Film > Un mostro a Parigi
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Autore: Claudia Ponto    12/05/2012    1 recensioni
Lucille è una cantante scontrosa e vanitosa.
Si sente migliore di tutti e questo causa a lei un isolamento dalle altre persone. Canta di gioia, ma nel suo cuore non vi è nulla di questo sentimento. Ma forse una sera, in compagnia del suo "peggior nemico" Raoul, un incontro mostruoso potrebbe aiutarla ad intraprendere un cammino per la ricercà della felicità
AVVISO: ho deciso di riscrivere completamente dall'inizio la Fiction Monster Heart: a causa di mancanza di ispirazione che mi impedisce di proseguirla come vorrei, ho deciso di cambiarla drasticamente. modificherò tutto: dalla trama in generale al genere di storia, il rating (se necessario) e il ruolo dei personaggi.
chiedo scusa ai lettori che hanno commentato fino adesso, ma sto soffrendo nel non riuscire a continuare questa fiction su un film che adoro sul serio
Genere: Fluff, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Francœur, Lucille, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  Capitolo 1: fine estate

Accadde tutto un giorno, in una città considerata la più romantica e la più bella del mondo: Parigi.
Il sole alto nel cielo sovrastava la città francese in tutto il suo splendore, dando l’illusione di essere situato sopra la Torre Eiffel come il diamante di una corona.
Era perfetta quel giorno;i rigogliosi giardini sparsi nella capitale erano più verdi degli smeraldi più belli, arricchiti dai delicati fiori che li adornavano coi loro petali delicati come seta e dai bambini che giocavano spensierati, il cielo azzurro nella sua purezza faceva perdere nel mondo della fantasia le menti dei giovani artisti che ammiravano le candide nuvole bianche che lo solcavano a cui davano forme di cose a loro famigliari.
Pareva che la natura quel giorno stesse dando sfoggio di tutta la sua bellezza in quel pomeriggio di 23 settembre che dava l’addio all’estate e il benvenuto all’autunno di cui ancora non si avvertiva la presenza a causa degli odori e dei colori estivi ancora impregnati a Parigi.
 
In un elegante appartamento situato sulla rive gauche, la cantante Lucille s’improvvisava stilista, decorando con poca pazienza un vestito che per altre fanciulle sarebbe già stato perfetto: bianco puro, merletti e pizzi lungo la gonna, tagliato in modo tale che le forme di chi lo indossasse risaltassero.
Nonostante la bellezza, la ragazza non era comunque soddisfatta: era molto pretenziosa, lo sapevano tutti coloro che avevano lavorato insieme a lei, se una cosa non le piaceva lo diceva direttamente senza peli sulla lingua, puntava sempre a migliorare tutto ciò che era già perfetto, spesso comportandosi come una bambina viziata.
In quel momento nella stanza entrò una donna corpulenta, gli elementi che più spiccavano erano i bracciali e la collana di perle, i capelli biondi raccolti sulla testa e il lungo vestito viola, quando notò il vestito sul manichino si portò entrambe le mani sulla bocca, sussultando leggermente.
<< Santo cielo Lucille! Che cosa hai combinato? >> chiese stupita.
<< Meraviglioso, vero zia? Adesso è perfetto. >> esordì fiera la cantante, sistemandosi i lunghi capelli rosi.
<< Ma anche prima era elegante, cosa c’era che non andava stavolta? >>
<< Non era abbastanza sfavillante. Sul palco devo apparire, essere al centro dell’attenzione, è questo vestito non era per niente “favoloso”, mi avrebbe oscurata. >>
Carlotta non potè far altro che sospirare: era impossibile far cambiare idea alla nipote quando si metteva in testa qualcosa.
<< Ehm… è tempo di recarsi al club, ero venuta a chiamarti apposta. >>
<< Ottimo! Non vedevo l’ora! Sarò pronta in un attimo! >>
A differenza delle ragazze della sua età, il successo per Lucille contava più di ogni altra cosa.
Fin da piccola aveva avuto un innato dono per il canto, il desiderio di diventare una cantante famosa era il suo sogno nel cassetto che col tempo era diventato, avrebbe osato dire la zia, l’unica ragione di vita. Crescendo, aveva cominciato a mettersi in mostra, ad essere più vanitosa e anche presuntuosa, ogni cosa doveva essere secondo i suoi gusti altrimenti avrebbe dato il via ad una scenata interminabile, almeno fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva. Nonostante quei capricci, Carlotta sapeva che era una persona per bene, doveva solo imparare ad essere più “tranquilla”.
<< Forza zia! Non voglio far tardi! >>
 
                                                                                  ****

I dipendenti dell'Oiseau Rare, il cabaret appartenente a Madame Carlotta, dovevano  stringere i denti per non urlare contro Lucille  che ripetutamente ordinava di risistemare lo scenario del palco e gli attrezzi di scena come le luci, gli strumenti musicali e così via dicendo.
All’esterno il sole tramontava, i cui colori viola, rosa e arancio intrisi nel cielo e nelle nuvole erano lo sfondo che annunciava agli abituali clienti che stava per aver inizio lo spettacolo, affrettandosi a prendere posto nella sala interna prima che l’ultimo raggio di sole svanisse, per poter raggiungere in tempo l’esibizione serale.
Lucille ci teneva al suo lavoro, prima che il pubblico rischiasse di innervosirsi per l’attesa voleva che ogni cosa fosse perfetta.
<< “Oh Ambrogio, c’è una macchia di un centimetro lì in fondo!” “Caterina! Le mie scarpe non sono fatte di cristallo! Compramele!” “ No Martin, ho detto che voglio i guanti di velluto!”. >>
Le fantasie della fanciulla svanirono in una bolla di sapone nell’udire una voce “fuori campo” alquanto fastidiosa.
<< Smettila di fare l’idiota, Raoul! >> sbottò Lucille contrariata.
<< Mi perdoni principessa, non volevo interrompere il suo “momento di gloria”. Hi! Hi! Hi! >> rispose l’altro scherzosamente.
Il tizio di nome Raoul era un uomo alto, magro e con una strana capigliatura allungata in avanti: era un addetto alle riparazioni del palcoscenico, ma aspirava a diventare inventore e passava più tempo a costruire cose senza senso che lavorare seriamente, i due si conoscevano fin da bambini e i rapporti non erano esattamente amichevoli, lui si divertiva spesso a prenderla in giro perché sapeva che si arrabbiava facilmente, e lei si difendeva marcando il differente status sociale tra loro.
<< Bè, almeno io ho un lavoro garantito e la gente non mi considera una nullità. >>
<< Oh no, è vero! La gente è pazza di te! Il tuo talento di comandare a bacchetta è unico! Talmente unico che sto cominciando ad ingelosirmi! Tutta questa ingiustizia mi costringerà a nascondermi da qualche parte! >>
<< Sei un bambino. >>
<< Avanti piccola, davvero pensi che avrei il coraggio di restare lontano da te? >>
<< Solo perché siamo gli unici che possono darti i soldi per non morire di fame.  >>
<< Non posso farci niente principessa, ci tengo troppo a te. >>
I due si guardarono a lungo, senza rivolgersi la parola, lui sorrideva beffardo e lei era alterata, non c’era comunque bisogno di parlarsi per farsi capire.
<< Dovresti crescere Raoul, i bambini non hanno il permesso di giocare nel mio locale. >>
<< Scusami se sono un eterno bambino, ma sei tu che mi ispiri a comportarmi come tale. >>
<< Stai insinuando che sono infantile come te? >>
<< L’hai detto tu. >>
Lucille stava per urlare, ma al primo richiamo di andare sul palco lei corse dritta dietro le quinte, un attimo prima che il presentatore annunciasse il suo nome: le piaceva sentire la sua presentazione, la faceva sentire fiera di sé stessa, la migliore fra tutte le cantanti, e si immaginava sui palcoscenici più famosi al mondo con la gente che gridava il suo nome.
La tenda color panna del palcoscenico si aprì seguita da un lungo e caloroso applauso, gli spettatori erano entusiasti e non vedevano l’ora di sentire la sua splendida voce, accomodati intorno a dei tavolini ornati da piccole candele e fiori di campagna. Per l’occasione Lucille indossava l’abito da sera lungo modificato precedentemente, di un chiaro rosa pastello, privo di maniche e con i bordi adornati da lustrini che davano l’illusione di essere diamanti; i capelli erano sciolti, tranne dietro la testa che erano tenuti alzati da un fermaglio verde e blu con una farfalla sopra, le finte ali d’angelo brillavano debolmente da dietro la sua schiena e tra le braccia reggeva uno scialle leggero.
Si guardò intorno con emozione, esaminando nella penombra della sala le numerose persone, poi si voltò in direzione dell’orchestra dove la band, ad un cenno, cominciò a suonare:
“Ti sei mai sentito sottile come un foglio di carta,
e come un castello di carte, ad un soffio dal cadere?
Ti sei mai sentito già sepolto in profondità?
delle urla a tre metri sotto terra che nessuno sente
Sai che c’è ancora una possibilità per te?
Perché c’è ancora una scintilla in te

Devi solo dar fuoco, la luce, e lasciarla splendere…”
 
La voce della ragazza era qualcosa di raro da trovare in una cantante.
Non vi era traccia di incertezza, era sicura e squillante, delicata a volte e soprattutto capace di incantare.
 
“Non ti devi sentire come se non valessi niente
Sei originale, non puoi essere rimpiazzato
Se solo sapessi ciò che riserva il futuro
Dopo un uragano c'è un arcobaleno

Forse è colpa tua se tutte le porte sono chiuse
quindi potresti aprirne una che ti porterà alla strada giusta
Come un lampo di luce, il tuo cuore soffierà
E’ quando è il momento, lo saprai

Devi solo dar fuoco, la luce, e lasciarla splendere…

Anche più luminoso della luna
Ed è sempre stato dentro di te
Ed ora è il momento di lasciarlo uscire
…”
 
Si faceva fatica a rimanere concentrato sulla sinfonia da eseguire: la voce di Lucille era meravigliosa, non poteva fare a meno di ascoltare ogni parola del testo pronunciata dalla sua bocca per quanto fosse bella.
Fu quasi un dispiacere sentirla smettere.
L’applauso fu fragoroso, l’ovazione si poteva sentire fino all’esterno per strada: ogni volta era così, un successo che  soddisfaceva la fanciulla del risultato ottenuto con tanta fatica, il raggiungimento dell’ennesima conquista da cantante.
Raoul, nascosto dietro le quinte, applaudiva debolmente, ammettendo che era stata brava.
 
                                                                                  ****
 
L’ora di chiusura giunse senza preavviso, L'Oiseau Rare con successo concluse anche quella serata.
Mentre i camerieri ripulivano la sala assicurandosi che niente rimanesse fuori posto, cambiando i fiori dei centro tavola, le tovaglie con altre di colore diverso, le scenografie del palco e tutto il resto, l’unica cliente rimasta si rilassava bevendo una tazza di tè.
Lucille se ne stava da sola messa in disparte in un angolo del salone, quieta e concentrata solo sulla sua bevanda.
Raoul, insieme agli altri pochi addetti rimasti, la osservava in quella sua abitudine di fine spettacolo: si era reso conto da poco tempo di quella cosa, non il gesto in sé ma il sentimento che provava, ossia una sorta di tristezza celata dietro una apparente impassibilità. Il fatto di prenderla in giro era una banalità alla fine, da quando si era reso conto dei suoi occhi malinconici non poteva preoccuparsi per lei: Lucille pretendeva di essere una grande star, ma era una stella solitaria senza amici intorno a lei, il suo carattere le impediva di essere più amichevole e compensava la mancanza con l’arroganza e la sua passione canterina.
Non avrebbe dovuto preoccuparsi dato che lo trattava male, ma capiva quanto sarebbe stato bello ritrovarsi dopo il lavoro con qualcuno, conversare fino a tardi e infischiarsene di svegliarsi tardi il giorno dopo, levarsi lo stress di dosso divertendosi con cui si era amico.
In quel momento Lucille  uscì dal locale, avviandosi alla sua abitazione.
Raoul se ne andò poco dopo, sbadigliando anche lui per la stanchezza.
 
  
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