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Autore: misdeed    07/05/2012    1 recensioni
Da quando le era parso di vederlo quel giorno, non riusciva più a camminare tranquilla per la città. Si voltava ad ogni angolo per controllare che non la stesse seguendo e sceglieva strade affollate, anche al costo di allungare per più di qualche isolato. Aveva paura. Paura di lui, del potere che aveva sulla sua mente e sul suo corpo, del piacere che provava ad obbedire ad ogni sua proposta indecente. Il suo odore la ossessionava, lo sentiva sulla bocca e nei capelli, il ricordo delle sue labbra insaziabili era un tormento, le sue parole spietate e indifferenti alle sue preghiere la riducevano ancora in frantumi, come quando gliele aveva sputate addosso. Ma nulla, nemmeno la tenacia delle sue mani sinuose o delle sue provocazioni, l’avevano ridotta allo stato in cui la costringevano i suoi occhi. Era stata dannata dai suoi occhi, la aveva uccisa ogni volta in cui l’aveva guardata. L’ombra inquietante che calava su quel volto si era ormai impadronita di lei, Samantha non avrebbe mai più avuto pace.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Madida di sudore tenta ancora di girarsi nel letto, ma le lenzuola strette attorno al corpo la avvolgono in una presa che rende i suoi movimenti sempre più inutili e convulsi. Nel sonno una ruga profonda le segna la fronte liscia. Non si sveglia, quell’incubo, come ogni notte, deve giungere a termine. Al buio, nell’incoscienza del sogno, non può sfuggire al passato, né alle sue paure. Di scatto si alza a sedere e la sfilza di immagini che la perseguitano da anni le danzano davanti gli occhi spalancati. Con il respiro mozzato si poggia il dorso della mano sulla fronte. Al risveglio è come se rivivesse ogni singolo momento di quella terribile sera, la gola lacerata da urla, lo sguardo vacuo di suo padre, una bottiglia di birra in frantumi per terra. Aveva legato i capelli corvini in una morbida treccia e chiuso con delicatezza la porta della cameretta di Julie e Rose, prima di fare quello per cui la mamma non aveva mai avuto abbastanza coraggio.  È come se ogni notte fosse la prima volta. Si solleva sulle esili braccia e spaesata lancia uno sguardo alla sua stanza, una luce fioca si insinua tra le tapparelle. A fatica scivola giù dal letto e con passo felpato si dirige in cucina per bere un sorso d’acqua.
 
Samantha aveva sopportato la vita monotona di quei tre lunghi anni solo per assaporare questo momento, ma sbattere dietro di sé il cancello che per tanti anni la aveva reclusa non le diede il senso di benessere che si aspettava. Inspirò profondamente l’aria fresca, faceva freddo e una leggera pioggia cadeva dal cielo bianco. Sbattè più volte gli occhi, una luce accecante invadeva la strada e disegnava strane ombre sulle persone e le macchine. Samantha sfilò dal taschino laterale dello zaino che conteneva tutto ciò che possedeva il suo nuovo indirizzo, 11 Kenton Ave . Quella mattina Fay le aveva spiegato minuziosamente la strada da percorrere, ‘a nord del lago’ le aveva intimato con la sua voce squillante. Wolverhampton non era una città poi così grande, non sarebbe stato difficile trovarlo. Si incamminò con passo spedito, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa per ripararsi dalla pioggia che ormai cominciava a scendere a grossi goccioloni. Non si sarebbe mai abituata al grigiore di questo paese, benché vi vivesse da quando era nata, aveva sempre desiderato il caldo di terre assolate e persone ridenti. La tristezza del tempo pareva impadronirsi anche degli abitanti, inespressivi in volto e sempre di fretta. Samantha non era mai stata così, fin da bambina si era promessa che si sarebbe sempre protetta da quell’ inquietante indifferenza. Voleva sentire emozioni intense, vivere a pieni polmoni, vedere e viaggiare per il mondo . Ma gli anni chiusa all’ Oldfallings l’avevano profondamente cambiata. L’Oldfallings era la casa di rieducazione giovanile a cui era stata affidata, ovvero il penitenziario minorile dove era stata reclusa per tre lunghi anni della sua gioventù. Quelle giornate sempre uguali, le uscite regolate, le stesse facce e lo studio diligente avevano risucchiato ogni passione e forza che in passato accendevano il suo sguardo. Per buona condotta la pena era stata diminuita di un anno, così aveva evitato di essere trasferita in un vero carcere. Ma ora era libera. Diciottene e libera, ma con la fedina penale sporca. Fay e le altre assistenti sociali si erano occupate di ‘ reinserirla in società’,in poche parole le avevano trovato un lavoro e pagato l’affitto della casa per i primi 4 mesi. Soldi che avrebbe poi dovuto restituire. Scuotendo leggermente la testa Samantha cacciò via i ricordi di quegli anni e attraversò la strada affollata. In poco tempo si ritrovò davanti a un palazzo basso e stretto, ridotto abbastanza male: l’ intonaco cadeva a pezzi dalle mura e le scale erano tanto scheggiate da dover fare attenzione a dove mettere i piedi . Fay le aveva trovato la casa più brutta dell’intera città, ma in effetti con un affitto così basso non poteva aspettarsi di meglio. Entrò nell’atrio e bussò all’unica porta del primo piano, dove abitava l’affittuario. Ma il campanello non funzionava, così spazientita colpì forte la porta con il pugno chiuso. Dopo un tempo che le sembrò interminabile, un omaccione in canottiera aprì la porta e si erse sulla soglia.
“Sei quella dell’affitto?” sputò svogliato.
“ Piacere, Samantha Hale.” Disse la ragazza evitando di porgergli la mano, il disgusto per il suo alito maleodorante di alcool la aveva istintivamente fatta indietreggiare di un passo. L’uomo grugnì qualcosa di incomprensibile e dopo essersi voltato a rovistare in un contenitore posto sulla credenza nel corridoio le diede le chiavi del suo nuovo appartamento.
“ Terzo piano, la porta a destra. Fammi sapere se hai bisogno.”
Nello stringere il mazzo di chiavi una strana euforia la travolse: salì di corsa le tre rampe di scale che la dividevano dalla meta e con tanto fervore da avere difficoltà a infilare la chiave nella toppa spalancò la porta del suo appartamento. Era semivuoto. E pieno di polvere. Ma nulla al mondo le avrebbe buttato giù il morale in quel momento. Diede un’occhiata alle stanze ed entusiasta scoprì che nella cucina c’erano addirittura un forno e un frigorifero funzionanti. Per come era messo il resto dell’appartamento, non se lo sarebbe aspettata. Era una catapecchia, ma pur sempre la sua catapecchia. Era libera. Con gioia immensa si gettò sul divano facendo un tonfo e una nuvola di polvere si alzò dai cuscini scuciti.
 
Il suo uniforme del McDonald puzzava di fritto, come tutto il locale del resto. In poco tempo anche lei ne sarebbe rimasta impregnata, si odorò i capelli che ancora profumavano di pulito. Samantha si ripromise di cercare un altro posto in cui guadagnare qualcosa, al solo primo giorno di lavoro non poteva già sopportare più quel casino di gente e quell’odore nauseabondo.
“ L’ordinazione del tavolo 12 è pronta, grazie Sammy!” disse il ragazzo ai fornelli facendole l’occhiolino. Rivolgendogli un sorriso forzato afferrò il vassoio stracolmo di cibo, odiava quando la chiamavano Sammy: era il vezzeggiativo usato da suo padre nei rari momenti in cui era sereno e sobrio, o quando voleva qualcosa da lei. Si diresse veloce verso i clienti, una coppia sui trenta decisamente sovrappeso, che, a vedere la quantità industriale di panini, patatine e milk shake ordinati, non aveva nessuna intenzione di mettersi a dieta.
“Ecco a voi.” Disse posando il vassoio. La donna le lanciò uno sguardo pieno di invidia, osservando la figurina snella della ragazza che si sporgeva sul tavolo. Ma Samantha non se ne rese conto e sovrappensiero come suo solito tornò in cucina. Diversi piatti erano stati disposti in fila lungo il bancone e insieme agli altri camerieri si apprestò a servirli.
 
Erano le 15 e il suo turno era finito, così Samantha si sbrigò a sciogliersi il grembiule e prendere lo zaino negli spogliatoi. Non vedeva l’ora di tornare a casa e darle una bella ripulita. Nel pomeriggio sarebbe scesa a fare un po’ di spese con i soldi che Fay le aveva regalato per il compleanno. Che brava donna, Fay. Samantha era stata la sua preferita dal giorno in cui era arrivata all’Oldfallings. Era solo una quindicenne allora. Fay l’aveva accolta come una figlia, la figlia che mai aveva avuto ma tanto desiderato. E lei non le era mai riuscita a mostrarle riconoscenza o un po’ di amore, anzi spesso la aveva ferita con le sue risposte rudi e modi sfuggenti.
“Sei libera stasera?”
Samantha si voltò di scatto, non aveva sentito il ragazzo avvicinarsi. Uno dei cuochi, quello che le aveva passato le ordinazioni  per tutta la mattinata, stava appoggiato allo stipite della porta e la guardava.
“Non ci conosciamo nemmeno da un giorno, e già mi chiedi di uscire?” Chiese lei accigliata uscendo dallo spogliatoio. Perfino puzzolente e in un orrendo uniforme del McDonald’s non la lasciavano in pace, era la storia della sua vita attirare ragazzotti insolenti e bellocci, preferibilmente anche teppisti, come questo deficiente di.. ehm.. Liam si chiamava, almeno così le pareva. Ma non aveva importanza, erano fatti con lo stampino e in passato si era già messa fin troppo nei guai per uno di loro.
“Ei tigre, siamo di cattivo umore oggi?” Sorrise divertito, seguendola verso l’uscita.
“Sono sempre così, quindi ti conviene starmi alla larga.” Rispose infastidita la ragazza facendo un gesto con la mano come per scacciare una mosca.
“Mi piacciono quelle che fanno le difficili, è sempre una bella sfida. Ti lascio il mio numero, chiamami se non hai niente da fare. E in qualsiasi caso ci vediamo domani, sai, abbiamo gli stessi turni di lavoro” Tutto soddisfatto si appoggiò sul bancone accanto la porta e scrisse in fretta qualcosa su un foglietto di carta, per poi infilarlo nella tasca della felpa di Samantha. La ragazza lo liquidò con uno sguardo annoiato e uscì dal locale. Era ancora presto, ma le strade di Wolverhampton erano scure, il cielo era coperto da dense nubi nere. Era in arrivo un temporale. Aveva dimenticato l’ombrello, doveva muoversi o si sarebbe inzuppata dalla testa ai piedi. Si incamminò spedita verso casa, ma si fermò di colpo quando tra la folla le parve di scorgere un viso conosciuto. Era lui, non poteva non riconoscerlo: la sua figura longilinea e muscolosa si muoveva sicura tra la gente, quella pelle ambrata e quei capelli neri come la pece la avevano perseguitata per anni. Era come ricordava. O come aveva tentato di dimenticare. Le prese il panico e istintivamente alzò il cappuccio per coprirsi i lunghi capelli, abbassando la testa per non farsi notare. Sgusciò dietro un enorme cartellone pubblicitario raffigurante una ragazza mezza nuda, per nascondersi. Zayn? Che ci faceva lì, non era rimasto a Bradford, dopo la sua condanna? No, non era possibile, non era lui, stava impazzendo. Sporse un po’ la testa per vedere se il suo più grande incubo  fosse ancora nei paraggi, ma di lui non c’era traccia.
  
  
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