in mezzo ad un praticello, e cercava in vano di trattenere le lacrime. Con lui non c’era nessuno e la cosa preoccupò Kibum. Cosa ci faceva un bambino così piccolo in un luogo del genere e ad un’ora così tarda? 
-Ehi! Tesoro, cosa succede? Dov’è la tua mamma?- domandò il ragazzo inginocchiandosi accanto al piccolo e posandogli una mano sulla testa. Non fece in tempo a dire ‘bah’ che quello gli si fiondò addosso, stringendolo in un abbraccio. 
-Ero a fare la spesa con la mia mamma ma poi non c’era più..- 
-Ti sei perso al supermercato..?- sussurrò Kibum a disagio. Non sapeva come comportarsi con i bambini dato il suo carattere chiuso e scostante. -Facciamo così.. Sai dirmi dove abiti? Ti riaccompagno a casa..- propose il grande alzandosi in piedi e prendendo il bambino in braccio. Ripose la macchina fotografica nella borsa e si incamminò fuori dal parco a passo svelto. 
Solo dopo cinque minuti si rese conto di non sapere dove andare e il bambino non era certo un ottimo aiuto. Era piuttosto naturale che non sapesse l’indirizzo di casa essendo così piccolo!
Ah Kibum, sei un disastro!
Fu allora che ebbe un’idea malsana, malsanissima. Ma non poteva fare altrimenti, insomma. Non era in grado di badare ad un bambino in lacrime così su due piedi.. Per quel motivo le sue gambe di mossero automaticamente verso l’unico posto in cui sapeva di poter trovare una persona adatta a quel ruolo. 
 
Kibum spalancò la porta dell’asilo di fronte a casa sua con un moto di panico, pregando quasi che Kim Jonghyun fosse già andato a casa. Erano ormai rimasti pochi bambini, giusto due o tre, intenti a riporre i giocattoli in uno scatolone insieme a due maestre. 
-Questo è il mio asilo!- esclamò il piccolo dalle sue braccia richiamando l’attenzione di tutti. Kibum si sentì a disagio sotto quella moltitudine di sguardi e guardò a terra mordendosi le labbra. 
-Yoogeun? Cosa ci fai qui?- ridacchiò una voce maschile, calda e melodica. 
-Maestro!- il bambino si divincolò tra le braccia di Kibum, scattando a terra e correndo verso colui che l’aveva chiamato. Il ragazzo decise di guardare quell’uomo, sapendo chi si sarebbe trovato davanti. La prima cosa che vide fu quel dannato sorriso. Era così luminoso che Kibum temette di rimanerne accecato. La seconda invece furono gli occhi. Erano proprio come li aveva immaginati: profondi, scuri e dolci e attenti mentre Yoogeun gli raccontava ciò che gli era successo. 
Non sei un essere umano, non è possibile. 
-Grazie per aver aiutato questa peste.. Sono sicuro che sua mamma sarà qui a momenti!- disse Jonghyun rivolgendosi a Kibum. Quello fece un balzo sul posto, tendendo le labbra in un incerto sorriso. 
-Non.. È niente- 
Proprio nel pronunciare quelle parole, la porta dell’asilo si spalancò e il ragazzo si fece da parte per far entrare una donna trafelata, dallo sguardo stravolto. 
-Yoogeun!- urlò felice e sollevata, correndo verso il bambino. Jonghyun le sorrise allegro, spiegandole ciò che era successo. E Kibum non riuscì a trattenersi. 
Prese la macchina fotografica e mise a fuoco il volto sorridente del giovane maestro. 
Un sorriso. 
Click. 
  
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