[ La descrizione di un attimo
le convinzioni che cambiano
e crolla la fortezza del mio debole per te
anche se non sei più sola perché sola non sai stare
e credi che dividersi la vita sia normale
ma la mia memoria scivola
mi ricordo limpida la trasmissione dei pensieri
la sensazione che in un attimo
qualunque cosa pensassimo poteva succedere
E poi cos'è successo
aspettami oppure dimenticami
ci rivediamo adesso
dopo quasi cinque anni
e come sempre sei la descrizione di un attimo per me
e come sempre sei un'emozione fortissima
e come sempre sei bellissima
La descrizione di un attimo -
Tiromancino ]
Prologo
Austria, 1910.
Ci
fu un tempo in cui ogni cosa sembrava giusta, ogni particolare avrebbe potuto
condurci alla felicità. Un fiore appena colto, una farfalla in volo, il vento
che ci scompiglia i capelli, la risata di un amico. Un tempo nel quale ogni
attimo non era mai vuoto, ogni giornata non poteva essere sprecata, ogni gioco
innocente sarebbe rimasto tale. Quel tempo lo chiamerò infanzia e lo ricorderò
così, con la serenità di un istante, la velocità di un battito di ciglia, la
fugacità di una foglia appena caduta.
Il ragazzino dai capelli biondi uscì sbattendo la
porta di casa, correndo a piedi nudi sulla terra umida. Si gettò al suolo,
lasciando che l’odore di erba bagnata gli inebriasse le narici e chiuse gli
occhi di un giallo grano per meglio assaporarlo. Strappò impunemente un filo
d’erba dal prato, portandoselo alla bocca e soffiando forte non riuscendo ad
ottenere il suono tanto desiderato. Lo gettò spazientito, strappandone un
altro, e ancora e ancora. L’espressione rasentava risentimento, storse la bocca
digrignando i denti nel tentativo di rovinare quel lembo di prato, lasciando
che il vento gli sfiorasse la pelle. Continuò a sforzarsi per raggiungere il
suo intento, senza accorgersi che a pochi passi da lui un bambino dall’aria
distratta e gli occhi di un lucido castano chiaro stava ad osservarlo, indeciso
sul da farsi.
<< Cosa vuoi? >> chiese l’altro
indispettito, avendolo sentito arrivare.
<< La mamma mi ha chiesto di chiamarti, Ed.
E’ pronto in tavola da un pezzo >> dichiarò candidamente il piccolo dagli
occhi un poco umidi.
<< Non ho fame >> fece seccato il
monello, scostandosi i capelli biondi dalla fronte e muovendo nervosamente
avanti e indietro i piedi, disteso a pancia in giù sul prato.
Il piccolo si avvicinò con fare timoroso, traendo
un profondo respiro. << So che papà ti manca molto, la mamma ha detto che
tornerà presto e non dobbiamo preoccuparci >> cercò di convincerlo.
<< Papà non c’entra niente! Ora vattene, Al!
>> esclamò stizzito, cacciando in malo modo l’altro, che non trovò altra
alternativa.
Il piccolo Edward cercò invano di sfogare la
propria rabbia su quel prato qualche secondo prima intatto e immacolato. Non
trovò altro modo di farlo e riuscì solo attraverso quel modo di fare, ormai
assunto da diverso tempo, a frenare le lacrime.
Quella mattina aveva scoperto un’altra volta la
madre piangere calde lacrime appoggiata al lavandino della cucina. Non riusciva
a sopportarlo e sapeva a chi attribuire la colpa di tutto quel dolore. Ma come dimostrare
tanta rabbia a coloro che aveva intorno senza ferirli? Non era possibile,
soprattutto verso suo fratello, Alphonse, di cui cercava di bloccare sempre le
false illusioni di un possibile ritorno.
Continuò a strappare foglie e petali finché di
fronte ai suoi occhi non si piazzarono due piedi nudi, piccoli e bianchi.
Sollevò lo sguardo notando con intima preoccupazione il volto corrucciato e
minaccioso di una bambina dai corti capelli biondi e gli occhi azzurri come il
mare.
<< Cosa vuoi, Winry?
>> chiese sbuffando.
La piccola non rispose, si limitò semplicemente a
scagliare un pugno forte sul capo del bambino distratto da altro. Il bernoccolo
fu imminente.
<< Che diavolo ti prende? >> fece il
piccolo strofinandosi la testa con una lacrimuccia.
<< Sai che non devi trattare male Al, lui
soffre tanto quanto te! >> lo redarguì.
<< Tu fatti i fatti tuoi! Non sono cose che
ti riguardano >>
<< Lo sono, Ed! Conosco voi fratelli da
tanto tempo e non puoi dirmi che non sono affari miei! >> si offese l’altra.
A quel punto il piccolo Al uscì di casa,
sfoggiando un enorme sorriso che da solo riuscì subito a sedare gli animi dei
due.
<< Winry, Ed,
giochiamo? >> chiese candido senza curarsi del volto dolorante del
fratello e quello arrabbiato dell’amica.
Presero a rincorrersi, gettarsi fango e terra
addosso, come se nulla fosse successo, come se i loro cuori non chiedessero
altro, come se il tempo si fosse fermato a quell’istante magnifico, puro,
semplice. Tutto venne dimenticato, Edward prese nuovamente possesso del bambino
che era in lui, Alphonse non trattenne rancore comprendendo il dolore del
fratello, Winry impiegò tutte le proprie energie per
divertire i due e giocare con loro come se quella fosse l’ultima occasione
della loro vita.
Giocare, sì, come se conoscessero il loro destino,
come se presagissero qualcosa del futuro.
Il vento soffiava forte, le foglie presero a
cadere trasportando sui loro verdi e freschi dorsi le risate ormai lontane di
quei bambini.