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Autore: Cabiria Minerva    10/05/2012    2 recensioni
Il disagio di una ragazza, anonima, che vorrebbe strapparsi via dalla sua pelle, che trova sfogo in un'ossessione: l'anoressia.
Non sono malata, io! Lo faccio solo per un po', finché un giorno guardando lo specchio sarò io a vincere.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza degli specchi

 


Gentile, devo essere gentile. Me lo ripeto da quando gli ospiti sono arrivati ed ora che finalmente se ne vanno non mi sembra il caso di perdere la calma. Sorrido loro – Dio quanto sono falsa! - e li ringrazio ancora per il regalo. Non dovevate, veramente! Oh certo, mi piace molto quel gruppo. Grazie ancora. Mia madre sorride, mio padre è intento a discutere di lavoro, tanto per cambiare, con il suo amico. Storco il naso in una smorfia, ma un'occhiataccia di mia madre mi fa nascere un nuovo sorriso sulle labbra. Spontaneo, certo.

Con tutti i baci ed i buffetti che mi hanno dato dovrò come minimo lavarmi con il disinfettante, stasera, ma finché non varcheranno quella dannatissima porta non posso far altro che sorridere. Se solo mio padre la smettesse con le sue storielle noiose ed i problemi che sarebbero da rimandare a lunedì mattina. Oh, cosa odono le mie orecchie? Ma si, ha finito! Bene, uscite, da bravi. Finalmente... Ancora due minuti così ed il sorriso mi si sarebbe fissato sul volto. Do la buonanotte ai miei e corro su per le scale. Qualcuno mi chiama. Mi volto. Mia madre mi ricorda del regalo. Dalla sua espressione capisco di non essere riuscita a dissimulare il mio disgusto. Vabbé, per farla felice ridiscendo i gradini ed afferro il CD ed il poster che giacciono – purtroppo per me non dimenticati – sul tavolo.

Non appena sento la porta chiudersi dietro di me tiro un sospiro di sollievo. Lancio il CD sul letto – chissà, magari potrebbe anche rivelarsi decente – ma il poster è ancora ben stretto tra le mie mani. La sola idea di appendere un obbrobrio simile mi fa accapponare la pelle. Insomma, contiene cinque, dico cinque, persone. In altre parole, cinque paia di occhi che mi osserverebbero giorno e notte. Cinque paia di occhi pronti a giudicarmi, come se non bastassero tutti quelli che incontro ogni giorno a scuola, per la strada, sul bus.

Il pensiero degli sguardi fissi su di me non migliora certo la situazione. Malgrado i miei sforzi per calmarmi getto il poster, ormai accartocciato, nel cestino. Gesto che, con mio disappunto, accompagno da un urletto soffocato. Per calmarmi so bene cosa dovrei fare. Dovrei scivolare silenziosa nel bagno e fare una lunga doccia bollente. Piccolo problema, in bagno c'è lo specchio. Dopo qualche breve istante di tentennamento mi decido: la doccia è di fondamentale importanza. E lo specchio... Be', tenterò di ignorarlo come faccio sempre.

Eccomi qui, allungo la mano per accendere la luce ed il mio sguardo cade proprio lì. Con tutte le cose che avrei potuto guardare – non so, l'asciugamano gettato su un mobile, la schiuma da barba di mio padre che insozza la mia trousse – i miei occhi si sono posati in se stessi.

Mi osservo come incantata dal mio stesso incubo. Vedo l'azzurro acquoso del mio sguardo giudicare ciò che vede: i capelli di un castano spento, gli occhi piccoli nascosti dietro ad un paio di occhiali sottili e metallizzati, la pelle pallida e segnata dall'acne. Nello sgomento ringrazio il cielo che lo specchio rifletta solo fino al collo, perché non so se riuscirei a sopportare di guardare oltre. I miei occhi s'incatenano di nuovo e mi obbligano a guardarmi. Sebbene nelle orecchie ancora risuonino i vari “Ma smettila, che sei bella così!” di mia madre, la superficie liscia davanti a me mostra un volto che nessuno noterebbe mai nella folla, guarnito da un'espressione da secchiona.

Uno scatto quasi involontario mi allontana dall'immagine che tanto odio. Evito di abbassare lo sguardo sul mio corpo e con mano tremante prendo il sapone. Per la seconda volta questa sera mi ritrovo a ringraziare il cielo, questa volta per aver donato all'umanità l'acqua calda ed il sapone. Sfrego via la mia agitazione finché sento d'essermi calmata, ed anche bollita, effettivamente. Ridacchio perché in questo momento mi sembra quasi di poter capire come debba sentirsi un'aragosta bollita ed allungo alla cieca una mano alla ricerca dell'asciugamano. Lo trovo piuttosto facilmente e mi ci avvolgo.

Dopo pochi istanti sono in camera mia. Niente specchi, qui. Sorrido soddisfatta ed indosso il pigiama. Quando finalmente m'infilo sotto le coperte mi sfugge ancora l'occhio verso il poster – o quello che ne rimane. Uhm... Dov'è la matita? Ah, eccola... Non posso addormentarmi prima d'aver registrato sul diario i progressi della giornata. Allora... Purtroppo, essendo sabato, non ho potuto limitarmi alla solita mela oggi a pranzo, ma rimedierò, diario. Lunedì salterò cena con una qualche scusa. E forse anche martedì. Sì, farò proprio così. Non per sempre, ovvio. No, non sono mica come una di quelle ragazze di cui parlano alla tele. Non sono malata, io! Lo faccio solo per un po', finché un giorno guardando lo specchio sarò io a vincere.


 



Questo breve racconto - che, premetto, non è niente di personale (vorrei evitare commenti tipo ''Ommioddio, ma sei tu la ragazza?! Mi dispiace così tanto!''. No, non sono io e non è neanche qualcuno che conosco: è un personaggio fittizio in una situazione fittizia) - è stato scritto alcuni anni fa, quando gran parte delle mie storie avevano tematiche inerenti il disagio esistenziale.

Spero vi sia piaciuto malgrado non l'abbia rielaborato.

Cabiria Minerva
   
 
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