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Autore: SAranel    11/05/2012    11 recensioni
John ha una richiesta particolare per Sherlock, che ovviamente rifiuta categoricamente di assecondare. John però, non reagisce esattamente bene. Una scoperta però potrebbe ribaltare completamente la situazione. Cosa succederà?
“Sherlock, non ti ho chiesto il mondo!” gridò John, al limite massimo della sopportazione. “Io assecondo ogni tua richiesta, anche la più folle e lungi da me farti sentire…in debito per qualcosa, ma cosa ti costerebbe assecondare qualche mio desiderio almeno una volta?”
John non capiva, non comprendeva, non tollerava semplicemente che Sherlock liquidasse le sue richieste senza quasi mai dargli un motivo valido. Soprattutto quella volta, John non gli aveva chiesto nulla di complicato, o chissà quanto umiliante."{...]
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao fandomino adoratissimo!
Oggi sono decisamente tesa e un filino giù di morale e avevo veramente, veramente bisogno di scrivere un po’!
Spero davvero che questo lavoretto per me ‘terapeutico’ vi piaccia quanto è piaciuto a me scriverlo!
Sperando in bene, vi auguro buona lettura!

S.



Quando meno te lo aspetti
*

 


“Sherlock, non ti ho chiesto il mondo!” gridò John, al limite massimo della sopportazione. “Io assecondo ogni tua richiesta, anche la più folle e lungi da me farti sentire…in debito per qualcosa, ma cosa ti costerebbe assecondare qualche mio desiderio almeno una volta?”
John non capiva, non comprendeva, non tollerava semplicemente che Sherlock liquidasse le sue richieste senza quasi mai dargli un motivo valido. Soprattutto quella volta, John non gli aveva chiesto nulla di complicato, o chissà quanto umiliante. Aveva semplicemente espresso il desiderio di fare una passeggiata in bicicletta un giorno, dato che le giornate volgevano quasi sempre ad essere serene e calde, e che gli sarebbe piaciuto che lui lo accompagnasse. Il coinquilino aveva avuto una reazione stranissima, la prima volta che l’aveva proposto, come se quella fosse stata la cosa più stramba che qualcuno gli avesse chiesto a distanza di anni. E parlava di qualcuno che era abituato a colpire cadaveri con un frustino. Aveva declinato immediatamente il suggerimento, dicendo che era una pessima idea, che sarebbe stata un’inutile perdita di tempo prezioso, che rimanere imbottigliati nel traffico su un traballante e instabile mezzo di trasporto su due ruote appena non era il massimo del divertimento.
John aveva rinunciato in un primo momento, ma il giorno dopo era tornato all’attacco chiedendoglielo ancora, insistendo, cercando di analizzare con lui i mille lati positivi di una sana giornata all’aperto. Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo e aveva preso a girovagare per casa apaticamente, facendo qualunque cosa che lo distogliesse dall’ascoltare ancora John. Il terzo giorno poi, John era riuscito ad cavargli fuori una semi confessione.
“Non so andarci. Contento?” aveva detto, cercando di non incontrare il suo sguardo. “Ma anche se sapessi farlo, non verrei comunque”.
John era rimasto non poco sorpreso da quell’affermazione ma dopotutto, Sherlock era ‘spettacolarmente ignorante’ su svariati argomenti, Sistema Solare in primis, e quello di non saper maneggiare una bicicletta non era certamente il suo principale problema.
E ben una settimana dopo, John ci aveva riprovato, cercando di approcciarsi al discorso in maniera diversa, magari più tranquilla. Ogni suo buon proposito era però andato a farsi bellamente benedire a fine serata, e John aveva seriamente perso la pazienza, tanto da permettere alla rabbia di prevalere, oscurandogli completamente il raziocinio.

“Io sono veramente stanco, Sherlock!” urlò John chiudendo la porta dell’ingresso con inusuale veemenza. Mrs. Hudson al piano di sotto avrebbe certamente avuto da ridire alla prossima visita sul modo in cui il suo appartamento veniva barbaramente trattato, ma in quel momento, la padrona di casa era l’ultimo dei problemi di Sherlock e John.
“John non farla tanto lunga. Sei così noioso” fu la risposta pacata di Sherlock, totalmente scoordinata dal tono di voce irruento di John, come se questi non fosse infuriato con lui ma semplicemente appena stizzito. “Sei talmente infantile, a volte”.
John restò a fissarlo, inspirando ed espirando rumorosamente per auto convincersi a mantenere almeno un briciolo di calma, per evitare di esplodere. E stava arrivando decisamente al punto massimo di sopportazione.

“Io non sono infantile, Sherlock! Io ho solo… voglia di passare del tempo libero fuori con il mio… migliore amico!” disse tra i denti, come se non credesse di essere stato capace di definirlo ancora in quel modo. “E tu non fai che contraddirmi, facendomi sentire un perfetto idiota, quello che ha sempre idee stupide, quello che non fa altro che… rubare tempo al tuo prezioso lavoro!”. Non riusciva davvero più a trattenersi. Si sentiva un vulcano dormiente pronto ad esplodere di nuovo.
Sherlock chiuse gli occhi, sbuffando.
“Ti prego John, piantala con questa storia” lo pregò il detective, sprofondando tra i cuscini del divano.
“Io non la pianto! Oggi ti ho seguito ancora Sherlock, ho rischiato ancora per te, ho…messo a repentaglio la mia vita per te, per non ricevere uno straccio di riconoscenza, in cambio!” si sentiva decisamente idiota a prendersela a quel modo per una gita in bici ma ormai era diventata una questione di principio, per John. Dovevano esserci regole, tra loro, una volta per tutte.

Sherlock rise, sarcastico, volgendo di nuovo gli occhi chiari verso di lui.

“Oh, mi dispiace. Non ricordavo che nella contratto della nostra…amicizia fosse contemplato un obbligatorio dare-avere” esclamò, toccando nel segno. John strinse i denti.
“Non fai che metterti in pericolo, Sherlock. Stasera è stata l’ennesima prova. E metti deliberatamente a rischio altre persone, me compreso” spiegò, cercando di moderare il tono della voce anche se dentro ancora si sentiva bruciare.
Sherlock gli rivolse un’occhiata di sufficienza, con un cipiglio indagatore che riuscì solamente a rendere John ancora più nervoso. Ammirava le capacità di Sherlock, lodava in continuazione la sua intelligenza e le sue abilità deduttive ma odiava quando il coinquilino provava deliberatamente a leggere dentro di lui.
“Pensavo che il pericolo ti piacesse. Che lo trovassi stimolante, adrenalinico… eccitante” esclamò, lasciando John interdetto per un secondo.
“E sai che è così, Sherlock. Però non sopporto quando cerchi deliberatamente di farci ammazzare, senza alzare nemmeno un dito per cercare di uscirne. Ti senti stimolato a trovarti sull’orlo del baratro, trovi certamente molto eccitante ridurti sempre all’ultimo secondo nel cercare di… di reagire. Come per il tassista, so che lo stai pensando”.
“Sapevo che saresti arrivato”.
John rise, senza alcuna allegria.
“Certo che lo sapevi. Ma non t’importava di rischiare la vita, perché dovevi sfidare lui e sfidare te stesso. Ora però non sei più solo, Sherlock e per quanto la vita con te sia piena, per quanto… mi faccia sentire bene lavorare con te io non ho intenzione di tirare le cuoia perché il mio migliore amico dimostri a se stesso quanto è intelligente. Non sono sopravvissuto all’Afghanistan per morire a causa di una stupida questione di orgoglio”.

Sherlock distolse lo sguardo dal medico, mordendosi il labbro inferiore che si arrossò per la pressione leggera dei denti. Si sfilò il cappotto e la sciarpa, con un sospiro.
“Quindi stai dicendo che di te non m’importa, John” sintetizzò. “Che ti lascio correre i miei stessi pericoli ignorandoti, e pensando solamente al modo più brillante e intelligente di risolvere il caso in questione per gratificare il mio ego smisurato senza darti nulla in cambio.”

John annuì con un sorriso sarcastico, battendo le mani in un applauso senza alcun entusiasmo.
“Hai capito, ovviamente. Non mi aspettavo diversamente. Io non voglio che tu ti senta obbligato, odio che la gente si sente in debito ma…io ho ucciso per te, ho fatto cose…che andavano oltre ogni mia morale, anche. E tu? Cosa hai mai fatto per me?” sentenziò, sputando tutta la sua rabbia e frustrazione. Sherlock lo guardò ancora, con un’espressione indecifrabile sul volto. Non sorrideva, non era corrucciato, né  impietosito o amareggiato. Il suo viso spigoloso era una completa maschera di indifferenza.

John lo vide chiudere gli occhi per un secondo, come se stesse riflettendo, pensando intensamente a qualcosa. Se si fosse concentrato, il medico lo sentiva, avrebbe potuto quasi udire il rumore del suo cervello in iperattività, come quando era nel mezzo di un caso.
Con somma sorpresa di John, il coinquilino sospirò e annuì.
“Suppongo che tu abbia ragione, John” disse, in un tono neutro e diplomatico. Deglutì. “Sono stato sempre così…ingrato” ammise, ma John non capì se fosse serio o se lo stesse schernendo. “Credo che la cosa più sincera da dire sia che sono…fatto così. E la buona educazione mi imporrebbe di chiederti se c’è qualcosa che io possa fare per rimediare. Allora, John?” chiese, e John lo vide per la prima volta esitante, come se avesse paura a porre quella domanda.
Il medico sospirò, la rabbia che ancora faticava a sbollire e che annebbiava tutti i suoi sensi, alterandoli. Fosse stato il John Watson di ogni giorno probabilmente lo avrebbe perdonato, cercando di non pensarci più e voltando definitivamente pagina, ma per quel John sull’orlo della sopportazione, adirato e frustrato non c’erano belle parole o qualunque altra giustificazione che avrebbero potuto distoglierlo dalla sua idea. Men che meno l’essere trattato come un ragazzino capriccioso.
“No, Sherlock. Non voglio la tua pietà. Hai bruciato la tua possibilità”.
Le pupille di Sherlock si dilatarono per un secondo, e le labbra, quasi seguendo il loro esempio, si separarono leggermente in un’espressione sbigottita. Sherlock sembrava stupito, sorpreso, preso alla sprovvista. Come se non si fosse mai aspettato quella risposta da parte di John. Credeva che avrebbe sopportato in silenzio, come tutte le altre volte?
“Bene” disse, con una voce decisamente diversa dal solito. “Col tuo permesso, andrei a dormire, adesso”.
John non rispose, né gli augurò la buonanotte sulla soglia della porta più tardi. Lo guardò sparire dietro il muro maestro rimanendo il silenzio, con sentimenti forti, dilanianti e contrastanti che lottavano dentro di lui per poter uscire, liberarsi. Con un senso opprimente di nausea e la testa che pulsava dolorosamente, salì la rampa di scale, spegnendo la luce.
Quando la rabbia cominciò a sbollire, lasciando un minimo spazio alla vecchia e proverbiale razionalità che lo aveva sempre contraddistinto, John cominciò a sentirsi terribilmente in colpa. Lo sconvolgeva ripensare soprattutto all’espressione di Sherlock prima che si congedasse dalla discussione, e ci aveva pensato a lungo, in quella notte insonne.
Dopotutto Sherlock era veramente fatto così, e nulla avrebbe potuto cambiarlo. Non era sicuramente cattiveria, né qualcosa di intenzionale, semplicemente era nel suo carattere, nel suo essere totalmente fuori dal comune, nel suo essere Sherlock. Le semplici emozioni umane, le semplici azioni umane, non sortivano alcun effetto su di lui e quindi era inevitabile che cercasse qualcosa che le compensasse, che gli desse una soddisfazione che qualcosa di comune non poteva dargli.

“Questo non giustifica il fatto che debba sempre coinvolgermi” John disse a se stesso. “Va bene il rischio, ma non può ignorare che io sono li con lui e non ho alcuna voglia di farmi ammazzare per dimostrare qualcosa a qualcuno”.
Magari non era del tutto vero, questo glielo doveva, aveva visto sincera preoccupazione nei suoi occhi durante la disavventura in piscina con Moriarty, lo aveva visto decisamente in pena quando lo aveva visto con un’arma puntata alla testa, a casa di Irene Adler…e aveva saputo difendersi, quella volta... ma a John non bastava. Sherlock lo aveva salvato sempre, alla fine, nel momento stesso in cui la speranza di sopravvivenza quasi svaniva, ma John lo odiava, tremendamente. A John non piaceva affatto il modo in cui Sherlock liquidava poi la cosa, dandole poco peso. Non era mai sembrato pentito, ferito per quello che gli aveva fatto passare, non aveva mai speso una parola per dirgli che gli dispiaceva, che era costernato e avrebbe cercato di limitare i danni. Sherlock dava tutto per scontato, anche che John sarebbe stato pronto ad affrontare la morte per lui. Ed era vero, molto più che vero, ma John aveva sperato di non darlo così tanto a vedere.

 

Si alzò lentamente, roso dal senso di colpa, e scivolò piano per le scale, camminando sulle assi di legno poggiando completamente il piede facendo attenzione a non farle scricchiolare. Arrivato alla stanza di Sherlock si sporse dalla soglia e lo guardò.
Era profondamente addormentato, (o almeno così sembrava, non si poteva mai dire con lui) e stranamente, non indossava null’altro che i pantaloni grigi del pigiama. John abbassò lo sguardo quando se ne accorse, sentendosi avvampare come se qualcuno avesse improvvisamente alzato al massimo la temperatura nella stanza. Pian piano si avvicinò al letto, dal lato non occupato dal coinquilino e vi si sedette, delicatamente.
La luna era piena quella notte e la luce sgargiante e lattea proveniente da essa e dai lampioni della strada, penetrava dalla finestra con le persiane alzate, rischiarando la figura di Sherlock in tutta la sua singolare perfezione.

Era voltato su di un fianco, ma John poteva vedere chiaramente il petto abbassarsi e alzarsi al ritmo del suo respiro, i capelli scuri muoversi lentamente sollevati dagli sbuffi di fiato.
Confidando che non stesse fingendo per un qualche oscuro motivo, John si sentì incoraggiato ad avvicinarsi di più. Non sapeva esattamente cosa lo avesse spinto a quell’improvvisa voglia di contatto, dopotutto era stato infuriato con il coinquilino fino a nemmeno due ore prima, ma John aveva smesso di farsi domande sul suo strano comportamento. Da quando dividevano l’appartamento, sembrava che il comportamento strambo di Sherlock avesse in qualche modo contagiato anche lui in certi aspetti. Forse voleva solo dimostrare a se stesso che era pentito delle parole che aveva detto, che era grato comunque a Sherlock per averlo mantenuto vivo fino a quel momento anche se lui non aveva mai speso una parola di scuse, che teneva a lui lo stesso anche se non accettava le sue proposte di svago, anche se lo imbarazzava enormemente il fatto che per farlo, necessitasse di…toccare il detective.
Perché John aveva allungato la mano esitante, fino a poggiarla sulla spalla nuda di Sherlock, muovendo poi il palmo lungo il bicipite, l’interno del gomito e l’avambraccio, come se lo stesse confortando, nonostante non potesse sentirlo. Era come se gli stesse tacitamente chiedendo scusa. Toccò poi la pelle delicata del polso, dove si soffermò più a lungo, ad ascoltare il battito del suo cuore sulle dita. 
Il suo sguardo scivolò sul collo nudo del coinquilino, sulle sue spalle ampie e armoniose, sulla leggera curva della spina dorsale e sui suoi fianchi.
E fu allora, mentre studiava attentamente la pelle nivea di Sherlock, affascinato, che le vide. 
Alcuni segni erano più chiari, sbiaditi, di vecchia data, ma altri erano decisamente più marcati, freschi e di un colore più intenso, ancora più visibile a causa della carnagione chiara di Sherlock. Cicatrici. Un disegno fantasioso di piccoli segni un po' ovunque, di vario genere e forma che John si stupì di non aver mai notato prima. Aveva visto Sherlock nudo, o almeno semi-nudo pensò con un brivido, ma probabilmente non così a fondo da poterle notare. Dopotutto Sherlock non era uno che amava particolarmente esibire le sue...qualità.
John passò il polpastrello del dito indice a sfiorare una cicatrice sulla spalla particolarmente lunga e dai bordi regolari. Era una delle meno recenti a giudicare dal segno leggero ma all'improvviso John sembrò ricordare qualcosa.
Ladro di gioielli, Knightsbridge. Si era avventato contro John con una violenza che il medico non si sarebbe mai aspettato, e preso alla sprovvista non era stato abbastanza rapido da studiare una contromossa. Il ladro aveva tirato fuori un coltello e John aveva quasi visualizzato quella lama affondargli nel petto quando Sherlock aveva fatto la sua comparsa. Aveva deviato il braccio armato con un'abile colpo di spalla e l'uomo aveva gridato, lasciando la presa, ma solo dopo aver sferzato un ultimo coraggioso colpo di lama verso la spalla di Sherlock nel tentativo di liberarsi. 
John chiuse gli occhi ed emise un verso lamentoso e desolato. Adesso che quel frammento di memoria gli era sovvenuto alla mente, cominciava a sentirsi in colpa in maniera decisamente preoccupante. 
Il dito si spostò lentamente e il dito medio si aggiunse all'ìndice nel toccare la superficie leggermente irregolare e frastagliata di una ferita decisamente più marcata. Era abbastanza spessa e il graffio doveva essere stato profondo e causato da un oggetto non piatto e tagliente ma abbastanza pesante da lacerare l'epidermide. Anche per quella, un'immagine colpì John come un fulmine a ciel sereno. 
Pluriomicida, a Settembre, Peckham. Notte buia e senza stelle, una serata ottima per rischiare di morire con una botta in testa riverso sul marciapiede. Per fortuna anche quella volta l'aveva scampata, in gran parte con le proprie forze, non ricordava mai di aver mai stretto il polso di un uomo a quel modo, e anche grazie a Sherlock, che gli si era parato davanti bloccando la pistola a mezz'aria con la spalla.

"Dio, Sherlock. Riesci a farmi sentire un completo ingrato anche rimanendo zitto" bisbigliò in un soffio, sperando di non svegliarlo. 
Passò ad una cicatrice dalla forma circolare alla base della schiena. Quella la riconobbe quasi immediatamente, dato che ne aveva una identica anche lui sul braccio sinistro, a ricordo indelebile di quel delirante pomeriggio. Dinamitardo a Regent's Park, non avevano nemmeno dovuto spostarsi più di tanto da casa per la loro settimanale dose di minacce mortali e certamente era stato uno degli scontri più particolari che avessero mai avuto, dato che quel matto aveva cercato di pugnalarli con un accendigas da cucina. John continuò a seguire le linee immaginarie di quella mappa quasi invisibile ad altri occhi, rivivendo storie, momenti, immagini che credeva di aver dimenticato.  
Spalla sinistra, poco profonda, contrabbando d'armi a Lewisham. Fianco destro, piccola e squadrata, Uxoricida seriale con disturbi della personalità che aveva certamente scambiato John per una delle sue prossime consorti. Sherlock, anche quella volta, aveva rivendicato la sua assoluta...proprietà
La successiva mezz'ora fu un continuo fluire di ricordi e immagini vivide, quasi come si riferissero a qualcosa accaduto appena un giorno prima. 
E ovviamente, in quella mezz'ora John ammise a se stesso, non con un certo risentimento e pieno di senso di colpa, che si era comportato come un emerito idiota ingrato, con Sherlock. Magari non amava andare in bicicletta, ma dopotutto non amava fare la maggior parte delle cose che la gente comune faceva ogni giorno, ma lui non avrebbe assolutamente dovuto prendersela in quel modo lasciando che l'astio e l’ insoddisfazione prendessero il sopravvento su di lui costringendolo ad accusarlo di cose non vere. John affondò la testa nel cuscino, che odorava piacevolmente di Sherlock, emettendolo un rantolo di frustrazione. E adesso che cosa avrebbe dovuto fare? Se si fosse scusato, Sherlock non avrebbe certo liquidato la faccenda in un minuto. Avrebbe certamente fatto domande, supposizioni, deduzioni che lo avrebbero certamente portato a scoprire la verità. L'imbarazzante verità di John, sdraiato accanto a lui tutta la notte ad accarezzarlo con la dolcezza di uno sposino novello con la sua dolce metà.  
Mentre ancora rimuginava sul metodo più efficace per chiedergli scusa evitandosi grame figure e fin troppo imbarazzanti confessioni, John vagò con lo sguardo fino alle gambe semi-scoperte del coinquilino. Quando vide segni anche li, questa volta decisamente più recenti di quelli sulla sua metà superiore, John ebbe un fremito. Si alzò dalla posizione sdraiata che aveva mantenuto per tutto il tempo e si rannicchiò ai piedi del letto, osservando i tagli ancora freschi e sanguinolenti sulle caviglie e sui polpacci di Sherlock. 
Erano un tipo veramente curioso di cicatrice, John pensò subito. Erano come ferite da sfregamento, causate da un continuo persistere nel venire a contatto con un qualche oggetto piccolo e rigido dalla forma squadrata, a giudicare dai contorni. Appena sotto il ginocchio poi, c'era un'altra serie di piccoli segni, alcuni già rimarginati anche se da poco, altri più nuovi, lunghi e regolari come da continuo urto con un qualcosa di lungo e sottile. Infine, e quelle colpirono John ancora più delle altre, le ginocchia erano un pasticcio completo di sbucciature, tagli e lividi violacei.
Che di notte Sherlock uscisse a prendere a ginocchiate i muri e a percuotersi le caviglie con dei mattoni il medico davvero non sapeva (e nemmeno ne sarebbe stato tanto sorpreso, se si fosse rivelato esser vero) ma a primo acchito gli venne da sorridere mentre paragonava Sherlock a se stesso ragazzino, quando giocava con i suoi amici in cortile, ignorando ovviamente le raccomandazioni della mamma e seminando la propria epidermide su praticamente ogni marciapiede del viale. Per non parlare di quello che aveva combinato le prime volte che aveva provato ad andare in bicicletta senza le rotelle. Aveva avuto le ginocchia fasciate per giorni, per non parlare del trionfo verde e viola delle sue caviglie e quei maledetti pedali che non facevano che pressargli sugli stinchi...

John si fermò di colpo, come colpito all'improvviso da un' illuminazione. Il cuore prese a correre a miglia all’ora quando all’improvviso si rese conto di quello che era successo.
Nessuno poteva dargliene conferma, se non Sherlock stesso, ma una sensazione pacifica, piacevole, tremendamente appagante cominciò a farsi strada dentro di lui, regalandogli una sensazione di profondo calore, e Dio potesse esserne testimone, un senso di tremenda e profonda soddisfazione. Forse non conosceva bene Sherlock in tutte le sue sfaccettature, ma dopotutto era decisamente impossibile conoscere ogni lato di una persona poliedrica, eccentrica e genialmente folle come Sherlock Holmes. Era qualcuno capace di trasformarsi in continuazione, di prendere un volo per la Russia in una notte e tornare il giorno dopo come se fosse andato a comprare ciambelle al negozio all’angolo, ed era sempre, costantemente sorprendente. John si sentì lusingato, privilegiato, impossibilitato a smettere di sorridere mentre si sdraiava nuovamente accanto a Sherlock poggiando un bacio leggero sulla sua nuca. Rischiò l’autocombustione spontanea quando avvampò furiosamente, una volta resosi conto di quello che aveva appena fatto, ma non si pentì.
Aveva rinunciato completamente ad auto-convincersi della sua eterosessualità da tempo immemore, dopo una lunghissima riflessione in seguito ad una serata come tante cominciata con un promettente appuntamento con una ragazza fin troppo disponibile e finita con un’irruzione nel locale di Sherlock, che lo aveva trascinato via per una sua assistenza indispensabile. E la consapevolezza di ciò che provava, di ciò che Sherlock era per lui, era arrivata quando si era accorto di quanto stare con lui lo facesse sentire molto meglio che in compagnia di lei. Quando si accorse di aver potuto rinunciare a qualunque appuntamento galante se l’alternativa fosse stata passare anche solo un’ora in più della sua vita con Sherlock, constatò di essere diventato completamente pazzo ma felice di essere riuscito a far pace con se stesso sui suoi sentimenti.
E adesso John sapeva. E la sensazione, quella estrema e confortante sicurezza era appagante come poche altre cose.
“Oh Sherlock” sussurrò, nel suo collo. “Sei grandioso”.
“Sei sempre troppo lento, John” sentì poi una voce flebile rivolgersi a lui. Sherlock non si voltò ma John lo vide chiaramente piegare le labbra in un accenno di sorriso. Il cuore di John ricominciò la sua folle corsa e il medico portò una mano al petto come per calmarlo, per dirgli di stare tranquillo, che era solo… Sherlock. Ed era stato come gettare benzina sul fuoco.
John rise a bassa voce, anche se erano i soli due presenti nella stanza, perché non aveva nessuna voglia di rompere quella quiete perfetta e surreale che si era venuta a creare intorno a loro. Si accomodò meglio tra i cuscini, sollevandosi appena e poggiando la testa sulla mano.
“L’importante è arrivarci, Sherlock” sussurrò in risposta, ma abbastanza forte perché lui lo sentisse. Le parole sortirono l’effetto desiderato perché il coinquilino finalmente si mosse, puntellandosi su braccia e piedi per cambiare posizione, trovandosi faccia a faccia con John.
“Però devi affinare le tue capacità d’osservazione, John. Come sempre guardi ma non osservi” disse ancora, puntandogli l’indice contro. “Volevo farti una sorpresa, ma questo lo avrai capito da solo. Ho lasciato un tagliando per un abbonamento mensile al servizio bike sharing di Hyde Park, in quel tuo vecchio libro sul caminetto. Quello che stai leggendo”.
John stavolta rise più forte, trovando la situazione immensamente divertente. E oltretutto le parole di Sherlock gli avevano fornito materiale per una piccola personale vendetta.
“Peccato che sia stato tu a non osservare, stavolta” lo redarguì. “Ho finito quel libro due settimane fa. Non l’ho più aperto da allora”.
Sherlock lo guardò sbigottito, con la bocca leggermente aperta con un espressione di sorpresa. Poi scosse la testa, per quanto il cuscino glielo permettesse, e sbuffò.
“Io posso permettermi di non osservare, qualche volta”.
John lo colpì amichevolmente sul viso con la mano, senza fargli male, come a volerlo punire della sua supponenza. Sherlock si massaggiò la guancia con espressione fintamente sconvolta, come se John lo avesse colpito con un pugno a velocità supersonica.
John giocherellò per un po’ con la federa del letto, aspettando il momento opportuno per poter parlare di nuovo. Un’occhiata particolarmente curiosa da parte di Sherlock, che aveva certamente capito che una domanda giaceva da troppo tempo inespressa dentro di lui, sembrò incoraggiarlo. Il medico sospirò.

“Sei stato sveglio tutto il tempo, vero?” gli domandò poi, sinceramente curioso di averne conferma, nonostante fosse praticamente certo di aver ragione. Il coinquilino si passò una mano tra i capelli scompigliati assumendo un’espressione compiaciuta.
“Ovviamente” rispose, con il suo solito tono sicuro. “E ammetterai che…aver casualmente smarrito la maglia del mio unico pigiama pulito sia stato un fortunato contrattempo”.
John lasciò scivolare la testa dallo scomodo palmo della sua mano alla confortevole morbidezza del cuscino, ridendo.
“Oh si. Un contrattempo decisamente comune. Proprio ieri leggevo delle centinaia di famiglie a Londra che smarriscono i capi d’abbigliamento più disparati, ogni giorno”.
“E’ una seria piaga del mondo moderno” asserì Sherlock, con una certa enfasi, annuendo.
John ridacchiò sommessamente, mentre realizzava di come quella fosse una delle più tranquille, scherzose e ordinarie conversazioni che avessero mai condiviso prima. E a John piaceva, era qualcosa di straordinariamente nuovo e intimo, per lui.
“Comunque, tornando per un secondo alle cose serie…ti chiedo scusa” aggiunse poi, trovando quel momento il più adatto. “Per… per quello che ti ho detto ieri sera. Ho sbagliato, e lo riconosco. Mi dispiace”.
Sherlock guardò in basso e un guizzo compiaciuto comparve sul suo volto, come a dirgli ‘sapevo che sarebbe successo’. John ovviamente avrebbe dovuto esserne seccato, ma in quel momento la smisurata presunzione del coinquilino non era esattamente al centro dei suoi pensieri, e dopo tanti mesi di convivenza, ormai ci aveva fatto l’abitudine.
“Non preoccuparti” liquidò lì Sherlock, ancora con quell’espressione in volto. “E’ in fase di rimozione dal mio hard disk” aggiunse, picchiettandosi una tempia con l’indice.
John sorrise ma rimase in silenzio, senza sapere esattamente il motivo, trovando che la contemplazione del volto del coinquilino fosse decisamente molto più interessante di qualsivoglia conversazione in quel momento. I suoi occhi chiari avevano assunto una sfumatura quasi perlacea alla luce pallida dei lampioni in strada, e strani giochi di ombre disegnavano arabeschi immaginari sul suo collo, sulla clavicola, sulle spalle larghe. Sherlock guardava lui con la stessa intensità, come se l’uno attendesse la reazione dell’altro, come se entrambi aspettassero qualcosa, una svolta, una decisione per entrambi troppo difficile da prendere. John voleva avvicinarsi di più. John voleva baciarlo, con tutto il cuore. John voleva Sherlock e nulla avrebbe più potuto cambiare la sua decisione, non ad un passo dalla meta.
Sherlock non obiettò alla mano di John dietro la sua nuca, tra i riccioli scuri, e non si oppose nemmeno alle labbra del medico sulle sue, in un gesto troppo a lungo aspettato, agognato, segretamente desiderato dopo mille lotte interiori con se stesso. Sherlock non aveva una grande esperienza di baci, se non si consideravano quelli di sua madre, sua nonna e qualche ragazzina temeraria al liceo ma quel bacio fu sicuramente uno dei più belli che avesse mai ricevuto. Le labbra di John erano morbide, attente, premurose e non si sarebbe mai aspettato nulla di diverso da lui. Dal canto suo, John, che di esperienza ne aveva decisamente molta di più, era senza dubbio della stessa identica opinione. Sherlock era brillante, rapido, assurdamente abile anche in un gesto appreso da appena cinque minuti scarsi. John si allontanò, con un sorrisetto compiaciuto. Allacciò una mano a quella di Sherlock, tenendo le dita intrecciate saldamente con quelle del coinquilino, come a non volerlo lasciar andare.
“Ora ti ho definitivamente perdonato” esordì Sherlock, con il fiato reso corto dal bacio prolungato. John soffocò una risata nella spalla dell’altro.
“Per fortuna” disse John, allegro.
Sherlock strinse la mano più forte, domandandosi da dove provenisse tutta quella sicurezza, tutta quell’improvvisa voglia di stabilire un contatto con John che non si limitasse ad uno sguardo, o un sorriso. Con la mano di John intrecciata alla sua, Sherlock si sentiva leggero, sereno, rilassato quasi. Era una sensazione indescrivibile a parole, qualcosa che non aveva mai provato prima ma che adesso gli piaceva enormemente.
“Comunque non sono ancora molto bravo” esclamò, cambiando argomento. “…con la bici intendo” specificò, notando l’espressione allibita di John. “E’ difficile imparare, se non c’è nessuno che t’insegni adeguatamente” ammiccò verso il medico che colse, naturalmente, la palla al balzo. Non gli era mai andato già il non saper far bene qualcosa.
“Penso che potrei fare uno sforzo e darti una mano, stavolta” John gli concesse, assumendo un’aria importante, come di qualcuno con l’agenda piena d’impegni. “Ma solo perché sei tu”.
Sherlock finse un’espressione grata e riconoscente, stando al gioco.
“Ti ringrazio davvero per la tua magnanimità” lo prese in giro. “Mi sosterrai, se rischierò di cadere?” domandò poi.
A John quella domanda scaldò il cuore, e conosceva benissimo il motivo di quella sensazione. Era un po’ la metafora della loro vita insieme, quella. John c’era sempre quando Sherlock ne aveva bisogno, e Sherlock era con John in ogni difficoltà, piccola e grande che fosse, ovunque. Erano due realtà completamente diverse ma unite in qualcosa di unico, imprescindibile, impossibili da separare. E quel legame non sarebbe mai cambiato, John lo sapeva, lo sentiva. Le loro vite quella sera, si erano avvicinate abbastanza da toccarsi, da intrecciarsi insieme in un nodo saldo, forte, un nodo che John non avrebbe mai permesso a nessuno di sciogliere.
“Certo, Sherlock. Sempre” rispose, posando nuovamente un bacio sulla bocca di Sherlock e pensando a quanta verità ci fosse in quella semplice parola.
Ci sarebbe stato, una volta ancora. Sempre.

 

 

 

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