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Autore: Bibi94    08/05/2012    1 recensioni
Federica Carezzi, brillante neo-laureata e giovane donna alla ricerca della propria identità lavorativa, è pronta a svolgere due mesi di tirocinio presso la Rocca degli amanti ignoranti. Il misterioso edificio, per secoli appartenuto a una ricca famiglia che portava il suo stesso cognome, ha sempre affascinato i pensieri della ragazza, la quale accetta entusiasta la proposta inviatale da una famosa compagnia artistica toscana. Eppure, quando il restauro riporterà alla luce le parole che raccontano un'antica leggenda del castello, l'occasione culturale si trasformerà ben presto in un disperato tentativo per scoprire la reale storia celata tra quei muri disgregati, in cui il tragico destino dei suoi due amanti appare inscindibilmente legato alla vita della protagonista...
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Premetto che si tratta di un'idea nata per caso: il castello, così come la protagonista e la storia, non sono reali. Ogni particolare nasce dalla mia immaginazione, che sarebbe davvero grata di sapere che cosa ne pensate! :) Quindi, scrivetemi le vostre opinioni, e siate cattivi!]   
 
 
Il castello si ergeva imponente davanti ai miei occhi, tanto da sembrare ancora più grande rispetto alle iperboliche descrizioni offerte dalla gente del luogo. Era estate, ma la brezza fresca e sonante, che pareva cercare un ascoltatore con sospiri appena percepibili, offriva a quella zona un aspetto misteriosamente autunnale. Anche il più irragionevole degli uomini avrebbe concordato con le mie supposizioni, rimanendo quasi imprigionato nella sottilissima brina che nascondeva i raggi del Sole.
Lì, tutto era stato dimenticato. L’erba ingiallita, le foglie insecchite degli alberi e l’atmosfera quasi spettrale mostravano una terra priva di ogni ricchezza. Eppure, sapevo meglio di ogni altro che non era così. In realtà, tra le mura dell’antica fortezza, si nascondevano le più impressionanti meraviglie, motivo per cui decisi di accettare quell’incarico.
Mi ero laureata presso l’Accademia delle Belle Arti di Bologna solo un anno prima, dopo aver frequentato il corso di Restauro. Un cammino sempre sognato, portato a termine con il massimo dei voti. I dipinti e le opere degli artisti non smettevano mai di conquistarmi, tanto che, pur di dedicarmi a loro, arrivai a spezzare i cuori di diversi ragazzi. Non è che non amassi l’amore, ma preferivo quello per il mio lavoro, il quale continuava a offrirmi molte soddisfazioni. Molte più soddisfazioni rispetto a quelle che ti può dare un uomo.
Dopo la rottura della mia storia con Daniel, un brasiliano conosciuto nel corso di una serata in discoteca, accettai immediatamente l’incarico che la compagnia di Restauro toscana mi avevano offerto. La busta, proveniente da Arezzo, giunse nella buchetta dell’appartamento bolognese in una calda mattina primaverile. Quando lessi le parole impresse sulla carta bianca e sottile, fui sul punto di svenire. Avevo sentito citare tante volte il castello Carezzi, soprannominato Rocca degli amanti ignoranti, ma mai avrei sperato di metterci piede. Invece, il destino mi aveva giocato quello scherzo improvviso, facendo in modo che il direttore della Compagnia Galilei mi offrisse la possibilità di svolgere due mesi di tirocinio presso la Stanza dei sospiri.
Era chiamata così la sala in cui, secondo la leggenda, morì la giovane contessa del castello, Francesca Carezzi, uccisa per mano del padre a causa di un amore sbagliato. Infatti, sembra che la fanciulla fosse stata scoperta insieme allo scudiero del palazzo, un ragazzo molto istruito ma di nascita inferiore. Attratta sia da questa tragica storia, sia dalla mai smentita bellezza della rocca, che portava il mio stesso cognome, preparai le valigie e raggiunsi Arezzo. 
Fortunatamente, il castello non era lontano dal capoluogo. Costruito al di sopra di una rupe, nel X secolo svolgeva la funzione di fortilizio militare, dove una guarnigione di soldati si radunava in difesa del territorio circostante. Solo a partire del 1200, l’edificio cominciò a essere abitato dalla nobile famiglia dei Carezzi, la cui storia terminò proprio con l’uccisione di Francesca. Caduto in rovina, quel luogo che un tempo rappresentò potere e ricchezza venne dimenticato: gli abitanti del borgo ai piedi della rupe abbandonarono le loro abitazioni, fino a quando quest’ultime vennero distrutte da un terribile incendio scoppiato nel 1700. Miseria e desolazione presero così il sopravvento, tanto che non potevo negare l’inquietudine provata appena mi trovai di fronte al monumentale portone di ingresso. La mia mente era come impazzita, catturata dal misterioso passato che affliggeva l’intera dimora. E non riuscivo a vincere quel senso di soffocamento che sembrava mettermi in guardia da qualcosa di molto più grande.
Per un attimo avrei voluto scappare, rinunciare all’incarico offertomi e tornare a Bologna, dove le mie amiche stavano progettando il weekend di San Lorenzo. Ma, una voce improvvisa, facendomi sobbalzare, mi riportò alla realtà.
“Signorina, che cosa ci fa qui? Il castello non si può visitare: è in corso il restauro degli interni”. Un ometto basso e grassoccio, i cui lineamenti giovanili lasciavano intravedere un’età non superiore ai 30 anni, si trovava alle mie spalle e, con la mano destra, sembrava sul punto di volermi sorreggere il braccio. Gli occhi, tondi e castani, simili a quelli di un bambino, mi osservavano con fare curioso, unito a un pizzico di preoccupazione. Discostatami leggermente per evitare una sua stretta, cercai di spiegare il motivo della visita.
“Ehm… scusi, ma non sono qui per un tour della fortezza. Mi chiamo Federica Carezzi e mi hanno assunta come restauratrice della Stanza dei sospiri… Le posso mostrare le lettera di convoc…”.
“Ma certo! La neo laureata! Sono io a dovermi scusare, signorina!” urlò il giovane, che sul petto portava il cartellino di riconoscimento, facendomi capire di essere un membro della Compagnia Galilei. 
“Sono desolato, signorì! Venga, venga con me” aggiunse prendendomi quasi violentemente la mano. Leggermente imbarazzata, accettai di lasciarmi condurre all’interno del castello, superando il grande portone. Davanti ai miei occhi, comparve un immenso cortile rettangolare, ai cui lati si ergeva un loggiato eretto da colonne scanalate, molte delle quali apparivano consumate dal tempo. Al centro, un pozzo enorme e circondato dall’edera offriva all’intero edificio un aspetto ancora più abbandonato. Dopo aver girato a sinistra, camminando sotto al porticato, fui condotta davanti a una piccola porticina, che, in un angolo, venne aperta dall’uomo molto lentamente. Mi ritrovai così in una minuscola saletta, piena di polvere e travi. Sul muro si alternavano, quasi cancellati, affreschi di donne e stelle con gigli tutti intorno, probabilmente simbolo della famiglia Carezzi. 
Il soffitto, in gran parte scrostato, riportava ancora il blu acceso del cielo, arricchito da quell’insolito stemma. Il mio accompagnatore, che doveva aver intuito la mia inquietudine, non tacque un minuto. Dopo aver scoperto il suo nome, Manuele Riccioli, venni a conoscenza delle sue origini romane e delle sue grandi doti di prestigiatore.
“Signorì, dovevate vedé com’ero bravo quand’ero un pischello! Facevo de quei giochi con le carte! Nessuno me batteva!”. Eppure, niente lo entusiasmava come l’arte. Michelangelo, Leonardo, Caravaggio… ogni artista lo incantava, motivo per cui decise di abbandonare il suo “grandioso” futuro di mago e di dedicarsi al restauro. Era senza dubbio una figura insolita, che ricordava piuttosto un contadino poco istruito e riluttante nei confronti della cultura. Ma, d’altronde, quei due mesi mi sarebbero stati di grande aiuto per capire che, certe volte, le persone, e l’intera realtà, non sono come appaiono.
  
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