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Autore: Iluvatar    13/05/2012    6 recensioni
In questa linea temporale, nessuno ha notizie di Frodo e Sam da tempo, e la Guerra dell'Anello continua imperitura. Minas Tirith resiste ancora, e un nuovo Generale si appresta a guidare le truppe di Sauron. Ma il corso degli eventi è steso su di un libro indecifrabile, già scritto, ma incomprensibile e imprevedibile...
Premetto che si tratta della mia prima Fan Fiction, e che le critiche sono ben accette...
Buona lettura :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Seme del Male


La visione era terribile. Al buio delle nubi dell’Amon Amarth, la città brillava di tanti piccoli focolai. Le urla si innalzavano al cielo, mentre la battaglia sembrava volgere al termine. Una figura tetra e rigida osservava dall’alto di una torre la scena, ed un orco, strisciando servilmente e con la schiena ricurva, si avvicinò a lui.

“Generale, abbiamo preso la città. Osgiliath è nostra.”

La figura fece un impercettibile cenno col capo e congedò la creatura. Dopo alcuni minuti, quando ormai il silenzio stava calando, egli si voltò lentamente e scese dal torrione, che cupo sovrastava le macerie circostanti. In pochi passi raggiunse uno spiazzale, dove svariati orchi si muovevano disordinatamente, trascinando dei cadaveri in un unico mucchio. All’improvviso, una porta cadde a terra, sfondata, e un uomo di Gondor cadde con essa. Dal buio uscì un imponente orco che assestò un fendente mortale al soldato. Poi si voltò verso la cupa figura che ancora osservava la scena e si diresse verso di essa, strisciando la sua pesante arma, crogiolante di sangue, sul terreno.

“Generale, ancora una volta, grazie al suo carisma e alle sue qualità, siamo riusciti nella nostra grande impresa al servizio dell’Oscuro Signore. Senza il suo aiuto non avremmo mai trionfato.”

I due si guardarono per qualche secondo, poi la creatura scoppiò in una sonora risata, mentre la figura, immobile, accennò un leggero sorriso: “ Luogotenente, le assicurò che dare ordini spesso è più difficile che eseguirli … sei fortunato ad essere anche un mio amico, Uflag, oltre che un mio sottoposto, altrimenti non oseresti prendermi in giro per non essere sceso in campo …” fece una breve pausa e si tolse l’elmo, strizzando gli occhi con nervosismo, “…  e ricorda che non ti ho scelto per il tuo sarcasmo, ma per il tuo essere un mezz’orco, mi serviva un ufficiale capace di pensare decentemente senza perdere il giusto atteggiamento rabbioso.” Poi la figura fece qualche passo accostandosi ad un vicolo e venne colpito dalla luce dell’alba. Indossava un abito di tessuto scuro, ricoperto da un’armatura a piastre completa; Portava dei guanti e degli stivali in cuoio nero, e teneva l’inquietante elmo tra le mani, lasciando dunque trasparire il volto: non era un orco, bensì un uomo, un Numenoreano.

Non si può giudicare se fosse particolarmente bello, ma di certo lo era in mezzo a quella marmaglia di orchi … i capelli erano neri, così come la barba folta; Gli occhi erano castani, impenetrabili e sempre attenti, e il loro colore scuro si opponeva al viso leggermente pallido.
Stava asciugando il volto sudato, quando Uflag gli comparve alle spalle: “ Dovremmo marciare immediatamente su Minas Tirith all’arrivo della retroguardia” disse impaziente. L’uomo alzò lo sguardo al cielo e assunse un espressione molto seria: “ Non spetta a me dirlo …” e in quell’istante una grande ombra gli passò sopra, accompagnata da un urlo gelido.
Dunque il Numenoreano indossò il suo elmo, assumendo nuovamente quell’aspetto tetro e cupo che aveva fino a qualche minuto fa, e cominciò a incamminarsi, sussurrando al Mezz’orco: “ Allestisci le barricate, voglio difese talmente imponenti che ogni Gondoriano levante lo sguardo in questa direzione tremi dal terrore.” Il luogotenente, che intanto si era accasciato contro un muro, si riassestò subito: “ Certo, Ulthar … ehm volevo dire, Generale.” E subito si voltò.

Intanto l’uomo con passo svelto e deciso percorse tutto il vicolo e raggiunse una stretta scalinata di pietra, che salì in breve tempo. Giunto al termine dei gradini, si ritrovò su di un tetto, e vide lui, una degli esseri più potenti e terribili che la Terra di Mezzo avesse mai visto, perfino in quei tristi giorni, sottoposto solo al volere di Sauron: il Re stregone di Angmar. Stava lì, immobile e retto sulla schiena della bestia alata che sfruttava come cavalcatura, e osservava le vaste pianure che dividevano Osgiliath dal loro prossimo bersaglio.
Anche Ulthar osservava i verdi prati del Pelennor che si estendevano senza confini, finché i suoi occhi non si posarono sulle bianche mura dell’ultimo, misero baluardo che si opponeva tra loro e il dominio della Terra di Mezzo: Minas Tirith.

La fredda voce del Nazgul irruppe nella mente dell’uomo, congelando ogni riflessione: “Non commetterò lo stesso errore … non di nuovo … prepara tutte le tue truppe … stabilisci qui una testa di ponte e manda a Nord le forze in eccesso.” Voltò leggermente il capo, coperto dal grande elmo cinto da una corona di ferro che oscurava il viso vuoto dello stregone. Ulthar contrasse ogni muscolo del suo corpo, e avvertì come una grave morsa attanagliargli il cuore. “… la sconfitta non è accettabile, Generale.” L’attimo di silenzio che ci fu dopo queste parole sembrò durare infinitamente tanto. Poi la bestia alata si alzò in volo, spronata dal suo cavaliere. L’uomo restò immobile, poi il suo petto cedette, ed egli lasciò andare un pesante respiro.

Il resto della giornata passò in fretta, ed ancora una volta il sole si lasciò cadere oltre le distanti vette dell’Ovest, cedendo il posto alla notte. Ulthar aveva preso possesso di una grande baracca, il massimo che poté trovare in una città talmente depredata di cui ormai non restava altro che il nome. Accese il camino malconcio del luogo e si tolse il gabbione di ferro che portava da tutto il giorno. Restò in calzoni e stivali, e afferrò con furia una brocca di vecchio idromele, trafugato sul posto.

Aveva la mente piena di pensieri.

Si sentiva oppresso, dubbioso, non sapeva neanche lui perché la sua mente seguisse oscure strade che egli non avrebbe mai voluto intraprendere. Forse l’incontro col Re stregone l’aveva turbato, eppure Ulthar sapeva bene che non era la prima volta che queste idee gli passavano per la testa. Sentiva dentro di lui di non appartenere a questo mondo, a questa vita, eppure un passato di tristezza e soprusi l’avevano forgiato affinché fosse l’uomo che era: genitori sconosciuti, cresciuto tra i duri e rozzi uomini dell’est, addestrato a non provare che odio e rabbia verso gli oppositori dell’Oscuro Sire, finché non fece carriera tra le schiere del male e divenne Generale. Un Numenoreano Nero, così gli avevano detto: uno della nobile stirpe di umani che passarono sotto il controllo di Sauron secoli prima. Ma lui non voleva credergli, non sentiva la malvagità dei suoi avi scorrergli nelle vene, al contrario desiderava assaporare una vita diversa da quella che faceva.

Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dall’arrivo di Uflag nella baracca. Indossava una tunica marrone, sporca e sgualcita, e portava con se dei grossi sacconi.

“Allora, cosa ha detto il Grande Capo?” Disse con fare scherzoso, prolungando un suono rauco su ‘grande’.

“… Resteremo ad Osgiliath per il momento, manterremo la posizione e bloccheremo i passaggi a Nord con truppe ausiliarie …” Pronunciò lentamente l’uomo, che osservava le fiamme scoppiettanti del camino.

Il Mezz’orco sbatté un pugno contro il muro. Il suo viso, scuro, in principio marcato dai bei lineamenti della madre umana, si fece aspro e rugoso, e accennò un ringhio. “Cosa significa ‘Mantenere la posizione’? Le truppe di Gondor sono in rotta e noi dobbiamo restarcene qua? Che razza di piano è mai questo?!”

“Ti ho già detto che non spetta a me decidere, Uflag! Mantieni il controllo, sai che il Re Stregone non vuole rischiare di attaccare senza ottenere dei risultati …”

“Perché non mandiamo un avanguardia stanotte ad assediare la città?! Potremmo fare una sorpresa al vecchio fantasma, domani arriva qui a cavallo di quella sua bestiaccia alata e tu gli offri le chiavi di Minas T … “

“ Il Re Stregone non vuole rischiare. Io non voglio rischiare. Non posso …”

Il mezz’orco buttò a terra i sacchi che portava sulla spalla e si voltò pronto ad andarsene. Le parole di Ulthar furono rapidissime : “ Il malcontento del Capo dei Nazgul si fa sempre più grave. Se fallisco, rischio la vita …”
Uflag sbatté dietro di sé la vecchia porta della baracca. Aveva sentito le parole dell’uomo, certo, ma non sapeva cosa rispondere. Ulthar teneva ancora tra le mani la brocca, e la stringeva con forza. Versò nervosamente il contenuto in un calice, dell’idromele cadde per terra, ma non gli importava. Pensava a cosa avrebbe potuto fare. Sarebbe potuto andare via, quando le terre di Gondor erano ormai a portata di mano. Nessuno l’avrebbe seguito, ma allo stesso modo nessuno l’avrebbe accolto.  Era un po’ tardi per redimersi di una intera vita di peccati, e non aveva altra scelta che restare e continuare sulla sua cattiva strada.

Schiavo di una vita di comandi, non poteva sapere che si può sempre scegliere.
  
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