La luna splendeva rotonda nel cielo e la sua luce creava un'ombra lunga nella stanza nera. La sedia che originariamente si trovava alla scrivania era ribaltata e i vestiti erano sparsi nella stanza. Sul letto le lenzuola erano un groviglio indistinto e sotto la luce biancastra le lancette dell'orologio segnavano le 2.
Dal centro della stanza provenivano dei singhiozzi e nell’ultimo lembo di riflesso lunare brillava un pugnale macchiato di sangue. Poco distante c’era una ragazza inginocchiata a terra. Il suo vestito blu oceano stava drappeggiato elegantemente nonostante lei si fosse lasciata cadere a terra improvvisamente. Il viso angelico si celava dietro una mano chiara e alcune ciocche schizzate di rosso si muovevano attorno ad essa. Uno spiraglio tra le dita permise agli occhi celesti di trovare il pugnale e la mano libera si protese verso quest’ultimo, afferandolo tremando.
I singhiozzi aumentarono e le lacrime cominciarono a cadere sulle macchie rosse dei capelli, facendone colare gocce sul grembiule bianco. L’aveva ucciso..non ne era stata sicura finché non prese il pugnale e lo afferrò con entrambe le mani. Quello era il suo sangue, anche se lei non riusciva ancora a rendersene conto.
No, non lo aveva fatto..non poteva averlo fatto!
Aggrappandosi all’armadio si mise in piedi e uscì dalla stanza. Appoggiando la mano sul muro cominciò a camminare lasciando strisce rosse sull’intonaco, gli occhi sbarrati e le labbra leggermente aperte, per permettere a più aria di entrare nei polmoni.

La chiara luce lunare illuminava la stanza. Un corpo inerte stava al centro del chiarore, il cappotto macchiato di sangue e la sciarpa stretta al collo. Un rubinetto abbandonato accanto alla mano. Ciuffi di capelli coprivano appena gli occhi viola, ancora spalancati in un’espressione di dolore. Poco più in là, nella pozza, stava adagiato un invito..
La porta si aprì e la ragazza fece qualche passo fino a che i suoi capelli brillarono sotto la luce argentea. Altri passi, ora più veloci e cadde di nuovo in ginocchio, macchiandosi ulteriormente di rosso. Il suo sguardo frenetico notò la busta e la tirò a sé  con la mano, lentamente in modo da far leggere chiaramente ‘Cara sorella, sei invitata al mio matrimonio..’. Gli occhi guizzarono nuovamente in preda alla rabbia e infilzò il foglio con il coltello.
Si voltò verso il fratello, steso accanto a lei e lo abbracciò teneramente, come se stesse stringendo a sé un mazzo di girasoli. Portò la mano al volto di lui, carezzandoglielo delicatamente, colorandogli la pelle di delitto. Sorrideva, era bello anche se freddo come ghiaccio. Lei non avrebbe voluto essere costretta a tanto, non voleva ucciderlo, ma lui sapeva che lei lo amava e che avrebbe fatto di tutto per rimanere con lui. Ora era sola però anche se non lo sarebbe rimasta per molto.
Prese il coltello e lo portò davanti a lei. Quell’arma si era macchiata del sangue di molti, tranne che di uno: il suo. La conficcò nel petto e spinse più forte che poteva mentre piangeva sul fratello. Spingeva, spingeva più in profondità, sperando che quel dolore facesse sparire quello che le stava lacerando il cuore. Ci fu un piccolo scricchiolio e la bielorussa cadde a terra. Con le poche forze che ancora le rimanevano allungò la mano verso quella del russo e, prima di addormentarsi per sempre, disse flebilmente “Ti amo Ivan..”