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Autore: Black Ice    12/05/2012    2 recensioni
[It]
C'era qualcosa - un obbiettivo - che aveva occupato il loro tempo per tutta quell'estate, ma scoprire quale scavando nelle menti e cercando di trovare quel nome che avevano tutti sulla punta della lingua era più difficile di qualunque altra cosa quei ragazzini avessero mai provato nelle loro vite. O in quella parte che ancora ricordavano, per lo meno.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non sono di mia proprietà e non scrivo con fine lucrativo; non è mia intenzione offendere nessuno. L'intera storia è stata inventata per mio puro divertimento.

 
"Non si può stare attenti su uno skateboard"

 
Il disfacimento incominciò qualche settimana dopo al nostro attacco ad It.
Non avevamo mai pensato che il nostro gruppo, i Perdenti, si potessero sciogliere in modo così assoluto e incontrastabile. Da qualche parte nella nostra mente sapevamo che non ci era concesso restare bambini per sempre e che saremmo cambiati, che lo volessimo o no; forse avevamo già abbandonato le spoglie dei ragazzini che eravamo per addentrarci nel mondo - nella mente - degli adulti, chi lo sa. Fatto stava che nonostante non ne avessimo mai parlato capimmo tutti che i Barren, per noi, ora erano soltanto un ricordo. Quel posto, quell'odore di scarico - l'odore di It - e il nostro club erano legati ad un'altra era e alla fine di quell'estate del 1958 nella mente di ognuno di noi si era insidiato il desiderio di porne fine, magari con qualcosa che avrebbe procurato un botto così forte che sarebbe rieccheggiato per tutto il Maine.
C'era desiderio di restare soli, pensare e andare. Niente più Barren, niente più Pennywise, niente più It.
I ricordi sbiadivano e quando i Perdenti si ritrovavano insieme - ma mai più tutti e sette. It aveva avuto l'ultima esclusiva - parlavano di Henry Bowers col sollievo procurato dalla sua scomparsa (Stan diceva che era morto, Ben sosteneva che l'avessero mandato in una casa di cura per malattie mentali) oppure dei giochi che avrebbero inventato quando la noia avrebbe preso il sopravvento, ma mai di quello che era successo quell'estate. Tutti quei ricordi erano stati presi, impacchettati e riposti in un angolo e dimenticati, per un motivo chiaro a nessuno. Loro accettavano questa situazione senza porsi troppe domande e, per quanto sostenessero di non esserlo più, con un atteggiamento tipicamente da bambini: lasciavano correre e tiravano avanti.
Qualche volta uno di noi che se ne usciva con la costruzione di una diga - bella, forte, con sassi e assi di legno che sarebbero state in grado di bloccare qualsiasi fiume - e questo riaccendeva un piccolo lumicino nella mente di ognuno che poi restava lì e piano piano si consumava, senza che a nessuno venisse in mente perchè quella cosa della diga suonasse così famigliare.
C'era qualcosa - un obbiettivo - che aveva occupato il loro tempo per tutta quell'estate, ma scoprire quale scavando nelle menti e cercando di trovare quel nome che avevano tutti sulla punta della lingua era più difficile di qualunque altra cosa quei ragazzini avessero mai provato nelle loro vite. O in quella parte che ancora ricordavano, per lo meno.

"Ho sentito mia mamma e mio papà discutere, ieri. Vogliono andarsene da Derry.", disse improvvisamente Richie, rigirandosi tra le dita uno stelo d'erba.
Bill, Beverly, Richie e Stan erano riuniti nel giardino di casa Denbrought riparati all'ombra dell'unico albero che offriva un po' di sollievo per un pomeriggio da passare insieme. Si stavano annoiando e non sapevano come rimediare.
A quelle parole io e Beverly ci girammo contemporaneamente verso Richie con in viso l'espressione stupefatta di chi non credeva alle proprie orecchie. Lui, dal canto suo, nascondeva il proprio viso guardando verso il terreno, dando troppa importanza al filo verde che continuava a sfilacciare.
"Non glielo permetterai, spero!"
Richie alzò finalmente lo sguardo e roteò gli occhi, mandando un sorriso triste a Beverly. "Andiamo, Bevvie, sono solo un bambino. Daranno ascolto a me quanto lo daranno a Ty... Anzi, alla merda di Ty."
"B-b-beep-b-beep, Richie.", cercai di sdrammatizzare con un sorriso incerto senza ottenere un vero e proprio successo. Ty era il cane di Richie, un simpatico bastardino bianco e nero.
"Ma non puoi!", escalmò Beverly alzandosi in piedi e guardando spaventata da Richie a me, "Così finisce tutto! Ditegli che non può lasciarlo succedere, cavolo!"
"I miei partono la settimana prossima."
Che coincidenza.
Stan aveva sussurrato quelle parole con le guance imporporate dall'imbarazzo, forse procurato dal fatto di averle taciute ai suoi amici da quando, più di una settimana prima, suo padre aveva preso la decisione di trasferirsi al di fuori del Maine. Non aveva volutamente escluso sè stesso, pronunciando quella frase; non ci aveva nemmeno fatto caso. Non pensò neanche che per un momento, dopo lo stupore iniziale degli altri tre, avesse acceso una scintilla di speranza negli occhi di Beverly quando aveva detto i miei.
"Partiamo la settimana prossima.", rettificò, vanificando le preghiere del gruppo.
"È... È..." Bev cercò le parole diventando paonazza per lo sforzo e poi si accasciò a terra, sistemandosi a gambe incrociate.
"Una gran vaccata", finì Richie risoluto. "Già, proprio una gran vaccata."
"N-non è un p-p-po' strano? T-t-tutta questa gente che s-se ne va."
"Sarà stata l'alluvione, Big Bill. Certa gente ha lasciato un ricordino nelle proprie mutande grosso così, te lo assicuro."
Certo poteva c'entrarci benissimo l'alluvione, ma era anche qualcos'altro. Il sesto senso che faceva sì che le famiglie migrassero in altri stati non era dovuto alle fogne che strabordavano continuamente, e la mia mente si rifiutava di credere che anche le morti di tutti quei bambini c'entrassero qualcosa. La causa di tutto quello era da ricercare in un luogo che non aveva né nome né spazio; una cosa che si avvicinasse molto all'infinito, per esempio.
È qualcosa che riguarda le fogne, il Canale... I Barren, forse... Accidenti, io so di cosa si tratta, perchè non mi viene in mente?
La faccia ghignante di Henry Bowers fece capolino nella mia mente. Scossi la testa con forza cercando di scacciare quell'immagine.

Pochi giorni dopo venni a sapere da Ben che anche Eddie si sarebbe trasferito nel Nebraska tempo un mese - giusto per fare tutte le punture contro ogni malattia che avrebbe potuto prendere. Quando lo dissi a Beverly, lei mi guardò sofferente e mi chiese se c'era niente che potessimo fare per fermare tutto quello che stava succedendo.
Qualcosa nella mia mente mi disse che avevamo già fatto abbastanza, quindi scossi la testa e rimasi in silenzio.
Noi tutti eravamo bambini e non contavamo niente nelle decisioni dei nostri genitori. Io smisi di essere il capo di quella banda quando Stan se ne andò da Derry, e tutti gli altri, consciamente o no, capirono che avevo perso il mio ruolo nonostante cercassero ancora di aggrapparsi ad abitudini passate.
Una sera origliai una conversazione dei miei genitori in sala da pranzo e - sorpresa delle sorprese - ascoltai con orrore e tristezza crescente la decisione di mio padre di trasferirci lontano da Derry.
"La camera di George. Non la voglio vedere mai più.", fu l'unico commento apatico da parte di mia mamma.
E mi arrabbiai. La odiai. Odiavo tutti e due perchè volevano dimenticarsi di George quando l'unica cosa da fare era ricordarlo fino alla fine. Per lui avevo persino combattuto contro... It. Rabbrividii quando finalmente ricordai quel nome. Per quanto mi sforzassi non riuscivo ad associargli un volto nella mia mente, ma la sensazione di terrore puro che mi attraversò la colonna vertebrale mi fece supporre che era meglio così, in fondo. Senza un filo logico ripensai a quando, qualche tempo prima, avevo schiacciato un piccolo ragno che zampettava sul pavimento di camera mia.

L'indomani incontrai Ben, Richie ed Eddie alla gelateria, dove ci eravamo dati appuntamento il giorno prima. Quando li informai della brutta notizia nessuno fu veramente colpito.
"Sembra un'epidemia. Di quelle che fanno scappare la gente a gambe levate. Mia mamma vuole trasferirsi dalla nonna in Georgia, ma mio padre vuole restare qua. Li ho sentiti litigare ieri, e mia madre ha urlato che se lui non la segue sono affari suoi, ma che su di me non si discute.", Ben sospirò, "Mi sa che me ne vado anche io, ragazzi."
"Secondo me non ci resterà più nessuno a Derry. Diventerà una città fantasma."
"Vi dice qualcosa i-il nome It?", chiesi quando il mio sguardo incontrò il dorso della mano dove il giorno prima avevo appuntato con una penna quelle due lettere. Erano sbiadite e quasi non si leggevano più, ma avevo avuto la sensazione che se non me le fossi scritte in fretta da qualche parte le avrei scordate in pochissimo tempo.
Gli occhi si Eddie si illuminarono per un momento, come se avesse fatto una scoperta sensazionale. Due secondi dopo aveva un'espressione corrucciata. "Si, ma... È come se non riuscissi ad afferrarne il vero significato."
Richie annuì con la stessa espressione perplessa sul volto, "It, It, It.", ripetè sforzandosi di pensare. "Mi vengono in mente i palloncini rossi che ci sono alle fiere."
"A me viene in mente Henry Bowers", replicò Ben con un brivido.
"Secondo voi perchè ci stiamo dimenticando tutto?"
Tutto cosa, esattamente, Richie?
"Ho letto da qualche parte che quando si ha un trauma troppo grande la mente cancella il ricordo.", rispose Ben tirandosi giù i lembi dell'enorme felpa. "Magari è quello che ci sta succedendo."
"Forse nella tua testa fatta di merda, Covone.", ribattè Richie prima di esplodere in una risata alla quale nessunò si unì.
"Però c'entra qualcosa It, vero?", mormorò Eddie toccando nervosamente l'inalatore che spuntava dalla tasca dei suoi jeans.
Annuimmo tutti senza il minimo dubbio. "C'entra q-qualcosa It, sì."
E It, qualunque cosa fosse, voleva che noi dimenticassimo tutto. Non era affatto un brutto scherzo della nostra mente che ci voleva preservare dal dolore; era lui che voleva il nostro gruppo completamente smembrato, proprio come stava accadendo. Presto ci saremmo dimenticati di tutta quell'estate, persino dell'esistenza dei nostri compagni di giochi e non doveva essere così, nessuno di noi doveva dimenticare niente perchè in quell'estate era successo qualcosa di importante, qualcosa che ci aveva uniti al di là di ogni legame di sangue.
"C-ci t-terremo in c-contatto, intesi? Tutti."
Annuimmo tutti davanti ad una promessa così solenne. Non l'avremmo rispettata, già lo sapevamo, ma l'illusione certe volte era meglio che fare i conti con la realtà. Lo sapevamo così bene perchè stava succedendo la stessa cosa con Stan. Nonostante fosse andato via da quasi due settimane le nostre menti già ne sbiadivano il ricordo, e l'unica lettera che lui aveva mandato indirizzandola a Ben - "Per tutti i perdenti di Derry" scritto con una grafia sicura e ordinata - racchiudeva al suo interno i primi segni accuratamente nascosti di una dimenticanza anormale: piccoli dettagli sbagliati, nomi che non gli venivano in mente ma che - scriveva - aveva sulla punta della lingua. Non avrebbe fatto il minimo errore se fosse rimasto lì con loro, li avrebbe azzeccati tutti al primo colpo e senza dubbi.
"È la sua ultima lettera, vero? Non ce ne sarà un'altra." disse Beverly quando la finimmo di leggere. Era sull'orlo delle lacrime.
Restammo zitti senza neanche il coraggio di guardarci in faccia, sapendo che era vero. Da qualche parte al centro del petto sentivamo che non erano in programma ulteriori contatti tra di noi, una volta che ce ne fossimo andati da Derry. Da come stavano andando le cose non era neanche eslcuso che ci saremmo completamente dimenticati delle esperienze vissute nei primi undici anni delle nostre vite.
Vorrei poter dire che avrei voluto ricordarmi di aver avuto un'infanzia, sebbene più strana rispetto a quelle di regola; vorrei poter dire che avrei preferito ricordarmi l'esistenza di un fratello, della vista che si godeva dal covo del nostro club sui Barren e del vento contro il quale combattevo quando ero in sella a Silver... ma mentirei. La verità era che tutti noi volevamo resettare completamente quegli eventi e quei posti, e qualcuno ci stava dando una mano che noi accettavamo di buon grado senza porci troppe domande inutili.
Quelli di noi che ne avevano avuto l'opportunità erano scappati da Derry, e verso la fine di Settembre in quel posto maledetto ci era rimasto solo Mike.
Dimenticammo. Probabilmente fu meglio così.

  
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