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Autore: Dernier Orage    08/05/2012    3 recensioni
Una prima volta e un pomeriggio qualsiasi di trentanni dopo.
(Dedicata a Kiki perché è il suo compleanno e blabla)
Ismael gli portò una tazzina di caffè con uno sbuffo di panna sopra. Se l’amore era nelle cose piccole, nelle virgole, poteva esser immenso come l’universo e trovare lo zenit in quella nuvoletta di panna e il nadir nel caffè bollente e forte. La normalità in una vita irregolare e scombinata.
Genere: Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
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Che era una giornata diversa se lo era sentito fin dal primo suono della sveglia, il solito frastuono da accapponare la pelle, la solita manata per spegnerla, ma non si era riaddormentato. Era rimasto a fissare il soffitto cercando di ignorare le spire strette e scivolose che gli serravano lo stomaco, finché il bussare insistente della madre non lo aveva convinto ad alzarsi dal letto, trascinarsi fino al cucinino e inumidire un biscotto all’anice nel caffelatte, appoggiato con le anche al davanzale. Lo aveva capito quando, aprendo il lucchetto della bici, non aveva sforzato più del solito e quando con sgomento si era accorto dell’assenza di ogni tipo di suono, il soffiare del vento, il motore delle automobili, sbattere di porte, sferragliare di saracinesche o chiacchiericcio umano, durata per pochi, infiniti, minuti.
A scuola la situazione si era uniformata e aveva reso la lezione di Matematica noiosa come al solito, rimossa nel tempo di richiudere il quaderno; Geografia soporifera, un riposa in pace per una materia affascinante ma maltrattata; Ginnastica insulsa, interminabili giri del campo da basket per punizione e l’ennesima minaccia di portarlo dal preside; Storia passabile esclusivamente per interesse personale. In più Stephane era riuscito a far sparire una copia della chiave del laboratorio di Chimica, ripromettendosi di portarla a duplicare e farla ricomparire nel cassetto della bidella. Aveva esultato al suono della campanella e buttato i quaderni e i libri alla rinfusa dentro la cartella, correndo verso l’uscita.
La bicicletta di Ismael era stata verniciata più volte in tutti i colori del germano reale: bruno-porporino, grigio cupo, beige e caffelatte, blu violaceo; risaltavano nei graffi sul verde bottiglia.
Mentre pedalavano velocemente verso casa, Stephane pensava ai brividi d’aspettativa che gli scuotevano la colonna vertebrale, alla madre al lavoro fino alla tarda sera, ad Ismael che lo aveva considerato poco a scuola, chiuso nei suoi periodi di mutismo e insofferenza dove nemmeno Charlotte riusciva a farsi spiegare o Maurice farlo appassionare ad un film appena uscito. Eppure salendo le scale le cose cambiarono e sul pianerottolo del quinto piano, solo la propria porta di casa davanti e una porzione piccola, appena una finestrella sul piano inferiore tra le grate del corrimano, per Stephane fu caldo e dolce e indispensabile ritrovarsi con la schiena al muro e le labbra di Ismael sulla bocca, incastrato tra le sue braccia. Lo stomaco si strinse nelle solite spire che non riusciva a descriverle precisamente, a volte sembravano spilli, altre volte serpenti, altre ancora demoni affamati, facevano così male che si voltò per aprire la porta, trascinarsi Ismael contro e richiuderla. Lo abbracciò stretto e nascose il volto alla sua vista, la fronte nell’incavo del collo e le mani arpionate al maglione blu.
Bastarono pochi minuti per sciogliere l’ansia e iniziare a giocherellare, scendendo con le mani sotto la stoffa per toccare la schiena calda, compiacendosi della possibilità di accarezzare e non pizzicare, baciare e non mordere. Il baluginare di un’idea, un confronto tra i colori negli occhi di Ismael e il mercurio o l’ardesia, parole che evitò di esternare stringendo la lingua tra i denti e recuperando sbrigativo una sedia da incastrare sotto la maniglia della porta e un piatto di porcellana come allarme sonoro in caso di rientro anticipato della madre, sarebbe stato sicuramente più semplice giustificare un piatto rotto della visione di loro avvinghiati sul letto.
Stephane prese Ismael per mano e lo guidò fino alla camera, inebriandosi della sensazione di aver fatto la cosa giusta, quella dettata dal cuore, e chiedendosi perché i racconti degli amici più grandi fossero così freddi e permeati di competizione e non come le descrizioni nei libri, dove l’amore poteva anche essere malato e struggente come quello tra Ève e Pierre ne La Chambre di Sartre, ma era su un piano diverso rispetto alla collezione di approcci intimi. Sperò di essere adeguato.
- Stai tranquillo…- Gli aveva sussurrato Ismael su una tempia. Poi, prevedendo e alleggerendo la tensione dell’ignoto, aveva aggiunto:- Lascia fare a me e prestami attenzione.-
Stephane si era ritrovato seduto sul letto, con la schiena appoggiata al petto di Ismael e il desiderio di uniformare il respiro e i battiti cardiaci, le mani abbandonate sulla stoffa dei pantaloni dell’amico, graffiandosi con il tessuto ruvido. Sentiva i gomiti di Ismael appoggiati alla vita e le mani muoversi in uno schema preciso sul petto, sul ventre, sulle ginocchia, sulle cosce. Tocchi caldi e carezzevoli, confortevoli come il suo respiro lieve contro il colletto della camicia o i baci alla rinfusa tra i capelli, sul collo e sulle spalle.
Stephane trattenne il fiato quando Ismael gli slacciò i pantaloni e riservò il massaggio alla sua intimità con la dedizione del migliore amante. Gli effetti sul suo corpo gli fecero provare una sensazione stranissima di totale abbandono, non aver più volontà su di esso, credere di non riuscire a muoverlo in modo coordinato, aver perso la forza nelle gambe, perché era certo che, se si fosse alzato, sarebbe crollato a terra tra gli spasmi più violenti, tali erano le contrazioni che gli scuotevano il basso ventre e diffondevano un tremore alla schiena. Ismael lo ancorava al letto, abbracciandolo e sussurrando il suo nome e provocava una scissione tra tendini e pensiero, dove Stephane avrebbe voluto tanto poterlo accarezzare o baciare ma l’unica cosa che riusciva a fare era mormorare slegate e disordinate invocazioni a varie divinità e suppliche. Era un piacere troppo forte da poter sopportare, aveva paura di non riuscire a ritornare lucido e contemporaneamente sperava che non finisse mai.
- Mael, dimmi che fare.- Gli domandò tra i denti, con urgenza. Lo sentiva duro contro la schiena e non poter restituirgli neanche una minima parte del piacere folle che gli stava donando lo atterriva. Ismael con una mano gli accarezzò le palpebre e mormorò di chiudere gli occhi e di non fare niente. Stephane boccheggiò ad una stretta più vigorosa, veloce, esperta nella contraddizione con il sensuale respiro della persona amata contro il collo.

Feeling, feeling, feeling, feeling, feeling, feeling, feeling.

The recording of Unknown Pleasures took place at Strawberry Studios, Stockport, England between 1 and 17 April 1979.
Stephane rilesse la data, più e più volte. Gli scappò un sorriso distratto e sentì un lieve calore scaldargli il petto. Le sue interpretazioni lisergiche ed intime gli parvero meno deliranti, quasi reali e vive, legate con un filo indistruttibile di diamante alla produzione di quell’album. Scese nella pagina di internet leggendo e traducendo dati, recensioni, altre interpretazioni. Era dannatamente fantastico. Lasciò la pagina aperta e ricominciò a lavorare.
Ismael gli portò una tazzina di caffè con uno sbuffo di panna sopra. Se l’amore era nelle cose piccole, nelle virgole, poteva esser immenso come l’universo e trovare lo zenit in quella nuvoletta di panna e il nadir nel caffè bollente e forte. La normalità in una vita irregolare e scombinata.
- Devo farti vedere una cosa.- Gli disse cingendogli la vita con un braccio, riaprendo la pagina e sottolineando la data di registrazione.- Feeling, feeling, feeling. Era venerdì 6 dell’Aprile del 1979.-



   
 
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