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Autore: MeliaMalia    30/11/2006    4 recensioni
Quando la purezza incontra la perfetta corruzione dell'oscurità... quando l'innocenza viene ripagata con il sangue.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Slayers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa
Piccola one-shot elaborata per un concorso intitolato 'La Strana Coppia', dove era richiesto di scrivere una fan fiction che riguardasse due soli personaggi, evitando le storie d'amore.
Il concorso poi è stato chiuso - come il forum che lo ospitava, a dire il vero... - e, dato che mi spiaceva tenere per me queste quattro righe di storia, ho deciso di pubblicarle qui.
E' una fan fiction che detesto e che ho più volte tentato di migliorare, ma è stato come piegare del ferro. Non so cosa abbia di sbagliato e temo che non lo scoprirò mai.
Quando la ideai, la trama era lunga ed articolata. In effetti, quella trama c'è ancora, però, conoscendomi, temo che non porterò mai a termine questa faccenda.
Vi lascio alla lettura. Se avete dei consigli per me, sappiate che sono bene accetti.




Quando le tenebre calarono, quando una pallida Luna spuntò dall’orizzonte ed il cielo si trapuntò di migliaia di piccole, deliziose stelle, dovettero infine allestire un povero falò, sul quale misero a bollire un pentolino pieno d’acqua. Dopo un po’, lei immerse nel liquido fumante alcune erbe secche, ricavando un infuso dal sapore morbido e pieno. Lo versò in una tazza e lo bevve a piccoli sorsi, avvolta in una coperta dai ricami antichi e ricercati; alzò il capo verso gli astri, il volto tratteggiato dalle ombre e dalle luci delle fiamme, osservando con aria riflessiva il cielo sopra di loro.
“Quante stelle…” mormorò, mentre il vapore che saliva dalla tazza le incorniciava il viso ed i capelli, scaldandola piacevolmente.
“Già” convenne lui, accomodato in disparte. Non consumava cibo, lui, e neppure pareva trarre giovamento dal calore del fuoco; non necessitava di una coperta e, a voler essere pignoli, neanche di quella forzata sosta notturna. Ma la sua pedina, come tutte le pedine umane, sì. E dunque sedeva paziente, in attesa della partenza.
“Mi hanno sempre detto che le stelle sono le anime dei nostri cari che ci guardano da lassù.” sussurrò sognante lei, bevendo poi un altro sorso del suo infuso. Si rannicchiò meglio sotto la coperta, rabbrividendo nel gelo di quella notte.
“A dire il vero, sono agglomerati gassosi che…” ma il suo pratico commento fu interrotto da quello fiabesco di lei.
“Ci guardano e ci guidano, conducendoci verso la strada della Libertà e della Giustizia. Perché essi spiano le trame del nostro futuro, guidati dall’Amore per…”
“Amelia…” balbettò lui, già scivolato a terra con aria depressa. Un palese malessere adombrò il bel volto di quello che pareva un ragazzo e la fanciulla, aggrottando le sopracciglia, assunse un’espressione mortificata.
“Scusami! Non ci pensavo..” si giustificò, mentre Xelloss, sopravvivendo a stento alla terribile contaminazione di speranza e bontà che lei gli aveva procurato, recuperava una dignitosa postazione eretta.
“Ti darò dei soldi, te lo giuro, ti darò quello che vuoi…” implorò, massaggiandosi il capo. “Ma dimentica per un po’ quelle idee che hai per la testa. O, almeno, non esporle. O, se proprio devi, avverti! Con un largo anticipo, possibilmente.”
“Non ho ancora ben chiaro perché mi stai seguendo” ammise lei, sorseggiando la sua tisana bollente. Lo spiò con i grandi occhi blu velati da una sottile ombra di diffidenza.
“Perché non ci vedevamo da tanto, no? Almeno due anni, è un bel lasso di tempo!” lui rise allegramente, grattandosi il capo come il più candido degli innocenti. Le palpebre erano calate, come al solito, celando gli infiniti oblii violetti che erano le sue iridi.
Amelia scosse il capo, turbata. “Ogni volta che ti ho incontrato, sono finita in faccende poco raccomandabili” gli ricordò, riponendo la tazza, ora vuota, nella propria sacca. “E l’altro giorno, prima di partire per una missione diplomatica più che segreta, ti trovo all’ingresso del castello ad aspettarmi tranquillo come un pascià. Se Lina fosse qui, ti avrebbe già picchiato, strappandoti la verità.”
“E’ vero!” rise allegro lui, come se avesse appena udito una barzelletta. “Ma Lina non è qui” aggiunse, schiudendo appena gli occhi. Non che temesse la Inverse, certo. Ma era più tranquillo, senza la furia dai capelli rossi nei dintorni; anche se Amelia, in effetti, con le sue turbe mentali sulla Giustizia, sapeva essere altrettanto pericolosa. E fastidiosa.
“Già.” convenne la fanciulla. “E io non so che fare con te. Ma ti avverto” aggiunse, alzando di un poco la voce, come una madre petulante. “Al tuo primo sgarro, canterò allegre filastrocche sulle gioie della vita”
Lui parve perdere ogni sicurezza in se stesso. Si afflosciò persino, come un dolce cucciolo bastonato. “Non puoi essere così crudele” mugolò, ritraendosi di un poco.
Sorprendentemente, Amelia rise. Non fu una risata bieca o beffarda, ma un argentino suono sinceramente allegro. In fondo, avere compagnia durante un campo solitario in un fitto bosco apparentemente deserto era una cosa che non le dispiaceva. Anche se doveva affrontare la pessima idea di essere parte integrante delle trame di un demone. “Non lo sarò se farai il bravo.” promise.
“Andiamo, Amelia: sai che non farò il bravo.” ribatté tranquillamente lui, amando giocare con la sua mente: lanciava un’esca, la ritraeva, la riavvicinava. E Amelia abboccava, come la bambina che, in fondo, ancora era.
“Voglio credere di sì.” replicò tranquillamente la principessa in abiti borghesi, sdraiandosi a terra e sbadigliando. “In ogni creatura deve esserci un po’ di bontà. E so che anche tu, se aiutato dalle persone giuste, poi tentare di cercare l’armonioso sentiero che ti condurrà verso la luce e verso la…”
“Amelia!” balbettò il povero demone, caduto nuovamente a terra, questa volta in prenda a forti crampi.
“Scusami…”
Il silenzio calò tra loro. Dopo tre giorni di viaggio relativamente tranquillo – avevano subito solo un’aggressione, al termine della quale Xelloss era fuggito a gambe levate, allo scopo di evitare la tremenda ramanzina che Amelia aveva rifilato a dei banditi ancora barcollanti per il dolore – la principessa di Sailune avvertiva non poca stanchezza, mista ad una qual certa inquietudine. Il compito affidatole da suo padre non era semplice: avvicinare i sovrani del regno opposto al loro senza far trapelare la sua identità di principessa e, una volta a palazzo, presentarsi ad essi per trattare una pacifica resa. Doveva essere svolto nel più ristretto riserbo, quell’incarico, dal momento che, nel loro immensamente stupido ego, molti regnanti dell’epoca erano abbastanza idioti da accettare di arrendersi solo avendo la certezza che il popolo non lo sarebbe venuto a sapere.
Amelia, pur sapendo di essere destinata a divenire regina, ancora non aveva compreso con esatta certezza quei bizzarri processi mentali. Come, d’altra parte, non aveva capito per quale assurdo motivo quel piccolo, debole agglomerato di casupole che desiderava farsi spacciare per un principato avesse dichiarato guerra proprio a loro. Una belligeranza persa in partenza, che eppure suo padre era intenzionato a fermare pacificamente, per evitare ulteriori ed inutili spargimenti di sangue.
I suoi occhi si chiusero; scivolò nei sogni, per nulla turbata dall’ombra che era Xelloss. Lui sorrise, beffardo, distogliendo lo sguardo dalla sua pedina. Era irritante, quella pedina. Ma necessaria.

***

“Non è un bel posto, mh?”
“Io lo trovo adorabile.”
Camminavano al centro del paese, lei guardandosi nervosamente attorno, lui placido come sempre. Una buffa coppia, quella specie di monaco dal corto caschetto viola e quella prosperosa ragazzina vestita di bianco. Ma nessuno aveva il tempo o la voglia di dedicare loro qualcosa di più di una fugace e disinteressata un’occhiata.
“C’è fame e disperazione” mormorò affranta lei, osservando un bambino magro come un chiodo piangere al centro della strada. Sua madre, una donna dall’aria sciupata, lo raccolse con un sospiro, portandoselo via. “La gente non sa più di che vivere, a causa di quella maledetta guerra!”
“Adorabile, lo ribadisco.” rincarò lui, sorridendo divertito.
“Ma non hai un po’ di cuore?” lo sgridò Amelia, piegando le labbra all’ingiù, come una bambina offesa.
“No.” Xelloss le rivolse un sorriso amabile, proseguendo nel suo cammino. Lei alzò gli occhi al cielo, poi scosse il capo con aria rassegnata. Proseguirono in silenzio, la ragazza tremando quasi nello sforzo di non aiutare ogni persona che incontrava sulla sua strada: purtroppo, al momento non poteva esporsi troppo, con il rischio di compromettere la missione. In fondo, continuava a ripetersi, se avesse convito il regnante a cessare ogni ostilità, il popolo sarebbe stato meglio. Sì, quello era il suo dovere primario. Doveva mettere da parte i desideri personali, pensare ad un ideale più grande. Come una regina. Solo che non era facile. “Come pensi di introdurti a palazzo?” interruppe le sue riflessioni Xelloss. “Non sei una principessa, al momento. E i viandanti non sono famosi per essere bene accetti alla presenza dei re.”
“Parlerò con le guardie all’ingresso!” considerò tranquillamente la principessa, esponendo una cosa che, per lei, era più che ovvia. “Loro certamente comprenderanno il mio bisogno di conferire con il sovrano.”
“Certamente, comprenderanno” ripeté saputo il demone. “Sarà… interessante” ammise, pregustando un piccolo divertimento.
Si lasciarono alle spalle il dolore e la fame di quello sparuto villaggio, inerpicandosi su per un piccolo sentiero: il palazzo reale, infatti, stava appollaiato sulla cima di una rotonda collinetta, simile ad un avvoltoio che, affamato, protendeva il suo sguardo verso il popolo abbandonato nei lutti e nel lerciume.
“Abbastanza esibizionisti” considerò Xelloss, osservando finalmente più da vicino l’elaborato complesso architettonico che era la regia residenza: un trionfo del gotico, costruito in pietra nera e lucente.
“Spero che l’animo dei padroni di casa non sia rispecchiato dall’abitazione” mormorò Amelia, poco rassicurata dalle tremende statue poste nei punti più impensabili. E più insensati. “Solitamente è il contrario” tentò una blanda rassicurazione Xelloss, che ebbe il voluto effetto di innervosirla ulteriormente.
Due guardie li notarono. Indossavano la divisa tipica del regno: un misto di rosso e nero, ormai familiare ad Amelia, dal momento che, circa da un paio di mesi, vedeva quelle stesse uniformi combattere contro i suoi soldati.
“Fermi!” ordinarono, incrociando le lance di fronte all’ingresso. “Chi siete?”
“Io sono… A… Armela.” cercò frettolosamente un nome falso la principessa, prima di dare di gomito al demone.
“Io sono Xelloss, un monaco.” si presentò tranquillamente lui, curioso di osservare l’evolversi degli eventi. Non sapeva ancora, poveretto, cosa lo attendeva.
“Che volete?” domandò la seconda guardia, sbraitando. Sbraitare era il loro lavoro; non facevano altro, dal mattino alla sera. Un giorno, forse, avrebbero subito una tale deformazione professionale, da rischiare di tornare a casa sbraitando. E si sarebbe concluso tutto nel sangue, grazie alle poco diplomatiche reazioni delle loro adorabili mogliettine.
“Dobbiamo entrare e conferire con il vostro sovrano” annunciò Amelia, cioè Armela, un po’ troppo pomposamente. Xelloss si appoggiò al suo bastone, divertito.
“E per quale motivo, di grazia?”
“E’ un segreto” non seppe trattenersi il monaco fasullo, meritandosi così un’occhiata poco rassicurante dalla principessa sotto false spoglie.
“Il nostro Re non riceve estranei pezzenti.” sbraitò la prima guardia. “Andatevene!”
“Voi non potete scacciarci!” esclamò scandalizzata la principessa.
“E per quale motivo non potremmo?” sbraitò la seconda guardia, cominciando ad avvertire un qual certo fastidio alla gola: sbraitare tutto il giorno, come detto, era una cosa davvero poco sana.
“Perché se voi m’impedite di entrare” decantò Amelia, balzellando lontano da loro e trovandosi un bel masso su cui arrampicarsi. “Fermerete il lento ma inarrestabile incedere della Giustizia! Se voi m’impedirete d’entrare, impedirete alla Pace ed alla Gioia di entrare nel vostro regno! Fermerete la Luce della Provvidenza e…”
“Ma il suo amico, che ha?” s’incuriosì appena una delle guardie.
Amelia non degnò d’un occhiata il demone caduto a terra in preda a tremendi spasmi muscolari, simile ad uno scarafaggio annientato con del veleno.
“E’ intimamente commosso dalle mie giuste parole” inventò sul momento, causando un nuovo spasimo al poveretto. “Cosa dicevo…? Ah, sì: aprite i cancelli del castello, ed aprirete al vostro cuore la strada della Comprensione, dell’Accettazione, della Pace e del…”
“Secondo me sta morendo” osservò preoccupata l’altra guardia, mentre Xelloss, con una lentezza estenuante, arrancava sui gomiti, cercando di allontanarsi dalla zona. O perlomeno, dal raggio d’azione dei discorsi di Amelia.
“… Perché la giustizia deve spingere in alto l’animo e la mente…”
“Amelia… basta… Li uccido e ti faccio entrare, ma smettila…”
“…Come una bianca Colomba, è così che la giustizia…”
“Ma perché a me?”
“Certo che ce n’è di gente strana, in giro.” osservò la prima guardia. La seconda, manco a dirlo, annuì freneticamente.
E’ palese che Amelia non riuscì a convincere i due a farla passare; così com’è palese che, un attimo prima che Xelloss cominciasse ad avere orrende allucinazioni bianche e rosa, lei, con un balzo atletico, scese dal masso, riuscendo a prendere una sonora facciata contro il terreno.
Le guardie, perplesse, li osservarono barcollare entrambi, mentre si allontanavano con aria sconfitta.
“Ritenteremo più tardi” ansimò Amelia, confusa e dolorante.
“Parla al singolare. Non ti accompagno più” balbettò Xelloss, reggendosi faticosamente al suo bastone.

***

“Guarda che lo puoi anche dire”
“Cos’è che potrei anche dire?”
“Che non ti sembra una buona idea.”
“Ah.” Silenzio. Poi: “In effetti, non…”
“Lo so che non è una buona idea!”
“Non lo è. Però…”
“Però?”
“Però il nero snellisce.”
Amelia, suo malgrado, rise, scuotendo il capo. Non aveva senso offendersi per le perplessità del demone, dal momento che erano le stesse indecisioni che nutriva lei. Ma, purtroppo, quello era il suo unico piano. “Proprio non vuoi aiutarmi, eh?” indagò, inarcando un sopracciglio. Non era piacevole avere Xelloss vicino. Sapeva che lui aveva in mente qualcosa.
“Non ho alcun tornaconto, nell’aiutarti” spiegò ancora una volta il falso monaco, sorridendo con il fare rassicurante di un serial killer in incognito. Ripresosi dai traumi comportati dalle vivaci ramanzine della principessa, era tornato il solito demone allegramente doppiogiochista.
“Mah…” commentò lei, sospettosa. “Sei un brutto egoista, lo sai?”
“Cerco di non farne un vanto” ammise il demone. “Su, Amelia, lo sai che, se intervenissi, tu cominceresti a tremare pensando che, se ti aiuto, allora voglio qualcosa. Invece così sei tranquilla, no?”
“Ah!” lei puntò un tremendo indice accusatore, che il demone guardò con aria perplessa. “Dunque tu non vuoi aiutarmi, perché, se lo facessi, io potrei pensare che il mio ingresso a palazzo possa far parte dei tuoi malefici piani, vero?”
“Proprio così!” esclamò allegro il demone. “Sei più tranquilla, ora?”
Amelia tentennò qualche secondo. “Non lo so.” ammise, incerta e confusa.
“Ottimo! Ora, tornando alla pazza idea del mantello…”
“Non ne ho altre!” ribatté la principessa, innervosita dal pasticcio che lui aveva provocato nella sua povera testolina. “Zel-san faceva così, no?” obiettò ancora, con tono pratico. “Un mantello, e nessuno lo notava!”
“Finché camminava per la strada.” convenne il demone, abbastanza divertito. “Ma se avesse provato ad arrampicarsi per i muri di un castello?”
“Il mantello è nero. Le pietre sono nere. E’ notte.” elencò Amelia, avvolgendosi nel nero drappo come un basso e buffo vampiro. “Ombra su ombra, chi vuoi che mi noti?”
“Se ne sei convinta…” fece spallucce lui. “Però vedi quelle guardie, che camminano su e giù, passando per i torrioni? Ecco, quelle potrebbero anche notarti.”
“Se avrò fortuna, no!” squittì gloriosa Amelia, allargando il manto con fare trionfale. “E la Fortuna aiuta gli Audaci, ma soprattutto aiuta i Giusti che muovono coscienziosi passi lungo la strada del…”
“Vai pure, Amelia, vai…” la incitò stancamente lui, accusando nuovamente i sintomi di un brutto mal di testa.
“Andrò!” esclamò lei, avvolgendosi nuovamente nel suo nuovo tabarro. Il mantello che aveva rubato a Xelloss, nel nome della Pace, della Giustizia e di un sacco di altre manfrine che avevano convito il demone a cederglielo in fretta e furia.
Dalla loro postazione alla base della collina, la principessa saltellò gloriosa verso il castello, e lui, sconsolato, abbassò il capo.
“Tocca fare tutto a me.” considerò, stirando le sottili labbra in un perverso sorriso. Le palpebre si sollevarono, rivelando occhi perfidi, violacei. Occhi intrisi di oscurità, tanto da rivaleggiare le tenebre notturne che li avvolgevano. Alzò appena un dito.
Gli uomini di guardia caddero. Uno dopo l’altro, crollarono a terra, assopiti profondamente. Qualcuno, beffa delle beffe, si mise a russare sonoramente. Solo il re, già addormentato per i fatti suoi, parve non risentire gli effetti dell’incantesimo.
Amelia, all’oscuro di tutto ciò, se ne uscì con delle ventose fissate alle mani ed ai piedi, grazie alle quali prese ad arrampicarsi lungo gli alti muri del palazzo, ricordando per agilità e destrezza un grosso geco affetto da labirintite.

***

“Ma dormono tutte, le guardie di questo palazzo?” Amelia scavalcò il corpo di un altro uomo addormentato, il volto teso in un’espressione a dir poco perplessa. “Non è possibile. E non si svegliano!” Aveva la concezione di stare parlando da sola, ma sapeva anche di non poterne fare a meno. Accennò due passi di danza di fronte ad una guardia che si era addormentata contro il muro, non ottenendo alcuna reazione degna di nota. Sbuffò, innervosita. “Xelloss! C’è il tuo zampino, vero?”
“Un po’, sì” ammise diplomaticamente la voce del demone, rimbombando contemporaneamente da ovunque così come da nessun luogo. “Ti dispiace?”
“Tu hai in mente qualcosa!” accusò la principessa, piuttosto innervosita. “Lo sapevo da che ti ho incontrato! Cosa vuoi fare?”
“Nulla.” ribatté prontamente la voce, sprezzante e divertita. “Solo… porgere i miei omaggi al giusto sovrano di questo piccolo e delizioso paesello...”
“Oh, no…!” Amelia smise di pensare: azionò le gambe. Si allontanò in fretta e furia dalla cima delle mura, ove era giunta dopo una faticosa arrampicata, e si precipitò all’interno del castello, senza più badare alle guardie profondamente addormentate. “Vuoi far del male al re?”
“No, assolutamente” replicò la voce, ridendo appena, mentre lei, con l’agilità degna di un canguro, balzava oltre l’ingombro di un’ennesima guardia immersa nel mondo dei sogni. “Stai mentendo!” accusò la principessa, con il fiatone.
“Forse” concesse, sibillina, la voce di Xelloss.
Non fu facile, rintracciare la stanza del re. Fu una ricerca condotta in fretta e furia, percorrendo con ansia ogni maledetto corridoio di quel nero, freddo castello. Ma, infine, Amelia la trovò: una porta in legno scuro, elegante, contornata da due fiere guardie fieramente cadute nel sonno. Uno di loro muoveva spasmodicamente la gamba destra, immerso in chissà quale incubo.
La principessa si scagliò sulla porta, facendosi male. “Accidenti!” sbraitò, scagliandosi ancora contro al legno.
“C’è la maniglia” consigliò generoso Xelloss, ancora invisibile.
“Ti farò così tante ramanzine sull’amore, demone, che sognerai colombelle bianche per il resto dei tuoi giorni!” quella pronunciata da Amelia fu una delle peggiori minacce che lei avesse mai saputo mettere assieme. Abbassò la maniglia, furiosa, ed irruppe nella stanza.
Quindi, urlò.
Ed urlò.
Ed ancora, urlò.
Un suono acuto, terribile, che si perse nelle mura di quel castello, perforando i timpani degli abitanti addormentati. Amelia si portò le mani al capo, retrocedendo istintivamente verso il muro, il mantello prestatole dal demone che ondeggiava alle sue spalle. Osservò terrorizzata il re, sbarrando all’inverosimile quegli occhi azzurri solitamente animati da innocente bontà.
Il re ricambiò il suo sguardo pieno di paura con uno vacuo; gli occhi fissavano il nulla, o forse fissavano direttamente la morte in faccia. La bocca spalancata in un eterno urlo, egli era insozzato di sangue dalla testa ai piedi. In qualunque modo fosse morto, non doveva essere stata una cosa veloce.
La principessa cadde a terra, strisciando la schiena contro il muro. Incapace di muoversi, piegò la testa verso il basso, abbandonandosi ad un pianto dirotto. Non aveva mai conosciuto quell’uomo; anzi, a volte lo aveva intimamente disprezzato, per la miseria cui costringeva la sua gente, lanciandola in una guerra inutile. Ma trovarlo morto, in quel modo…
Xelloss apparve innanzi alla principessa, sorridendo soddisfatto. “Amelia?”
Lei non alzò la testa, continuando a piangere.
“Su, non fare così” la consolò il mazoku, volteggiando a mezz’aria con il più assurdamente bastardo dei sorrisi stampato sul giovane volto. “Vedila dal lato positivo: ora sai in cosa consisteva la mia missione. Non ti senti più tranquilla?”
La principessa rialzò il capo, osservandolo con un viso solcato da abbondanti lacrime; gli occhi, già arrossati, tremarono di una rabbia forse mai provata. “Perché?” balbettò, incapace di reagire in modo realmente aggressivo. Quelle iridi opache e morte, appartenenti al re, la fissavano troppo intensamente, per permetterle di muoversi. Se si fosse alzata, sarebbe certamente caduta, priva di sensi. “Era un regnante di un piccolo paese… perché?”
Una spada apparve innanzi a lei, cadendo sul suo grembo. Sporcandola del sangue di cui era intrisa, strappandole un nuovo, lacerante urlo. “Perché da un piccolo omicidio si può ottenere una grande rovina” spiegò in un sussurro Xelloss, planando così vicino al suo viso, da sfiorarle la punta dell’elegante nasino. Schioccò le dita, e la principessa udì distintamente i borbottii delle guardie poste a protezione della stanza, ormai libere dall’incantesimo che le aveva addormentate. “Da una grande rovina si ottiene una grande guerra e da una grande guerra si ottiene… ah, no. Questo è un segreto!” si portò un dito alle labbra, piegando di lato il capo, come il più pestifero dei bambini.
I guerrieri, sbalorditi e giustamente preoccupati nel trovare la porta aperta, piombarono prepotentemente nella stanza reale nello stesso istante in cui il bieco demone l’abbandonava.
L’ultima cosa che Amelia vide sparire fu il suo sorriso.
   
 
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