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Autore: CowgirlSara    01/05/2004    6 recensioni
Un enorme palazzo, un giardino e un labirinto, un fantasma forse. Un giallo tradizionale, con un protagonista non convenzionale. Un storia forse un po' banale, ma è il mio primo giallo!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Felipe Aguilon e il mistero del labirinto - I° parte

PERSONAGGI

 

IL GRANDUCA: giovane uomo da grande potere politico; distratto dalle sue faccende, non dedica molto tempo alla giovane moglie, per cui, però, prova un delicato affetto.

 

ISABEL: la fragile moglie spagnola del granduca; le viene fatto credere che l’enorme e silente palazzo granducale è infestato dagli spiriti.

 

IL CONTE PAOLO: cugino del granduca; uomo di mondo e grande viaggiatore, ha un carattere sfuggente e non nasconde l’antipatia per il cugino.

 

LUCREZIA: frivola cortigiana e lontana parente del granduca; contribuirà involontariamente alla soluzione del mistero.

 

COSTANZA: sorella del granduca, donna dal carattere forte, che vive le sue passioni; vive lontano in campagna, aiuterà a scoprire la verità.

 

IL PRINCIPE JOSE’: padre di Isabel; preoccupato per la figlia invia in Italia un dottore per visitarla.

 

DOTT. GILBERTO DE PENAROSA Y MARTIN: medico specializzato in disturbi mentali, vuole ricoverare Isabel nel suo manicomio.

 

MASTRO FILIPPO: colui che ha progettato il giardino granducale ed il suo complicato labirinto, e ne conosce i segreti.

 

BEATRICE: l’affascinante figlia di Filippo.

 

FANTESCA: ha cresciuto il granduca ed ora si occupa amorevolmente di Isabel.

 

TOMMASO: l’impassibile segretario del granduca; effettua frequenti viaggi per conto del suo padrone ed è cresciuto nel palazzo granducale.

 

FELIPE AGUILON: soldato della corte del principe José: il granduca lo convoca in Italia per risolvere i problemi della moglie. Felipe, con la sua intelligenza e arguzia, ed un po’ di fortuna, risolverà il mistero.

 

 

Felipe Aguilon e il mistero del labirinto - I° parte

 

La notte di primavera era fresca, l’enorme luna piena sembrava scrutare tra i rami degli alberi, avvolgere le linee delle statue del giardino, creando ombre sinistre, e illuminare la nebbiolina delle colline fino a farla diventare azzurra; infine specchiarsi nel laghetto, per diventare ancora più grande. Il giardino era più vasto di come se lo era immaginato, era come se si allargasse a vista d’occhio, come i cerchi quando getti un sasso nell’acqua; i suoni erano rarefatti e la testa le pesava tanto.

La vide: una figuretta sbiadita (o sembrava a lei), che scendeva gli scalini dell’anfiteatro. Aveva lunghi capelli rossi, come quelli che le aveva visto nel quadro, e una veste bianca. Era sicura: si trattava del fantasma di Maddalena, la giovane che si tolse la vita cinquant’anni prima, nel giardino granducale. Si stava avvicinando, doveva scappare; si voltò, ma, presso la siepe del labirinto, la vide di nuovo. La paura s'impossessò di lei, così iniziò a correre verso il palazzo, inciampò, cercò di rialzarsi, ma le girava la testa, sentiva che stava per perdere i sensi; prima di svenire si vide venire in contro i fuochi fatui dell’inferno.

Quando riaprì gli occhi era giorno, la luce filtrava attraverso le grandi finestre della camera, qualcuno le teneva la mano: era suo marito. Il granduca era un uomo giovane, dal volto nobile e naso aquilino; scambiò uno sguardo con il dottore, poi i due uscirono, lasciando Isabel da sola.

“Mio signore...” Disse il medico quando furono usciti. “questi episodi che coinvolgono vostra moglie stanno diventando troppo frequenti: uscite notturne, discorsi privi di senso, come il fatto che vede il fantasma di Maddalena di Giovanni dal Pino e poi, ritrovarla in quelle condizioni. Eccellenza, mi dispiace dirlo, ma sono chiari segni di turbe della mente.”

Lo sguardo che il granduca rivolse al dottore sarebbe potuto bastare, ma l’uomo volle rispondere.

“Non credo che voi siate in grado di giudicare, non siete un esperto della mente. E poi non credo che la granduchessa sia pazza, non ci sono stati altri episodi nella sua famiglia, quindi fate il vostro lavoro: curate il suo corpo, rimettetela in salute, al resto penserò io.”

Detto questo il granduca rientrò, con il suo passo severo, nella stanza della moglie.

 

Il colonnato del palazzo del principe José si affacciava su un giardino con piante strane, forse venute da qualche paese esotico, retaggio del dominio dei mori, in fondo oltre il muro di cinta si vedeva anche il mare. Un giovane uomo percorreva, con passo veloce, questo corridoio, diretto verso le camere del principe: vestiva secondo la moda, con un broccato scuro e calzamaglia in tinta, la sciabola luccicante gli pendeva dal fianco. Solo i capelli non rispettavano i canoni dell’epoca: né lunghi, né corti, riccioli corvini e selvaggi che gli scendevano sugli splendenti occhi nocciola. Felipe Aguilon era un tipo d'uomo che piaceva molto alle dame di corte, e di certo lui non si lasciava sfuggire le occasioni, anche se spesso doveva sfuggire a mariti gelosi.

Arrivato alla meta bussò con forza alla porta del principe, la voce profonda e cavernosa del suo signore lo invitò ad entrare.

“Avevate bisogno di parlarmi, signore” disse Felipe, inchinandosi elegantemente davanti a José.

“A quanto pare, mio caro Aguilon, la vostra fama ha passato i confini del mio regno” disse il principe.

Felipe pensò che qualche bella dama avesse parlato delle sue doti amatorie anche all’estero, ma il volto corrucciato del suo sovrano gli fece cambiare idea.

“Voi sapete che qualche tempo fa ho inviato in Italia il dottor Gilberto de Peñarosa y Martin per curare mia figlia Isabel, la quale è affetta da un male misterioso.” Felipe sapeva che Peñarosa era un luminare nella cura dei mali della mente, o nel loro peggioramento, diceva qualcuno. In ogni modo continuò ad ascoltare il principe.

“Ma, mio genero, il granduca, è convinto che la moglie non sia affetta da alcuna malattia; così dopo aver saputo, dal nostro ambasciatore, che voi avevate risolto alcuni misteri alla mia corte, vuole assolutamente che vi rechiate in Italia per risolvere questo.”

“Perdonatemi, mio signore, forse non ho ben compreso. Il granduca è forse convinto che vostra figlia non sia malata, ma che dietro i suoi problemi si nasconda un mistero.”

“Si, è così. C’è di mezzo un fantasma, vero o presunto. Il granduca pensa ad un complotto. Voglio che andiate là, proviate che mio genero si sbaglia e lo convinciate a far curare Isabel dal dottor Penarosa.”

“Perdonate, ma non credo che sia ciò che il granduca vuole da me...”

“Voi dovete fare ciò che io dico, non ciò che dice il granduca. E vedete di non mettervi nei guai, il vostro carattere fin troppo irriverente vi mette spesso in posizioni poco consone alla nobiltà della vostra famiglia... A proposito, ho ricevuto delle lamentele dal conte Montero, su di voi; partite in fretta, prima che gli dia l’autorizzazione a sfidarvi a duello. Buon viaggio e arrivederci Aguilon.”

Felipe sapeva che era buona norma lasciare l’ultima parola al principe José, e poi cambiare aria gli avrebbe fatto di certo bene; inoltre il pensiero di un duello con Montero non lo allettava come avevano fatto le grazie di sua moglie, la bellissima contessa Anita, il rivale era un ottimo spadaccino. Poi, girava voce, che le donne italiane fossero splendide.

 

Il viaggio verso l’Italia fu lungo e piuttosto avventuroso; quando Felipe arrivò sulle colline, dalle quali si godeva la vista della città del granduca, che giaceva adagiata in una valle, non gli parve vero di poter finalmente scendere da cavallo.

Era sera. Attraversò la città, piena di gente, di mercanti, di splendide costruzioni e piazze, fino a giungere al palazzo granducale; rimase un po' deluso davanti alla massiccia facciata di pietre della residenza, priva delle decorazioni tipiche dei palazzi moreschi della sua città natale. Davanti al portone principale trovò ad attenderlo un uomo magro, ben vestito e dal volto impassibile, che si qualificò come segretario del granduca; il suo cavallo fu prelevato e portato nelle scuderie e Felipe fu introdotto nelle stanze fresche del palazzo. Le sale che oltrepassava, seguendo la sua guida, erano piene di quadri, tappeti, statue dalle fogge più particolari, meravigliosi arazzi intessuti con scene di battaglia si susseguivano sulle pareti: il granduca aveva fama di essere un mecenate, molti artisti dovevano aver lavorato per lui.

Mentre percorrevano l’ennesimo corridoio, Felipe vide uscire da una stanza una giovane donna molto avvenente, e le fece un cenno di saluto, al quale la donna rispose con grazia. Lo spagnolo pensò che, chi gli aveva decantato il fascino delle donne italiane, aveva ragione.

Arrivarono, infine, ad una porta decorata, la sua guida bussò e poi entrò annunciandolo. Felipe lo seguì all’interno della stanza; il granduca era seduto ad un tavolo imbandito e pregò il segretario di lasciarli soli.

“Benvenuto nella mia città signor Aguilon. Prego accomodatevi, sarete sicuramente affamato.” Lo invitò gentilmente.

“Vi ringrazio, mio signore.” Felipe si sedette e gustò con soddisfazione il buon cibo e l’ottimo vino delle terre del granduca; il suo commensale rimase a guardarlo in silenzio. Quando il giovane ebbe terminato il suo ospite parlò di nuovo.

“Da dove avete intenzione di cominciare?” chiese il granduca.

“Dopo questo splendido pranzo, penso che mi riposerò dal viaggio e poi mi guarderò intorno.”

“Oh! Perdonatemi, ho avuto troppa fretta. Purtroppo le condizioni di Isabel peggiorano ogni giorno, ed ogni giorno diventa più difficile tenerla lontana dalle grinfie di quel...ciarlatano spagnolo... Di nuovo perdono, non volevo usare il termine ‘spagnolo’ come un’offesa.” Precisò il granduca, vedendo lo sguardo di Felipe.

“Non mi offendo facilmente, e poi il dottor Penarosa lo è veramente.”

“Ciarlatano o spagnolo?”

“Beh, spagnolo. Sul ciarlatano ci sono voci discordanti. In ogni caso temo che il principe José lo sopravvaluti. Bene, pensiamo a noi. Com’è iniziata questa storia?” chiese Aguilon al granduca.

“Tutto nasce da Maddalena di Giovanni dal Pino; questa fanciulla, probabilmente a causa di una delusione amorosa, circa cinquant’anni fa si tolse la vita, pare nei giardini del palazzo. Da allora si sussurra che il suo spirito vaghi nel palazzo e nel parco. Mia moglie è venuta a conoscenza di questa storia, non so da chi, e per lei è diventata una fissazione, ha deciso di sapere tutto della defunta. Poi una notte, dopo che era stata male per un’infreddatura, disse di averla vista sullo scalone principale. Dopo quella volta ci sono stati altri episodi.”

Un leggero sorriso si dipinse sul volto di Felipe, facendo diventare ancor più splendenti i suoi occhi d’ambra.

“Non fraintendete il mio sorriso, ma sono molto scettico sull’esistenza di fantasmi, spiriti e affini.”

“Anch’io, è per questo che vi ho voluto qui. Credo che in realtà, dietro alla malattia di mia moglie, si celi un complotto contro di me. Non so spiegarmi come o chi possa essere l’autore di tutto questo, di una cosa sono certo però: voglio scoprirlo, e voi mi aiuterete.”

“Vi devo confessare che il principe mi ha mandato qui con l’intenzione di convincervi a far curare sua figlia, non per assecondare i vostri timori, mio signore.”

“Se queste sono le vostre intenzioni, sappiate che potete ripartire immediatamente per la Spagna. Non voglio in alcun modo che quell’orribile specie di dottore metta ancora le mani sulla mia Isabel.”

Da come il granduca pronunciò quella frase, Felipe capì che, dietro ad un matrimonio di convenienza, si celava un profondo sentimento, almeno da parte del marito.

“Chi sono le persone più vicine a vostra moglie, quelle che le stanno accanto ogni giorno?”

“Le più vicine dite ....  La fantesca, è stata la mia nutrice da bambino, ed ora si occupa di Isabel; poi Lucrezia, che è la sua dama di compagnia, mia sorella Costanza, che è venuta ad aiutarmi, io, e Paolo, mio cugino che passa lunghi periodi a corte.”

“Vi ringrazio,” disse Felipe, alzandosi da tavola. “Domani, quando avrò riposato, parlerò con loro. Anche con vostra moglie, qual è il momento in cui la trovo più lucida?”

“Al mattino ...”

Felipe Aguilon fece un pomposo inchino e si allontanò attraverso la porta dalla quale era venuto. Il granduca non era convinto di aver fatto la scelta giusta: quel giovane gli pareva troppo bello, per essere anche intelligente.

 

Al mattino, Felipe, si alzò dal letto e, a torso nudo, andò ad aprire la finestra; faceva già abbastanza caldo, del resto era  piena estate, e qui non c’era il mare a mitigare il clima. Guardò fuori e vide, nel giardino, la giovane donna del giorno prima. Camminava veloce verso il palazzo tra l’erba ancora umida; era molto presto, doveva aver avuto un convegno segreto con qualcuno nel parco. Come quella volta che Felipe si era incontrato, nel fitto del bosco, con la marchesa de Morientes, peccato che travolti dalla passione erano finiti a sedere su una macchia di rovi. Ma basta con i bei ricordi, era ora di agire; consapevole di trasgredire agli ordini del principe era pronto a sciogliere il mistero, il fascino dell’indagine per lui era troppo forte.

Dopo essersi vestito ed aver fatto un’abbondante colazione, uscì nei corridoi bui del palazzo, avvicinandosi alle stanze della granduchessa; vi trovò il granduca, che gli sembrò un po’ preoccupato.

“ Non abbiate timore, sarò il più gentile possibile.” Lo rassicurò Felipe, mentre entrava nella stanza.

La granduchessa era seduta alla specchiera, e si stava pettinando i lunghi capelli castani, avvolta nella luce del mattino. Aguilon non ricordava quanto fosse bella la figlia del principe José: il volto era ovale e dalla pelle perfetta, vi troneggiavano due grandi occhi neri, circondati da folte ciglia; era però pallida e lo sguardo era spento e triste.

“Mia signora, vi ricordate di me, sono Felipe Aguilon, il figlio di don Esteban.” Le disse, parlando in spagnolo.

“Oh si, mi ricordo di voi,” rispose atona. “E’ passato molto tempo, siete sempre il solito conquistatore di dame?”

“Vi prego signora, non prendetevi gioco di me. E poi, purtroppo, la mia non è una visita di cortesia; Vostro padre e il vostro sposo mi hanno pregato di scoprire le cause della vostra ‘malattia’, perciò dovrò farvi delle domande...”

“Il dottor Penarosa afferma che sono malata nella mente.” Lo interruppe lei.

“Non credo. Raccontatemi del fantasma.”

Lo sguardo di Isabel si riempì di panico, cominciò a guardarsi intorno, poi afferrò le mani di Felipe, che si era seduto di fronte a lei. Il suo stato d'agitazione non era normale.

“E’ Maddalena, lei mi tormenta, non dovevo interessarmi alla sua morte, cercare la sua tomba. Non posso più dormire, sento le sue mani fredde che mi toccano. E l'ho vista, sapete, ha capelli rossi come il fuoco, cammina libera nel giardino, vuole vedermi morta, mi metterà tanta paura che morirò di sicuro.”

“Via, non dite così.” Aguilon cercò di calmarla, gli sembrava impossibile che quella fanciulla, impaurita e smarrita, fosse la stessa principessa il cui brillante intelletto illuminava la corte di José. Quando la vide un po' più calma azzardò un’altra domanda.

“Qual è stata la prima volta in cui l’avete vista?” Isabel si ricompose e disse:

“Quest’inverno. Sono stata malata, ed ero molto debole, una notte dopo aver suonato in vano il campanello, mi alzai per cercare qualcuno, e sul pianerottolo la vidi. Era come se fosse sbucata dal muro, quei capelli rossi, quella veste bianca, oddio, non mi fate ricordare!”

“Chi vi parlò per primo di Maddalena di Giovanni dal Pino. Quando ne sentiste parlare per la prima volta?”

“Non ricordo, no, non ricordo... Vidi il suo ritratto nella galleria della famiglia, poi lessi dei diari o un libro che parlava di lei, non so. Si uccise in questo palazzo, la trovarono impiccata ad una trave. E’ la fine che farà fare a me, è invidiosa perché ho trovato un marito buono e gentile ... Oh, vi prego fatela sparire, aiutatemi, aiutatemi, nessuno mi crede, ma io l’ho vista!” gli stringeva le mani così forte da fargli male.

“State tranquilla, io e vostro marito vi crediamo. La vostra paura è reale, qualcosa avete visto, non so se sia proprio un fantasma, ma lo scoprirò, abbiate fiducia.”

Sembrò che le parole ferme di Felipe potessero rassicurare, per un istante, anche la povera Isabel, che gli liberò le mani. In quel momento entrò una donna rotonda, doveva essere la fantesca; si avvicinò alla giovane granduchessa e la prese gentilmente per le spalle.

“Ora tornate a riposare, mia signora, ne avete ancora molto bisogno. E voi signor Aquilon è ora che andiate.” Disse indicandogli la porta.

“Prego, il mio nome é Aguilon, e dopo vorrei parlare anche con voi, se non vi dispiace. Vi auguro buon riposo mia signora.” Così dicendo Felipe si accomiatò dalla granduchessa e dalla sua serva.

La fantesca gli ricordava, orribilmente, quel gerbero di nutrice che aveva avuto da bambino, la quale lo obbligava a fare il bagno, a mangiare cose che odiava e che lo sculacciava con un tralcio di salice. Tutto il contrario di quella disponibile servetta che era stata il suo primo campo di battaglia con il gentil sesso.

Scendendo le strette scale che portavano ai saloni principali, sui cui pianerottoli si affacciavano improvvise finestre, Felipe incontrò, finalmente, la fanciulla del giorno prima.

“Buongiorno, madamigella. Mi presento, il mio nome è Felipe Aguilon, ed il vostro, di grazia?”

La donna, capelli color miele ed occhi castani, indossava un paio di appariscenti orecchini a pendente; aveva un bel sorriso e soprattutto un magnifico seno, che dava bella mostra di sé dalla generosa scollatura.

“Il mio nome è Lucrezia.”

“Ah, così voi siete la dama di compagnia della granduchessa. Bene, bene. Capitate giusto a proposito.” L’interesse per la procace fanciulla si era già tramutato in quello per le informazioni che essa stessa avrebbe potuto dargli. La condusse in giardino.

Fuori faceva piuttosto caldo, ma i due si sedettero su di un sedile di marmo, all’ombra fitta di una quercia. Felipe si avvicinò a Lucrezia, guardandola negli occhi, per poi dedicarsi alla vegetazione.

“Ah, che splendido giardino, non trovate, mia cara.”

“Oh, si, è bellissimo; arriva fino alle colline, e ci sono tante specie di piante e fiori...”

“Siete voi che avete parlato alla granduchessa del fantasma di Maddalena di Giovanni dal Pino?” chiese Aguilon, all’improvviso, impedendole di finire la frase.

“No, davvero.” Rispose, quasi offesa la fanciulla. “Tutti al palazzo sanno della storia del fantasma, chiunque può averglielo detto, non capisco perché pensiate che io ...” La zittì, posandole un dito sulle labbra.

“Perdonatemi. Gentilmente, da quanto tempo vivete qui?”

“Da circa quattro anni, sapete vengo dalla campagna, e anche se la mia famiglia era nobile, non eravamo molto ricchi, quando sono rimasta orfana, il granduca, che è una specie di parente, mi ha presa con sé, come dama di compagnia, prima di sua sorella e ora di sua moglie.” Ormai Felipe aveva capito di trovarsi davanti ad una persona non troppo intelligente e piuttosto chiacchierona, nonostante questo i suoi occhi cadevano spesso sulle trine che incorniciavano la sua scollatura.

“Allora conoscerete bene il giardino, lo avrete visitato molte volte, e anche il labirinto.”

“Oh no, non ho il minimo senso dell’orientamento. L’unica volta che ci sono stata mi sono persa, sono dovuti venire a cercarmi, da allora non mi avventuro più da sola nel parco; mi sono persa anche una volta in campagna da ragazzina, sapeste che paura!”

“Uno di questi giorni verrete a passeggiare con me; voi mi mostrerete il giardino ed io farò in modo di non perdere la strada. Anche se, perdermi con voi, non mi dispiacerebbe affatto.” Disse carezzevole Felipe, tornando a guardarla negli occhi.

“Mi mettete in imbarazzo, siete così gentile.” Rispose Lucrezia. “Ora, purtroppo è tardi, devo andare. C’è da servire il pranzo alla granduchessa. Perdonatemi, addio.”

“Spero... arrivederci, mia cara.”

Rimasto solo Felipe decise di visitare il famoso labirinto: le siepi, di scuro lauro, erano alte più di un uomo, e ben potate. Deciso più che mai, lo spagnolo, varcò l’entrata.

Prese a destra, come viene naturale ai destrorsi, poi a sinistra e proseguì dritto. Passò del tempo, Felipe continuava a vagare nel labirinto, i cui corridoi erano larghi abbastanza da far passare due persone appaiate; ad un certo punto, dalla posizione del sole, si accorse che doveva essere quasi mezzogiorno. Si guardò intorno, cercando di individuare i cedri, che si era lasciato alla sinistra, entrando nel labirinto; li vide, ma li aveva davanti. Decise di tornare indietro, lasciandosi i cedri alla destra, dopo pochi passi pensò che, mantenendo gli alberi a sinistra, avrebbe sicuramente raggiunto l’uscita posteriore, sempre che ci fosse. Camminò ancora per un po’, cercando di mantenere un percorso logico, finché si trovò davanti uno spiazzo con al centro una magnifica statua, rappresentante Icaro.

“Perfetto!” esclamò Felipe a voce alta. “ Sono al centro del labirinto, non è esattamente dove volevo arrivare, ma eccomi qua.”

Dopo aver osservato la statua, più attentamente, ed aver cominciato a sentire i morsi della fame, riprese il cammino, sempre con i cedri alla sua sinistra. Guardava con attenzione il susseguirsi delle siepi, cercando uno sbocco, poi si accorse di non vedere più i suoi alberi di riferimento, e realizzò di essersi perso. Che luoghi affascinanti i labirinti, pensò Felipe, dove perdere il corpo e la mente; se almeno ci fosse stata qualche leggiadra fanciulla a fargli compagnia, avrebbe saputo bene lui come passare il tempo!

Era stanco, aveva fame, e per di più faceva un caldo tremendo; si era quasi arreso, quando vide, per terra, qualcosa di rosso. Si avvicinò, si piegò in ginocchio, appoggiandosi alla siepe, ma perse l’equilibrio e cadde. Inspiegabile. La siepe non era così lontana da non arrivarci con la mano. Si alzò e guardò stupito la fila di piante che componeva la siepe. Da una certa distanza sembrava lineare, ma avvicinandosi, Felipe, notò che le radici delle piante non erano in fila: infatti, alcune siepi erano piantate circa un metro più indietro, ed in quel punto si apriva un’uscita del labirinto. Passando da lontano nessuno, che non lo sapesse, poteva accorgersene. Raccolse ciò che aveva trovato, una ciocca di capelli color rame, ed uscì. Si trovò davanti al laghetto, vide chiaramente il palazzo ed imboccò, deciso, un sentiero per tornarci.

 

CONTINUA...

 

   
 
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