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Autore: ShioriKitsune    13/05/2012    6 recensioni
Un'ennesima one shot su Damon, principalmente, e sul suo legame con Elena. E' stata scritta parecchio tempo fa, mi chiedo come mai la pubblico solo adesso!
Spero vi piaccia! :)
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Klaus, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’oscurità mi circondava.
O meglio: ne ero totalmente sovrastato. Ci sguazzavo dentro senza nemmeno curarmene, preso com’ero dalla mia caduta libera verso l’ignoto che, in quel momento, sembrava infinito.
Era così maledettamente buio che avrei potuto giurare di essere morto, finendo in una sorta di dimensione oscura. Beh,  in realtà era proprio quello che mi trovavo davanti: uno spazio buio, freddo, senza tempo. Da quanto ero lì? Mi sembrava fossero passati giusto pochi attimi, ma qualcosa mi diceva che mi trovavo sospeso in quel luogo da molto più tempo di una manciata di secondi.
I miei sensi sembravano fuori uso: non vedevo, non sentivo, non percepivo nulla che non provenisse da me, come se in quella specie di buco nero fossi io l’unica forma di vita.
La sensazione peggiore, però, era la certezza di essere bloccato, di non poter scappare via da quell’inferno, di non poter mai più vedere la luce. E più andavo avanti, più mi accorgevo della sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco. Alla fine giunsi alla conclusione che sì, stavo letteralmente precipitando verso il basso in quel posto così dannatamente statico da non produrre nemmeno un alito di vento.  
Ma più la sensazione di profondità aumentava, più qualcosa dentro di me cambiava.
Quell’oscurità aveva un nome?
Rabbia, dolore, odio. Era sofferenza, era rancore. Ma rancore verso chi? Senso di colpa, poi ancora dolore. Perché provavo queste cose? Non sapevo darmi una risposta. Non sapevo neanche quale fosse il mio nome, a dirla tutta.
Mi sentivo cieco. Riuscivo solo a percepire queste mie emozioni in modo troppo intenso, come se in qualche modo stessi cercando di farmi scudo con esse da qualcuno o qualcos’altro. Forse proprio da me stesso.
Quella caduta sembrava non avere fine. Per quanto strano potesse suonare, attendevo con ansia il momento in cui  mi sarei schiantato al suolo, sempre che quel posto ne avesse avuto uno.
Ma fu sufficiente il tempo di un battito di ciglia per ribaltare la situazione, per permettermi di vedere le cose proprio come dovevano esser viste. Sapevo chi ero, sapevo cosa ci facessi lì.
Era la mia vita, quella. E i sentimenti che stavo provando in quel momento erano gli unici che mi ero dato il permesso di provare nei miei svariati anni di vita.
L’odio verso mio fratello, verso mio padre, verso me stesso; il rifiuto verso quello che ero, la non accettazione, la sete di vendetta.
Ma era bastato un flebile spiraglio di luce, di redenzione, per capovolgere e sconvolgere il mio intero universo. Era bastata quella ragazza minuta, forte e altruista per tirarmi fuori dal tunnel di tormento in cui avevo vissuto fino a quel momento.
Dopo Katherine avevo giurato a me stesso che non avrei più amato nessuna donna. Soltanto ora mi rendo conto che quello che mi legava a Katherine non era mai stato realmente amore: era stata una malsana ossessione, la stessa che aveva finito per rovinarmi la vita.. e anche la morte.
Ma non avevo scelto io di innamorarmi di Elena, era successo e basta. E per quanto mi fossi sforzato di negarlo, il mio amore per lei era stato in grado di cambiarmi, rendendomi consapevole delle mie azioni. Mi aveva permesso di diventare un uomo migliore, l’uomo che lei voleva che fossi.
Elena era stata la cima capace di tirarmi fuori dal baratro, era stata la mia luce.
Quella non era più la mia mezzanotte:  oramai, era la mia alba.
La consapevolezza di ciò, ebbe il potere di frenare la mia discesa e, tutto ad un tratto, toccai terra. Era una terra fittizia però, perché intorno a me il nulla continuava a regnare incontrastato. Fino a quando..
«Damon».
Quella voce, la sua voce, riuscì a farmi voltare  di scatto.
Lei era lì, in piedi davanti a me. «Elena, cosa..». “Cosa sta succedendo?”, avrei voluto domandarle, ma non trovai la voce.
Lei si avvicinò prendendomi il volto tra le mani, e fu in quel momento che, per la prima volta, ebbi l’assoluta certezza di trovarmi in un sogno, in un contorto riassunto della mia vita.
«Non c’è tempo per le domande», sussurrò Elena con lo sguardo spaventato, guardandosi intorno come se avesse avuto paura che qualcuno potesse ascoltare. «Devi svegliarti, devi svegliarti subito».
Aggrottai la fronte: quello era il sogno più strano che avessi mai fatto.
Afferrai le piccole mani che circondavano il mio viso e tentai nuovamente di parlare, ma questa volta fu Elena ad impedirmelo.
«Damon, devi ascoltarmi. Questo non è un sogno, non un sogno vero. E tu non stai dormendo, o meglio.. Non so cosa tu stia facendo, non so perché ti abbiano spinto a sognare. In ogni caso, devi svegliarti».
La sua voce e la sua espressione erano determinate, ferme, ma le sue mani tremavano.
Incrociai il suo sguardo. In quel momento avrei solo voluto abbracciarla.
«Non so quanto durerà, potrei sparire da un momento all’altro. Damon ho bisogno di te». Fece una pausa, guardandomi intensamente negli occhi. E riuscii a vedere un flebile sorriso fiducioso comparire per un attimo sulle sue labbra. «Io credo in te».
Ma l’attimo dopo successe qualcosa. Come se quel nulla avesse incominciato a tremare, a stento riuscii a  mantenermi in equilibrio.
Ed Elena era sparita nel nulla, come se non fosse mai stata lì.
Le sue parole però erano rimaste, si erano impiantate nella mia testa: lei aveva bisogno di me.
Il problema era che non sapevo come svegliarmi.
Ma non ebbi il tempo di pensarci, perché l’istante dopo qualcosa mi colpì in pieno, perforandomi il petto.
E poi, riaprii gli occhi.
 
Elena
Ansimando, mi voltai di scatto verso quello che scoprii essere un vicolo cieco. Ero bloccata, mi ero messa in gabbia da sola.
«So che sei li, dolcezza. Sento l’odore del tuo sangue!».
Ripresi a correre, facendo qualche passo indietro e invertendo il senso di marcia. Klaus era vicino, forse più di quanto pensassi.
«È inutile che scappi!».
L’adrenalina mi spingeva a correre sempre più veloce e il mio cuore batteva così forte che, ero sicura, a breve mi sarebbe uscito fuori dal petto. Ma questo non poteva impedire alla mia mente di continuare con il suo flusso imperterrito di pensieri e domande, domande alle quali avrei tanto voluto ottenere una risposta.
Come avevo fatto a cacciarmi in quella situazione? Dov’erano Stefan e Damon? Era la seconda che mi stava più a cuore, ma al contempo la risposta mi spaventava. Stavano bene, no? Erano al sicuro.
Improvvisamente avvertii una scossa così forte da farmi traballare, e il volto di Damon mi apparve davanti agli occhi. Fu come se la mia mente, per un breve istante, entrasse in contatto con quella del vampiro dagli occhi di ghiaccio. Come se gli avessi trasmesso un messaggio che solo lui avrebbe potuto ricevere.
Lanciai uno sguardo indietro, senza smettere di correre. A breve Klaus mi avrebbe raggiunto e sarebbe stata la fine. Mi avrebbe dissanguata fino all’ultima goccia e avrebbe gettato via il mio cadavere come se fossi stata un distributore rotto ormai privo di utilità.
Imboccai un corridoio secondario che collegava la mensa scolastica all’uscita, e senza pensarci due volte mi fiondai all’esterno dell’edificio, allontanando così Klaus da tutti coloro che erano all’interno, ignari di quello che stava accadendo proprio sotto i loro nasi.
«Elena!».
La sua voce mi procurò un brivido, ma non permisi a me stessa di perdere tempo a pensarci su. Incespicai sui gradini, volando verso il bosco. Nessuno ci avrebbe seguiti: saremmo stati soltanto io e lui.
E, nonostante questo, avevo paura. Paura di fallire, paura che potesse succedere qualcosa alle persone che cercavo con tutta me stessa di proteggere. E, perché no, paura di morire senza aver detto addio a Stefan.
E anche a Damon.
Ero così catturata da quei pensieri che non mi resi minimamente conto della direzione presa dai miei stessi piedi e, prima che potessi lanciare anche un solo urlo, volai giù dal bordo in restaurazione del Wickery Bridge.  L’acqua del fiume – lo stesso fiume che aveva ucciso i miei genitori- mi travolse in un’ondata violenta.
 
Damon
Diedi uno strattone alle catene che mi serravano i polsi, cercando invano di strapparle via. Maledizione, chi era stato a conciarmi in quel modo?
Guardandomi intorno, mi resi conto che non ero a casa mia, né a casa di Elena o di Rick. Quella villa non era uno dei miei luoghi di ritrovo abituali, ma aveva un qualcosa di familiare. Ero già stato torturato e incatenato in quel salone, prima d’allora? Facendo una smorfia, mi guardai intorno.
Ma certo, era la casa degli Originari, la casa in cui mamma Originaria si era divertita a fare incantesimi che, ahimè, non erano andati a buon fine. Il legame che lei si era impegnata tanto a sigillare era ormai sciolto, e il suo figlio preferito – quello suicida- insieme a tutta la sua discendenza di vampiri, era ormai bello che morto.. ma morto davvero.
Serrai la mascella, cercando di ricordare cosa ci facessi li. Oh certo, qualcuno si era divertito ad incatenarmi e sfregiarmi e poi mi aveva soggiogato per non farmi ricordare chi fosse stato e perché. Davvero furbo, non c’è che dire.
E probabilmente era stata la stessa persona ad indurmi in quella sottospecie di sogno così assurdo da sembrare quasi reale. O magari era solo il risultato di una mente malata e contorta come la mia.
Era divertente, in un certo senso:  anche il mio subconscio adorava prendermi in giro.
In ogni caso, vero o no che fosse, qualcosa in quella situazione non andava. Perché rapirmi? Perché affrontarmi senza che io potessi reagire? Era come se avesse cercato di agire di nascosto, evitando così di avere intralci sulla sua strada.  Ma perché mai sarei dovuto essere un intralcio per uno qualsiasi degli Originari? I paletti di quercia bianca erano ormai andati, così come tutte le nostre possibilità di sbarazzarci di Klaus e famiglia. Perché quindi tenermi incatenato, sapendo benissimo che non avrei potuto far nulla per fermarli in ogni caso?
Ero debole, così debole da non riuscire nemmeno a liberarmi da semplici catenacci arrugginiti. Eppure, c’era qualcosa che mi ronzava nella testa. Un pensiero fastidioso che voleva essere ascoltato ad ogni costo.
E, subito dopo, mi venne in mente Elena.
Elena! Era in pericolo? Non lo sapevo, ma era come se lo sentissi. Qualcosa dentro di me, probabilmente il mio stomaco, si stava attorcigliando a causa dell’agitazione.
Se Elena era davvero in pericolo, non mi sarei mai perdonato il fatto di essere lì, bloccato, incapace di liberarmi.
«Come ha imparato a farlo?».
La voce, proveniente dalle mie spalle, mi fece sobbalzare. Non mi voltai, non ne avevo la forza. «Barbie Klaus», mormorai a mo’ di saluto, ignorando la sua insensata domanda.
Rebekah mi si avvicinò, guardandomi dritta negli occhi. «Dimmi come ha fatto».
«Ha fatto chi a fare cosa?», borbottai confuso, per niente incuriosito da quei suoi giochetti.
La ragazza roteò gli occhi come se fosse scocciata. «Elena, Damon. Come ha imparato a comunicare con te in quel modo?».
Il nome di Elena ebbe il potere di catturare la mia attenzione. Alzai lo sguardo su di lei, interessato.
«Ti ha.. inviato un pensiero. Una qualche specie di proiezione. Chi glielo ha insegnato?».
Non avevo idea di cosa stesse dicendo, ma improvvisamente ebbi la certezza che Elena era nei guai. «Stai dicendo che il mio sogno.. non è stato solo un sogno?».
Non rispose. Si limitò a fissarmi, studiandomi come se volesse capire se dicessi la verità o meno. Qualche minuto dopo, sotto il mio sguardo insistente, si decise a parlare. «Stavo spiando i tuoi pensieri quando è apparsa questa immagine. Non sono stata io ad inviartela e dubito che sia stato un altro vampiro. Era troppo.. reale».
Ebbi la forza di serrare i pugni. Dovevo uscire di lì il prima possibile.
«Ti dispiacerebbe liberarmi?», mormorai con tono nervoso , un tono che non mi apparteneva.
Rebekah incrociò le braccia al petto. «Non posso».
Imprecai sotto voce, maledicendomi per essermi dimenticato di ricominciare a prendere la verbena. Avevo bisogno di un piano e ne avevo bisogno in fretta. Ma prima che potessi idearne uno, qualcuno venne in mio soccorso piantando un pugnale nella schiena di Rebekah.
Il suo corpo cadde in avanti, momentaneamente senza vita, permettendomi di guardare in volto il mio salvatore.  Gongolai. «Arrivi sempre al momento giusto».
Alaric ricambiò il sorriso. «Se la damigella è in pericolo, il principe azzurro corre a salvarla».
Se non fossi stato così debole, avrei obiettato sulla scarsa comicità di quella battuta. «Liberami più in fretta che puoi», dissi tornando improvvisamente serio. «Ho lo strano quanto inequivocabile presentimento che Elena sia nei guai».
 
Elena
Per un lungo minuto ebbi la terribile sensazione che sarebbe finita li, in quel fiume, dove tutto era iniziato. Sarebbe stato corretto, in un certo senso. Il karma avrebbe avuto giustizia: dopo tutte le cose che erano successe a causa mia, era giusto che fossi io a pagare.
Non sentivo più nulla, se non l’acqua che mi spintonava a destra e a sinistra, ed ero così debole a causa della precedente corsa che non ero in grado di oppormi.
Ma poi, all’improvviso, un braccio mi afferrò per tirarmi fuori dall’acqua, e il secondo dopo mi ritrovai stretta al petto di Stefan.
Non parlammo, non ero sicura che ci sarei riuscita. Ero così scossa e infreddolita che mi domandavo come mai non fossi ancora scoppiata in lacrime. Stefan mi sollevò il viso, accarezzandomi dolcemente una guancia, e bastò che incrociassi il suo sguardo per sentirmi al sicuro.
Era la seconda volta che Stefan mi salvava da quel fiume.
Mi strinsi a lui, realizzando per l’ennesima volta quanto forte fosse il sentimento che ci legava. Stefan era il mio primo vero amore, era questa la verità. E non importava cosa sarebbe successo, non avrei mai potuto smettere di amarlo.
Mi lasciò andare dolcemente, permettendomi di posare i piedi per terra. «Stai bene?».
Annuii, non totalmente convinta della mia risposta. Ma cos’avrei potuto dire? Che avevo tremendamente paura di quello che stava succedendo? Non ero così, non amavo piangermi addosso. Dovevo essere forte, auto convincendomi di star bene. Anche se sapevo che Stefan non ci sarebbe cascato.
«Come sei finita nel fiume? Qualcuno ti ha spinta?», domandò, sfilandosi la giacca per posarmela sulle spalle.
Me la strinsi addosso,  tirando su col naso. «Klaus mi stava inseguendo», mormorai, guardandomi intorno circospetta, per paura che fosse li da qualche parte a sogghignare alle nostre spalle.
Stefan serrò la mascella, stringendomi le spalle per darmi calore. «Andiamo via, allora».
«Oh oh, io non ne sarei così sicuro!».
La voce di Klaus, alle nostre spalle, ci fece sobbalzare. Stefan mi afferrò dal braccio, spingendomi dietro di lui per farmi scudo dall’ibrido con il suo corpo. «Sta’ lontano da lei».
Klaus sorrise, quel suo sorriso simpatico quanto inquietante, mentre ci veniva in contro a braccia aperte. «Stefan, tranquillo! Non ho nessuna intenzione di farle del male. Ho solo bisogno di un piccolo favore, sai com’è».
Sussultai, trattenendo il respiro. Sapevo cosa volesse Klaus da me, ma ero parecchio restia all’idea di svenarmi per permettergli di creare altri mostri come lui. A quel punto, avrei preferito farmi ammazzare.
«Non ti darò il mio sangue», mormorai, facendomi scudo di tutto il coraggio che possedevo ed uscendo dal mio nascondiglio improvvisato alle spalle di Stefan.
Klaus serrò le labbra per un secondo: odiava essere contraddetto. Il problema era che aveva sempre una minaccia pronta, in caso qualcosa fosse andato storto.
«Va bene, tesoro. Vorrà dire che telefonerò a Rebekah e le dirò di fare un salto a casa del tuo amico biondo, non appena avrà finito con Damon».
Rimasi di sasso, completamente pietrificata. E sentii Stefan irrigidirsi allo stesso modo.
Rebekah aveva preso Damon? Persi il controllo del mio battito del cuore.
Non potevo rischiare così tanto. Se a Damon fosse accaduto qualcosa per causa mia..
«Perché hai preso Damon?», domandò Stefan anticipandomi.
«Oh no, non sono stato io, questa volta. È stata la mia adorabile sorella. Sai, ha qualche conto in sospeso con lui: l’ha sedotta, ha finto di avere una cotta per lei e poi l’ha - metaforicamente - pugnalata alle spalle».
Spostò lo sguardo su di me, come a volermi dare la colpa di quello che era successo. «È stato un bel colpo per lei, anche se mi domando come non abbia potuto accorgersi del fatto che il caro Damon ha occhi solo per te. Cielo, lo sanno tutti!», blaterò in tono leggero, roteando gli occhi come se davvero tutti fossero a conoscenza di quell’innegabile verità.
E, per quanto sapessi che le cose stavano davvero così, sentirlo dire ad alta voce mi provocava sempre una fitta allo stomaco.
Deglutii, facendo un passo verso l’ibrido. «Di’ a Rebekah di non fargli del male», mormorai.
Klaus chinò il capo verso di me, sorridendomi. «E se lo faccio, ho la tua parola che mi seguirai?».
Non potevo lasciare che Klaus creasse nuovi ibridi per ingrandire il suo esercito di servitori: in quel modo, sarebbe stato ancora più difficile da battere, sempre che esistesse un modo per farlo.
Ma non potevo nemmeno lasciare che quella psicopatica di Rebekah se la prendesse con Damon, il mio Damon.
Mio?
Probabilmente arrossii, ed ero sicura che entrambi i vampiri se ne fossero accorti. Damon non era mio, non lo era mai stato. Eppure, questo non bastava ad impedirmi di considerarlo tale.
«Sì, ti seguirò».
Stefan, alle mie spalle, ebbe un fremito. «Elena!».
«Fantastico!», gongolò l’ibrido entusiasta. Poi si avvicinò al mio orecchio, scostandomi i capelli dal viso. «Non te ne rendi conto, Elena? Tutti hanno un prezzo».
Rimasi impassibile, guardando fisso davanti a me. «Voglio la tua parola che a Damon non accadrà nulla».
«Elena, dimmi che stai scherzando», sussurrò concitato Stefan, afferrandomi il braccio per strattonarmi via.
Ma non gli diedi corda: nemmeno lui avrebbe potuto fare nulla, non in questa situazione.
Klaus sorrise, prendendomi il volto tra le mani. «Hai la mia parola».
«Sai, non credo che avrai bisogno di quella».
Tutti e tre ci voltammo di scatto verso l’inaspettato intruso, e quando mi resi conto di chi fosse, il mio cuore quasi scoppiò dalla gioia.
«Damon».
 
Damon
«Sorpresa!», gongolai, avvicinandomi al trio e mettendomi quasi immediatamente tra Klaus ed Elena.
«Consiglio per il futuro: prima di fare promesse, assicurati che il topo sia ancora in gabbia».
Elena, alle mie spalle, sembrò sollevata. Non ero arrivato in tempo per ascoltare tutta la conversazione, ma quello che avevo sentito bastava: Elena sarebbe stata pronta a sacrificarsi per salvare me.
Proprio come io avrei fatto, di lì a poco, per salvare lei e mio fratello.
Klaus mi rivolse uno sguardo di puro odio, ed ero sicuro che se non stesse cercando di mantenere quel suo stato di calma e sicurezza apparenti, mi avrebbe già staccato la testa a morsi.
«Elena», incominciò, evitando il mio sguardo per fissarlo in quello della ragazza. «Non dimenticarti che potrei ancora chiamare Rebekah e dirle di..».
«Ah, accidenti!». Feci una smorfia, interrompendolo e facendo schioccare la lingua. «Ho dimenticato di dire che Rebekah è.. ecco, leggermente fuori uso, in questo momento. Ha avuto uno spiacevole incontro di primo grado con un pugnale e della cenere di quercia bianca, quindi..». Mi finsi dispiaciuto, incrociando lo sguardo dell’ibrido che, a poco a poco, iniziava a perdere il controllo. «Tu..», iniziò, facendo un passo verso di me.
«A-a-a!», lo interruppi ancora, facendo cenno di no con la testa. «Se fossi stato io, a quest’ora sarei un cadavere grigio e secco, non credi?».
«Ora basta», mormorò lui, ed un secondo dopo mi schiantai violentemente contro un albero. «Sai, Damon. Pensavo che tu avessi capito, l’ultima volta che abbiamo chiacchierato. Non ti conviene sfidarmi».
Mi sollevai a fatica, ma senza smettere di lanciargli sguardi di sfida: sapevo benissimo che lo avrebbero fatto infuriare ancora di più. In quel modo, la sua attenzione si sarebbe concentrata su di me e Stefan ed Elena avrebbero potuto provare a scappare via.
Incrociai lo sguardo di mio fratello, che annuì: in pochi secondi, avevamo creato un piano da seguire.
Non posso, non posso permetterlo. Si farà male per colpa mia, non posso..
La voce di Elena mi arrivò chiara, facendomi sgranare gli occhi. La stavo guardando, ed ero sicuro che non avesse aperto bocca.
Elena?  Elena, riesci a sentirmi?
..Damon?
Avresti preferito Babbo Natale?
Incrociai il suo sguardo, ed era stupefatta quanto me. Anzi, forse peggio: era rimasta a bocca aperta.
Avevo già visto prima una cosa del genere, ma mai tra un umano ed un vampiro. Continuai a fissarla, inviandole un altro messaggio.
Come riesci ad usare la telepatia?
Telepatia?, rispose lei. Non ho la più pallida idea di come questo possa essere possibile. Non mi era mai successo..
Ascolta, Elena., la interruppi. Prima, quando eri in difficoltà, hai chiesto il mio aiuto? Hai pensato a me?
Lei arrossì. Sì, l’ho fatto. Come lo sai?
Sorrisi appena. L’ho sognato.
Ebbi appena il tempo di voltare lo sguardo verso Klaus e scansarmi, prima che i suoi denti da licantropo mi mordessero il braccio. Diciamo che ci ero già passato, non mi andava di ripetere quell’esperienza.
Damon, perché solo tu riesci a sentirmi? Perché non posso farlo anche con Stefan?
Mi bloccai un attimo, facendo una smorfia stranita mentre fissavo lo sguardo su Elena. Ti sembra questo il momento per fare conversazione?
«Non mi sembri molto interessato a farti ammazzare». La voce di Klaus catturò la mia attenzione, facendomi voltare il capo. «Eri sembrato più convinto, prima».
Alzai un sopracciglio, ghignando. «Ehi, no! Sono ancora interessato a farmi azzannare dalle tue fauci canine, chi non lo sarebbe?», domandai con tono sarcastico, concentrandomi totalmente su di lui. Se volevo dare ad Elena e Stefan la possibilità di scappare, dovevo concentrarmi su Klaus.
Stefan sa già cosa fare, tu devi solo seguirlo. Tieniti pronta a scappare.
I pensieri seguenti che vennero dalla mente di Elena erano così confusi e sovrapposti tra loro da non permettermi di capire nulla. Sapevo soltanto che, in qualche modo, non approvava affatto la mia idea.
«Allora, Klaus. Come ci si sente ad essere l’idiota più forte del mondo?».
Lui ghignò, e incominciammo a girarci in torno come in una qualche specie di danza di corteggiamento. Chi dei due avrebbe fatto la prima mossa?
«Oh beh, forse un giorno lo saprai anche tu. Anzi no, aspetta. Stai per morire adesso, quindi..».
Ridacchiai, assottigliando lo sguardo e prendendomi un secondo solo per incrociare lo sguardo di Stefan. Eravamo d’accordo: quando Klaus mi avrebbe attaccato, lui avrebbe preso Elena e sarebbe corso via il più veloce possibile.
«Il grande e grosso lupo cattivo!», lo schernii, riuscendo a farlo innervosire ancora di più. Ma era difficile concentrarmi sul mio obiettivo, quando i pensieri di Elena erano così insistenti da riuscire a penetrare la barriera che avevo cercato di ergere nella mia testa.
Che diavolo stai facendo? Finirai per farti ammazzare!
È quello il piano, principessa. Tu limitati a scappare.
Damon non posso! Non posso lasciarti.
La sua voce fu come un urlo nella mia testa, così forte da distrarmi e farmi perdere il momento in cui Klaus, stufo, mi ficcò un paletto nel centro esatto del petto.
«Damon!».  Quello fu un vero e proprio urlo, e l’ultima cosa che vidi prima di chiudere gli occhi, fu Elena che correva verso di me.
 
Elena 
“Fa che non sia morto”, era l’unica cosa a cui riuscivo a pensare mentre mi chinavo e prendevo il corpo di Damon tra le braccia, infischiandomene di Klaus - che aspettava solo il momento migliore per squarciarmi la gola e prendersi il mio sangue - o di tutto il resto.
Nulla aveva importanza in quel momento, se non Damon.
Gli presi il volto tra le mani, accarezzandolo dolcemente, mentre Stefan si affrettava ad estrargli il paletto dal petto. «Non ha preso il cuore», sussurrò al mio orecchio, rassicurandomi ma facendo in modo che Klaus non se ne accorgesse. Se pensava di averlo ucciso, era meglio che nessuno gli facesse capire che non lo avesse fatto. «Damon, ti prego, apri gli occhi».
Sapevo che non era morto, lo aveva detto Stefan. Allora perché il cuore mi batteva così forte ed il mio stomaco sembrava essersi annodato?
Il pensiero che avrebbe potuto morire per colpa mia, per salvare me, mi fece scappare qualche lacrima.
«Non ho colpito il cuore, ma l’ho sfiorato», c’informò Klaus, che al contrario di quello che avevamo pensato, sapeva benissimo di non averlo ucciso. «Ma chissà, una scheggia potrebbe anche aver deciso di rimanere incastrata», fece spallucce. «Io non direi l’ultima parola».
Sorrise appena, passandoci alle spalle. «Vi lascio un momento per assimilare il dramma, ma non credete che sia finita qui. Tornerò, Elena. E la prossima volta non ci sarà nessuno a salvarti».
Alzai lo sguardo per incrociare quello dell’ibrido, guardandolo con odio e con le lacrime che mi rigavano le guance mentre andava via come se niente fosse.
«Elena, dobbiamo portarlo via di qui».
La voce di Stefan mi fece sbloccare, e mi affrettai ad annuire. «Sì, portiamolo a casa mia».
 
Bussai alla porta della mia stanza, certa che Damon fosse ormai sveglio. L’aprii piano, e una volta entrata incrociai subito il suo sguardo.
«Porto doni», sussurrai, avvicinandomi al letto e sedendomi accanto a lui. Mi guardò confuso, ma sorridendo. «Io non vedo nulla», disse gentile, senza il solito accento sarcastico che lo caratterizzava.
Mi portai i capelli dietro l’orecchio, lasciando il collo scoperto e inclinandomi verso le sue labbra. «Magari avresti preferito una bella bionda», scherzai, «ma oggi ti tocca bere da me».
In un primo momento Damon sembrò confuso, ma subito dopo assunse un’espressione turbata. «No, Elena. Non posso..», scosse la testa, sfiorandomi dolcemente la mano. «Non posso», ripeté.
Mi accigliai, storcendo la bocca. «Che c’è, il mio sangue non ti piace?».
Lui sorrise. «Che dici? Sono convinto che il tuo sangue sia il più buono e dolce del mondo, come qualsiasi altra cosa di te», fece una pausa, incrociando il mio sguardo. «ma non posso rischiare di farti del male».
Sospirai, rimettendomi i capelli a posto. «Vorrà dire che, quando cambierai idea, me lo chiederai». Sorrisi, sorrisi come se fosse la cosa più naturale del mondo, e lui ricambiò. E in quel momento mi sentii completa, felice.
«Oh, a proposito», incominciai. «Potresti spiegarmi la cosa della telepatia?».
Damon mi fissò intensamente per un minuto.
Questa?
La sua voce mi arrivò cristallina come poche ore prima. Sorrisi. «Sì».
Lui fece spallucce. «Non lo so, Elena. Non mi era mai successo con nessuno prima di adesso».
Annuii, intrecciando le dita alle sue. Forse non avremmo mai avuto una risposta, o forse ce l’avevamo già. Era successo a noi, non a me a Stefan, non a lui e a Katherine. A noi.
Gattonai sul letto fino ad arrivare a lui, e delicatamente mi sdraiai al suo fianco, poggiando la testa sulla parte sana del suo petto. «Grazie».
Lui iniziò ad accarezzarmi i capelli. «Di cosa?».
Sorrisi, anche se lui non poteva vedermi. «Di aver rischiato la vita per me».
Ci fu un attimo di pausa, in cui a eludere il silenzio ci furono solo i nostri respiri e il mio battito del cuore. «Ti amo, Elena», sussurrò lui. «Morirei per te».
E la consapevolezza di quello che provavo per Damon mi colpì davvero per la prima volta, in un modo così totale da farmi mancare il fiato.
Amavo Stefan, lo amavo davvero, ma per Damon provavo qualcosa di più forte, qualcosa che riusciva ad annullare tutto il resto. Gli sarei sempre appartenuta, in qualche modo. Dentro di me, sapevo che la mia vita senza di lui non avrebbe potuto esser definita tale.
Perché alla fine di tutto, alla fine di ogni guerra, di ogni battaglia.. chi è colui che non mi ha mai lasciata andare?
La risposta venne da sola, e non potei fare a meno di stringere a me quello che era il mio piccolo pezzo di paradiso. «Lo so», sussurrai.
E lui, in qualche modo, sapeva benissimo che lo amavo più di quanto il resto del mondo pensasse.
   
 
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