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Autore: anniesalmon    10/05/2012    2 recensioni
Questa storia ripercorre alcuni momenti della vita di Sam e Dean, è ambientata prima del pilot della serie e arriva fino alla fuga di Sam per Stanford. Il protagonista è Sam, appunto, e la questa fanfic rappresenta anche uno studio della sua personalità: se non volete credere che Sam sia un "mostro", se credete che ci sia molto di più oltre ciò che vediamo solitamente... questa storia fa per voi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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1998 - Michigan

Dean gli aveva chiaramente ordinato di restare sotto le coperte, ma Sam quasi non riusciva a respirare.
Fuori da quel lurido motel, in un vicolo isolato proprio accanto all'edificio, qualcosa urlava e gemeva. Due uomini, uno era poco più che un ragazzo, giravano in cerchio intorno a quella creatura dall'aspetto umano, ma che di umano aveva ben poco.
Sam conosceva il rituale a memoria, lo odiava a morte, ma avrebbe saputo riprodurlo alla perfezione, e forse anche migliorarlo, ma Dean non gliel'avrebbe mai permesso. Anche se aveva solo quindici anni, avrebbe potuto contribuire alla caccia, avrebbe potuto fare qualcosa di utile, avrebbe potuto aiutare a trovare la cosa aveva ucciso la mamma. Sam aveva l'impressione che John volesse che partecipasse anche lui, ma tacesse solo perché Dean era fermissimo. Non voleva assolutamente che intervenisse, e questo Sam lo sopportava a malapena. Sapeva che Dean voleva solo tenerlo al sicuro, ma in realtà non aveva bisogno di quella protezione. Voleva far parte di quella caccia.

Se c'era una cosa che Sam odiava, quella era la caccia. Odiava i mostri, odiava le pistole, i fucili, il sale, il ferro, l'argento e i coltelli. Odiava il pericolo costante in cui non solo lui, ma anche Dean erano costretti a vivere. Non odiava John, odiava ciò in cui si era trasformato.
Sebbene suo fratello sapesse il fatto suo, quando si trattava di John sembrava perdere la ragione. Era come accecato da loro padre, come se qualunque cosa egli facesse fosse automaticamente giusta. Era comprensibile, perché Dean aveva sempre ricevuto ordini da lui ed era, in un certo senso, “asservito”, ma per Sam non funzionava in questo modo. Sam riteneva che il rispetto e la fiducia andassero meritate, e John non sempre se le guadagnava. Dean aveva sempre sopravvalutato loro padre, guardando a lui come una sorta di semidio. “Papà ha detto questo e noi facciamo questo, papà ha detto quello e noi facciamo quello Sammy, questa è la regola”, diceva. A Sam le regole però non piacevano. Non è così che si comporta un padre, pensava. Un padre che tiene ai propri figli non li obbliga a una vita di violenza, sangue e stress. Non li obbliga a vivere nel pericolo costante a cui invece sono costantemente sottoposti, e sopratutto non tarpa loro le ali...
In quel letto, Sam si torturava. Era in atto una sorta di conflitto tra parti nella sua mente, ne era stranamente consapevole.
Alzati e vattene Sam. Sai come far perdere le tue tracce, vai alla ricerca del tuo futuro, diceva la solita voce, di cui non riconosceva l'origine ma che lo accompagnava da sempre. Vai ad aiutarli, vai a partecipare Sam. Devi scoprire cosa mi è successo, intervenne una voce femminile, familiare, rancorosa. Non ti muovere da lì Sammy, ti racconto tutto dopo te lo prometto, chiuse il discorso un'ultima voce, quella profonda di Dean.
Sam chiuse gli occhi, ascoltando il fratello. Il problema non era solo la rabbia contro suo padre, spesso incontrollata, irrazionale, insensata – lui stesso ne era consapevole, ma non sapeva come fermarla – c'era molto altro.
Quando Dean trovò il coraggio di raccontargli cos'era successo quindici anni prima in quella cameretta, una parte di Sam morì con sua madre. A quello sguardo innocente, incantato, affascinato, buono si aggiunse una scintilla di agitazione, tormento e cruda razionalità che non lo avrebbe mai abbandonato. Capì che il male si nascondeva ovunque, e sebbene mai aveva desiderato quella vita, si ritrovava a bramare smodatamente la vendetta. Sorprendeva se stesso a lanciare sguardi d'odio contro suo padre perché lo costringeva a una vita che odiava, e si fermava soltanto quando incontrava gli occhi preoccupati e il cipiglio spaventato del fratello maggiore. Allora si risvegliava in lui la parte “buona”, la migliore.
Dean tirava fuori il meglio di Sam, senza neanche sforzarsi.

Si rigirò nel letto, mettendosi di lato, cercando di captare ogni suono proveniente dalla bocca del demone che la sua famiglia stava torturando. Si scostò i capelli castani dagli occhi, e si concentrò. Un urlo lacerante squarciò la notte, prima che Sam potesse capire qualcosa. Poi, subito dopo, una cantilena in latino pose fine alle sofferenze di quella creatura, e il ragazzo scorse un ombra di fumo nero allontanarsi velocemente nel cielo.
Era finita, un altro demone esorcizzato, probabilmente per niente. Le imprecazioni di John confermarono le sue idee.
Pochi minuti dopo un uomo corpulento quasi sfondò la porta, bestemmiando in preda alla rabbia. Dean entrò subito dietro, gli occhi stanchi e le mani sanguinanti, piene di lividi. Il lavoro sporco era toccato a lui stavolta. Sam si mise a sedere sul margine del letto, raccolse uno strofinaccio da terra e lo imbevve d'acqua, poi lo gettò al fratello, che lo colse al volo. I due si guardarono per un attimo. Sam sapeva già cosa avrebbe detto Dean: avresti dovuto dormire, perché non mi dai mai retta?
« Che ci fai ancora sveglio? Ti avevo detto di dormire, dammi retta ogni tanto »
« Non è che siate proprio silenziosi, Dean »
Dean borbottò qualcosa stancamente, non aveva la forza di rispondere a tono alle quattro di notte. Sam si spostò sulla brandina dove di solito dormiva John, facendo segno al fratello. Quello capì e spinse l'uomo corpulento sul letto più comodo, in modo che potesse riposare meglio dopo la faticosa nottata.
John non oppose resistenza, esaurito e debole come dopo ogni caccia e si addormentò quasi subito.
Dean si reggeva a malapena in piedi, così si sedette sul letto accanto alla brandina di Sam e si limitò a strusciarsi quello strofinaccio sulle ferite in modo del tutto inutile. Le stava escoriando ancora di più, se possibile.
« Così ti scartavetri le mani, fai piano, appoggiacelo e basta », mormorò Sam.
« Perché non stai zitto un po'? », rispose l'altro, stizzito. Sistemò subito lo strofinaccio però.
Sam si sedette di fronte. Anche se era tardi e Dean era sfinito, doveva cercare di farsi dire qualcosa. Era troppo angosciato per lasciar perdere. Lui avrebbe capito.
« Senti Dean... com'è andata? Chi era questo demone? »
Dean alzò lentamente lo sguardo, gli occhi identici a quelli di Sam brillarono flebilmente per un attimo, alla luce della luna che filtrava dalla finestra dietro Sam. Era stanco, e non aveva voglia di chiacchierare, come sempre. Sbuffò.
« Pensavamo fosse importante sai, uno di quelli in alto nella catena alimentare. Invece era un dannatissimo servo della gleba, sapeva poco o nulla. Papà era convinto che fosse una pista, ma quello o non sapeva nulla per davvero o era uno dei dodici apostoli di Satana, un fedelissimo », disse. « L'abbiamo spremuto con ogni metodo che conosciamo, ma non abbiamo fatto passi avanti. Ci ha tenuto sulle spine, non siamo nemmeno riusciti a capire se il figlio di puttana è un demone o un qualche altro mostro... Ha detto solo che è molto più potente di ogni nostra aspettativa ». La voce di Dean si fece un sospiro nell'ultima frase.
Si sbagliava, il demone. Non erano le loro aspettative ad essere basse, non sottovalutavano la creatura, erano solo sicuri che l'avrebbero sconfitta, in un modo o nell'altro. Sam e John vibravano dal desiderio di vendetta su quel maledetto, Dean invece era relativamente tranquillo.
Sebbene ricordasse ancora la mamma che bruciava sul soffitto e il dolore della sua perdita, riusciva a gestire la situazione piuttosto bene. Mitigava l'ira del padre, teneva Sam lontano da lui quando vedeva che non reggeva più la tensione e faceva sì che bene o male, la famiglia se la cavasse. Da che Sam riuscisse a ricordare, era Dean a occuparsi di lui, molto più di John. Per questo erano così legati, telepatici, dipendenti l'uno dall'altro.
« Noi lo uccideremo Dean », annunciò Sam, dando sfogo alla sintesi di tutti i suoi pensieri. « Uccideremo quel mostro, vero? Lo faremo insieme, io, te e papà »
« Lui non ne parla. Non sembra che voglia includerci in quella caccia... »
« Cosa?! Certo che lo farà, anche noi dobbiamo vendicare la mamma, fosse pure tra dieci anni! »
« Sì Sam lo so, lo voglio anche io. Siamo ancora infangati però, non è nemmeno cominciata quindi abbi pazienza », disse Dean, togliendosi la giacca e poggiando a terra lo straccio.
Adesso le sue mani stavano meglio, ma Sam era sicuro che Dean le sentisse ancora pulsare per i pugni che avevano dato.
« Faremo parte di quella caccia », mormorò Sam più a se stesso che al fratello.
« Comunque non abbiamo altre piste per il momento, quindi domani ci riposiamo e poi andremo alla ricerca di un caso nuovo, la ricerca è ferma ora quindi rilassati pure... »
« Un altro caso?! », esclamò Sam, in preda allo sconforto. « Ti prego basta con i casi, ne abbiamo uno per le mani da parecchio tempo, se proprio devo fare queste cose le voglio fare per uno scopo! »
« Ce l'hai lo scopo! Aiutare chi è in pericolo Sam, questo non ti va bene? »
« Beh sì ma... »
« Nessun "ma"! Quale diavolo è il tuo problema? Noi possiamo aiutare la gente, possiamo davvero, perché non dovremmo farlo? Ah, perché tu dovresti andare a scuola come un qualsiasi altro ragazzino, vero? »
« E che c'è di male? Perché, noi siamo diversi? Io sono diverso da loro? », alzò la voce, rischiando di svegliare John.
« Non sei diverso, ma hai possibilità diverse! Loro non possono, tu sì. Come puoi essere tanto egoista da metterti sempre al primo posto eh? », ricambiò Dean, lanciando un masso da duecento chili sulla sua coscienza.
Sam non trovò le parole per rispondere. Non era vero che non voleva aiutare la gente. Non era quello il punto. Dean non capiva.
« Lasciamo perdere Sammy », disse Dean infilandosi sotto le coperte e voltandosi dall'altra parte, chiudendo così la conversazione.
Sam bofonchiò qualcosa sul fatto di non chiamarlo Sammy, poi si coprì a sua volta e si voltò.
Non era la prima volta che affrontavano quel discorso - il fatto che secondo lui John avrebbe dovuto garantire ai figli una vita normale, o almeno provarci - ma Dean non gli aveva mai dato dell'egoista.
Prima di quel momento, Sam non aveva mai pensato al fatto che scegliendo una via, avrebbe completamente abbandonato l'altra, ossia la possibilità di aiutare la gente e di stare con la sua famiglia. Era sempre stato buono, altruista, cercava di fare il possibile per le ricerche durante i casi, anche se Dean non gli permetteva di agire dal punto di vista pratico. Gli piaceva dare una mano a salvare delle vite, era l'unica cosa che amava del lavoro.
Adesso Dean aveva messo in discussione anche quello. Non era riuscito a dire niente perché il discorso del fratello era sensato, purtroppo. Chi si credeva di essere per mettere un suo capriccio infantile davanti alla vita di tutte le persone che lui, suo padre e suo fratello potrebbero salvare?
Nonostante i suoi sforzi di trattenerla, una lacrima scese silenziosa.
Sam non aveva mai pensato di abbandonare la sua famiglia, la amava nonostante tutto, come nient'altro al mondo. Eppure, voleva tranquillità, pace, sicurezza, degli amici, una vita normale. Infine, voleva vendetta. Era un desiderio radicato, profondo, che ancora esprimeva con molta difficoltà. Lo reprimeva, ma era consapevole della sua esistenza.
Dean aveva dannatamente ragione, e Sam capì in quel momento che non se ne sarebbe mai andato.



  
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