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Autore: Elos    13/05/2012    6 recensioni
“Potremmo andare anche noi. Sappiamo dove sono andati, possiamo seguirl...”
“No.”
Draco parve sorpreso dalla brusca interruzione:
“Cosa...? Perché?”
“Perché no. Neville ci ha dato degli ordini e noi li eseguiremo.”
L'espressione di Draco passò dallo stupore all'irritazione e dall'irritazione al disprezzo. Le sue labbra sottili diventarono fini come un filo mentre lui le torceva in un atteggiamento che Hermione ricordava dai tempi della scuola:
“Perché tu e i tuoi piccoli amici siete sempre stati così bravi nell'eseguire gli ordini, non è vero? Tu e San Potter e...”
“Esattamente,” lo interruppe Hermione prima che potessero arrivare altri nomi ad aprirle una voragine di nulla nel cuore. “E guarda dove ci ha portati questo.”
Scese il silenzio. [...]

Harry Potter è morto, lunga vita a Voldemort.
I Mangiamorte hanno il controllo dell'Inghilterra, e tutto quel che resta dell'Ordine della Fenice si nasconde a Grimmauld Place portando avanti un'ostinata guerriglia. Qualcosa è andato storto, ma non tutti vogliono gettare la spugna.
Esercito di Potter, il reclutamento è ancora aperto.
Genere: Azione, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Neville Paciock, Remus Lupin, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Come (non) doveva andare' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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2. Resistenza




Quando Millicent Bullstrode si Smaterializzò a Grimmauld Place, le barriere poste attorno alla casa tremarono, le si avvinghiarono attorno e cercarono di trattenerla: e per un attimo lei temette di essere troppo debole per contrastarle, e che sarebbe stata sbattuta fuori. Era sempre così. Arrivò sul pianerottolo del pianterreno e, sporgendosi oltre il tappetino all'ingresso, vomitò tutto quel che aveva nello stomaco.
Sentì i passi di qualcuno giù per le scale e poi una mano gentile posarsi sulla sua fronte per aiutarla a tenere la testa alta.
“Oddio, Millicent...” La voce di Hermione era soffocata e confusa. “... è tuo tutto questo sangue?”
Non era suo, pensò lei, confusamente. Non era suo. Avrebbe dovuto esserlo, ma non era...
“Dov'è Boot?” annaspò. “Sono arrivati?”
Hermione non le rispose e Millicent, alzando a fatica la testa, vide che era pallida e scarmigliata e che aveva il maglione grigio chiazzato di sangue come il grembiule di un macellaio. Millicent la spinse da parte e cominciò a correre su per le scale.
“Millicent!” le strillò dietro Hermione. “Aspetta...!”
Millicent non aveva la minima intenzione di aspettarla. Spintonò Draco, in cima alle scale, con tanta forza da farlo girare sul posto; ignorò il suo “Ehi!” indignato, ignorò la porta della stanza del professor Piton e spalancò la seconda porta sulla destra.
Lavanda Brown alzò gli occhi dal letto e la protesta automatica che già aveva sulla punta della lingua le morì sulle labbra quando vide di chi si trattava: gli occhi di Millicent colsero in un colpo solo la lacrima rossa e vischiosa che le colava da una ciocca di capelli, le chiazze sulla sua lunga veste marrone e poi quelle sulle sue mani, più fresche e più viscide e più liquide, e poi scesero e scesero ancora finché non si fermarono sul corpo sul letto.
Aveva già vomitato tutto quel che poteva vomitare. Non c'era più niente che potesse tirar fuori, ed una parte del suo cervello svuotato le disse che era stata stupida, che non si potevano sprecare così ottime e salutari cene, che non c'era abbastanza cibo per buttarlo via vomitando. Un'altra parte del suo cervello stava strillando a piena forza e non sembrava capace di smettere.
Sentì la voce di Hermione, dietro di sé, e poi quella di Lavanda che aveva davanti, e tra tutte e due riuscirono a spingerla su una sedia e a mettercela sopra. Hermione si mise alle sue spalle e le posò entrambe le mani sulla fronte – Millicent si sentiva bruciare, e le parvero fredde contro la pelle in fiamme – e Lavanda richiamò con un Accio un bicchiere d'acqua e glielo spinse tra le mani.
“Bevi.”
Millicent scosse la testa. Non riusciva a staccare gli occhi dal letto. Sentiva che se avesse distolto lo sguardo sarebbe accaduto qualcosa di terribile, se avesse distolto lo sguardo... se avesse distolto lo sguardo sarebbe tutto successo, sarebbe tutto...
Lavanda si mise in mezzo tra lei e il letto e il mondo di Millicent si riempì di marrone, marrone pieghettato con piccoli ricami più scuri e con grosse chiazze di sangue fresco. Tutto ad un tratto stava piangendo: sentiva le lacrime scorrere sulle guance e non riusciva a smettere di tremare, e tutta la sua gola era così piena di pianto che premeva da farle temere che sarebbe rimasta soffocata. Hermione le spostò le mani dalla fronte alle spalle e poi si piegò un altro po' e l'abbracciò. Boccheggiando per riprendere fiato nel mezzo dei singhiozzi, Millicent pensò che se fosse stato un altro l'avrebbe respinto, ma la Granger no, la Granger... la Granger sicuramente capiva, perché anche lei ci era passata, no? Non era forse così?
Lavanda Brown si era inginocchiata di fronte a lei e le stava toccando un ginocchio dopo l'altro con la punta della bacchetta. Era stata una delle ragazze più graziose del suo anno, una di quelle che Millicent ricordava di aver invidiato orribilmente: e tutto quel che non aveva avuto in vera bellezza, del genere che arriva alla nascita ed è assolutamente immeritato, l'aveva compensato in sorrisi e cerchietti ricoperti di lustrini e moine. Adesso portava un vestito marrone che Madama Chips le aveva prestato. Aveva i capelli tagliati corti, quasi come quelli di un uomo, e non sembrava sorridesse più molto.
“Ho bisogno che tu ti sdrai, Millicent,” le disse Lavanda in tono soffice. “Sei ferita. Ho bisogno di vedere se la ferita è grave, dobbiamo pulirla subito, Millicent...”
“Boot...” bisbigliò lei, esausta.
“Mi dispiace molto.”
“Sono state le Acromantule.” Millicent continuava a vederle, nella sua testa, dietro ai suoi occhi, e se abbassava le palpebre le sembrava di poterle sentire ancora, contro la pelle, sopra di lei, le zampe nere e pelose e gli artigli e gli occhi, tutti quegli occhi, troppi occhi troppo neri troppo lucidi e troppo scuri. “Stava andando tutto bene, ma poi sono arrivate le Acromantule. Dio. Oddio. Dov'è Weasley? Dovrebbe essere anche lui qui, doveva portare lui Boot...”
Hermione e Lavanda si scambiarono una lunga occhiata.
“E' nell'altra stanza,” replicò alla fine Hermione. “Il suo braccio è... non è in buone condizioni. Madama Chips si sta occupando di lui.”
“Perciò sono state le Acromantule,” disse Lavanda. C'era una strana vibrazione nella sua voce, un bizzarro miscuglio di cose che Millicent non riuscì a distinguere. “Tutte quelle lacerazioni. Sono artigli di Acromantula.”
Millicent non poteva vedere l'espressione di Hermione, che era ancora in piedi dietro di lei, ma sentì perfettamente le sue mani tremare, contrarsi e poi distendersi. Cercò di dare un senso a tutto ciò, ai loro discorsi, alle loro voci, ma era difficile pensare. Weasley era ferito. Paciock era ferito. Millicent si sentiva la testa come piena di burro. Weasley era ferito, Paciock era ferito. Avevano vinto, forse, ma tutto ciò sembrava così poco, adesso, così... così vacuo, e non sapeva se...
Terry era morto.
Si piegò sulla sedia ed affondò la testa tra le mani.
Sembrava tutto così inutile, adesso.

Aveva trovato la Granger seduta su una sedia, una volta, accanto al letto nella stanza della ragazzina Weasley. La Weasley non era cresciuta molto dall'ultima volta che Draco l'aveva vista, quand'era stata ancora sveglia, ancora in piedi, ancora intera. Era sempre minuta e magrolina, con una gran massa di capelli troppo rossi attorno al viso lentigginoso: e avrebbe potuto essere carina, anche, se non fosse stato per la cicatrice che s'era mangiata metà della sua faccia ed era scesa, poi, sulla sua spalla. Scompariva sotto le maniche della sua camicia da notte ed arrivava al dorso delle braccia, ed aveva mangiato un pezzo della mano sinistra, pure, dove mancavano due dita, e l'altra mano era contorta come un gigantesco, pallido, mostruoso ragno a cinque zampe.
Aveva trovato la Granger seduta lì accanto, con una mano delle sue posata sulla mano-ragno e lo sguardo perso nel vuoto, ed era rimasto fermo sulla soglia a guardarla per un lunghissimo quarto d'ora, affascinato e stordito, perché la Granger stava piangendo. Aveva righe di lacrime a scorrerle sul viso e piangeva senza neanche cambiare espressione, senza contrarre il viso, mordersi le labbra, niente, senza un suono. Le lacrime uscivano, solamente, come se la pressione dentro di lei avesse appena raggiunto il punto di rottura.
Lui era rimasto a guardare perché guardare tutto quel pianto gli faceva male al cuore, ed era meglio che piangesse lei che non lui, e perché... perché pensava di non esserne più capace. Gli mancava una valvola di sfogo: tutta la pressione dentro di lui poteva solo continuare ad accumularsi, ed aveva paura che, un giorno, sarebbe semplicemente esploso.
La Granger non l'aveva guardato, non gli aveva rivolto la parola, neanche per dirgli di andarsene al diavolo e di chiudersi la porta alle spalle mentre usciva. Poi, tutto ad un tratto, aveva aperto bocca ed aveva cominciato a parlare: ed era così che gli aveva parlato della Bella Addormentata.
La Bella Addormentata era una di quelle cose che gli facevano pensare che i Babbani fossero effettivamente imbecilli. C'era questa bellissima tizia che era stata maledetta alla nascita, ma qualcuno aveva fatto un incantesimo per proteggerla e così lei non si era salvata, non proprio, ma avrebbe dormito per cento anni. Dormire era meglio che morire e, comunque, poi sarebbe arrivato qualcuno che sarebbe stato capace di svegliarla. Sarebbe andato tutto bene.
Se era così che le cose stavano, be', era fantastico. Bastava aspettare che il cadavere di Potter emergesse dalla tomba e venisse qui, strisciando sulle sue stramaledettissime ginocchia marcescenti, e anche la pianta avrebbe riaperto gli occhi. Certo, cento anni erano un bel po' di tempo da aspettare, ma non è che loro avessero molto altro da fare, no...?
L'aveva detto alla Granger, e lei gli aveva tirato un pugno. Aveva i pugni facili, la Granger, e nessun senso dell'umorismo.
La Weasley non si sarebbe mai svegliata. Era morta il giorno in cui era scomparsa ad Hogwarts durante la Grande Battaglia: quello che Potter e Weasley e la Granger avevano tirato fuori dai sotterranei di Maeshowe era solo un corpo, solo un involucro, come un baccello di piselli una volta che ti eri mangiato tutto quel che c'era dentro. Non era rimasto nulla di lei, e tutte le premure di sua madre, tutte le pozioni che le facevano trangugiare e gli incantesimi e i massaggi alle gambe per tenerle forti e attive non sarebbero serviti a niente. Potter non sarebbe mai tornato dalla tomba: nessuna Profezia l'avrebbe tirato fuori di lì, adesso. Weasley non sarebbe mai tornato dalla tomba e la Granger avrebbe continuato a portare il lutto.
Quando Millicent cominciò a singhiozzare – lui pensò a quante volte l'aveva vista piangere, ogni volta che la prendevano in giro e lei era troppo debole, troppo vergognosa e umiliata e impacciata per rispondere, e così piangeva, ma questo era un genere di pianto diverso, più scuro, macchiato – e la voce della Granger prese a mormorarle gentili insensatezze, Draco si tirò indietro e chiuse la porta della stanza.
I singhiozzi si persero dall'altro lato del battente.
Era tutto così. C'era un Prima della Morte di Potter e un Dopo la Morte di Potter.
Prima della Morte di Potter niente era andato bene, c'era stato Voldemort, la guerra, le battaglie e gli scontri e le morti, e Draco aveva avuto la morte di Silente sul cuore e sulle spalle e tutto l'orrore di aver lasciato i mannari a piede libero nella scuola.
Dopo la Morte di Potter niente era andato bene, c'era stato sempre Voldemort, la guerra, le battaglie e gli scontri e le morti, e Draco adesso apriva gli occhi ricordando i giorni trascorsi a farsi passare nel branco di Greyback dall'uno all'altro come uno straccio usato, e il sangue che aveva avuto sulle mani, dopo, la bambina e la madre così giovane che era stata quasi una bambina anche lei, svegliarsi credendo di avere i morti nel letto. C'era Piton che sbavava su un cuscino e la Granger che moriva poco a poco di dolore.
Le cose erano andate male sia prima che dopo, ma finché Potter era stato vivo tutti avevano creduto che avrebbero vinto. C'era una Profezia, c'era... c'era un eroe, e Potter ricopriva il ruolo così bene, sempre pronto a buttarsi tra i piedi di Voldemort per farlo inciampare, sempre pronto a salvare gattini dagli alberi e a... e a far attraversare le vecchiette e...
E loro avevano creduto che avrebbero vinto. Per questo sapere che era morto aveva portato via così tanto: perché nessuno aveva potuto continuare a crederci, poi.
Avrebbero perso. La guerra era finita e loro avevano già perso.


- - -




“Ecco, professore, abbiamo prodotto un concentrato di radici di Mandragola. Abbiamo provato prima con il succo di limone, ma, be', sembra non fosse abbastanza acido, e così siamo passati al sangue di drago. Ne abbiamo usato tre gocce in una gelatina di manioca... abbiamo scoperto che funziona molto meglio dell'olio di semi perché, be', perché è meno liquido e si può controllare meglio quel che il sangue di drago farà. Siamo riusciti a sciogliere solo un calderone, stavolta.”
Piton non espresse il suo disgusto per la loro imbecillità in alcun modo – a meno che sbavare dal lato sinistro della bocca invece che da quello destro non fosse un arguto sistema di mostrare disapprovazione – ed Hermione gli cacciò in bocca un'altra cucchiaiata di brodo.
Draco era Dio solo sapeva dove a fare Dio solo sapeva cosa. Forse con Remus. Forse era di nuovo al piano di sopra e stava, di nuovo, cercando di scrostare l'arazzo della Casata dei Black dalla parete. Sembrava avere meno successo, lì, di quanto ne avesse avuto con il ritratto della madre di Sirius, ma continuava ad accanircisi sopra con instancabile ferocia: era convinto che un po' di Ardimonio avrebbe risolto il problema, ma si erano tutti opposti a dargli il permesso di provarci. Se Grimmauld Place fosse accidentalmente crollata, nessun posto sarebbe stato sicuro.
Lei agitò la bacchetta e i muscoli della gola di Piton si rilassarono, permettendo alla cucchiaiata di brodo di passare senza strozzarlo. Ultimamente anche le reazioni involontarie sembravano venir meno all'uomo: fargli mandare giù un bicchiere d'acqua era divenuta un'impresa, e Madama Chips stava cominciando a parlare di incantargli il cibo in forma liquida direttamente nello stomaco.
Hermione temeva il giorno in cui i polmoni dell'uomo avrebbero smesso di dilatarsi. C'erano incantesimi anche per quello, sicuro... ma, dopo, l'impressione di prendersi cura di una pianta, solo di una pianta, sarebbe diventata insostenibile.
Mise da parte la ciotola di brodo ed intrecciò le mani sulle ginocchia. Dal bordo del comodino l'ampolla scintillava, piena per metà del distillato pallido che lei e Draco avevano speso una mattinata a preparare.
“Ora, professore...” cominciò lei, pianamente: non c'era nessunissima possibilità che Piton le rispondesse, ma era sempre meglio che parlare con il niente; “... il composto è piuttosto concentrato. Se le quantità di tossine al suo interno fossero solo leggermente più alte potrebbe essere versato in una tazza e usato al posto del cianuro. Ma, vede, Draco pensa che potrebbe darle la... la scossa giusta per svegliarsi. Potrebbe suscitare la risposta della sua corteccia cerebrale. Abbiamo provato tutto il resto, professore, lei lo sa. Abbiamo provato tutto quello che era possibile provare.”
La sua voce si perse nel niente mentre i suoi occhi si fissavano su un punto qualunque della tappezzeria che aveva di fronte.
“Non so se voglio darle questa roba, professore,” bisbigliò Hermione dopo un istante di silenzio. “Io e lei non siamo mai andati particolarmente d'accordo, ma ciò non vuol dire che io desideri ucciderla. Draco dice che lei non vorrebbe trascorrere il resto della sua vita in questo stato, e forse ha ragione, ma...”
Qualcuno bussò alla porta ed Hermione si interruppe. Alzando gli occhi mentre la maniglia girava, incontrò quelli della signora Weasley nello spiraglio lasciato aperto dal battente.
“Hermione?” la chiamò la signora Weasley, gentilmente. “Forse dovresti scendere in cucina e mangiare qualcosa, cara. Tutti gli altri stanno già scendendo per la riunione.”
Gli occhi di Hermione guizzarono verso l'orologio alla parete.
“E' già ora?”
“Sì, cara.”
“Arrivo subito, signora Weasley.”
La signora Weasley rimase a fissarla in silenzio per un istante. Nei ricordi di Hermione era una signora sorridente dal viso pieno, le guance tonde, gli occhi brillanti. Nei ricordi di Hermione aveva vesti vecchie e sgargianti e maglioni di lana fatti a mano. Adesso il suo viso non era più molto pieno, e non sorrideva molto spesso. Certe volte parlava con Ginny con la stessa dolcezza che aveva usato un tempo, ma quello non confortava Hermione, le faceva solo male al cuore.
Certe volte si guardavano in faccia ed Hermione si chiedeva se non la ritenesse responsabile. Almeno un po'. Per tutto. Per tutto, ma soprattutto per Ron.
Era stata colpa di Hermione. Se Ron era morto. Se Harry era morto. Se erano ancora in guerra. Era stata colpa di Hermione, perché lei aveva creduto di essere intelligentissima e brillante, un genio, e che i suoi piani non potessero fallire; aveva creduto che con Harry al fianco non potessero sbagliare, che lei e lui e Ron avrebbero potuto attraversare anche l'inferno e tornare senza un graffio. Ginny era stata catturata perché aveva voluto seguire Harry ed Harry era morto perché Hermione era stata arrogante. Tutti e tre avevano sbagliato, ma l'errore di Hermione sembrava... sembrava più sporco, in qualche modo. Era stata tutta colpa sua.
“Sembri un po' stanca, cara,” le disse la signora Weasley.
Hermione distolse lo sguardo.
“Ho passato la mattinata in laboratorio, signora Weasley.”
“Dovresti prenderti miglior cura di te,” le disse Molly, gentilmente. “Non servirà a niente ammalarsi.”
Hermione cercò qualcosa da dire; ma, alla fine, non poté fare niente altro se non annuire. Sentì, più che vedere, la presenza della signora Weasley ancora per un attimo sulla soglia: poi la porta si richiuse, e i passi di Molly si allontanarono lungo il corridoio.
Gli occhi di Hermione scivolarono ancora una volta sull'ampolla. Esitò, mordendosi un labbro, e fece per toccarla; ma alla fine cambiò idea, ritrasse la mano e usò la manica per asciugare la saliva dalla guancia di Piton.
“Mi dispiace,” bisbigliò.
Era un bene che il professor Piton non potesse dirle niente, pensò, uscendo nel corridoio. Probabilmente non le sarebbe comunque piaciuto quel che lui avrebbe avuto da dire.

Di sotto si erano già tutti radunati. I gemelli Weasley erano arrivati con grossi panini con la carne fredda in mano, ed erano sembrati relativamente contenti di cederne uno ad Hermione. Shacklebolt sedeva in un angolo con la testa reclinata contro la parete e gli occhi socchiusi; Cho Chang, accanto lui, sonnecchiava con il capo poggiato sulle braccia e il torso sdraiato sul tavolo. Hermione sapeva che erano stati fuori per una ronda attorno al Ministero per quasi trentasei ore di fila. Draco stava costruendo un castello di stuzzicadenti e continuava ad alzare la testa e a guardare male tutti quelli che, passando, smuovevano accidentalmente il tavolo e glielo facevano crollare. Dall'altra parte del tavolo Diggory e il signor Weasley parlavano a bassa voce, la signora Weasley seduta accanto a loro, ed una delle gemelle Patil sfogliava con aria annoiata una rivista lucida.
Hermione aveva appena fatto in tempo a sedersi e ad assestare un morso al panino quando Neville entrò nella stanza. Lei cercò di ingoiare il boccone e si strozzò nel tentativo.
Neville aveva la testa bendata: la guancia sinistra, l'occhio e parte del naso erano coperti dalla fasciatura, ciocche di capelli che spuntavano tra le bende e il bordo di una crosta insanguinata che gli arrivava fin sotto la guancia destra. L'unico occhio scoperto era affondato in un livido pesto, il labbro spaccato e l'espressione spossata; aveva il colorito malsano di qualcuno che avesse perso troppo sangue tutto insieme.
La signora Weasley tirò la manica del marito; e, quando questi si girò ed inquadrò Neville, lui ed Hermione si alzarono insieme per protestare:
“Non dovresti essere qui...”
“Madama Chips ha detto che dovevi restare con gli altri e riposarti, Neville.”
Neville si lasciò cadere seduto in una sedia e scosse la testa. Hermione si piantò i pugni sui fianchi, l'espressione bellicosa.
Neville.”
“Ho il permesso di Madama Chips per essere qui,” replicò lui in tono piano. “Non potevo mancare, adesso.”
“Bullstrode non è stata ancora dimessa?” intervenne Draco inaspettatamente. “Credevo non fosse grave.”
Neville esitò.
“Madama Chips ritiene che abbia bisogno di qualche altro giorno di riposo. Bill sta molto meglio...” aggiunse lui, girandosi verso Molly ed Arthur. “La maledizione che gli hanno lanciato rendeva inutile l'Ossofast, ma Lavanda e Madama Chips pensano di aver risolto il problema.”
Il sollievo sul volto dei signori Weasley fu così palese da risultare quasi doloroso. “E Angelina...?” chiese Shacklebol, mitemente.
Neville scosse la testa.
“Hanno bisogno solo di qualche altro giorno,” ripeté. “Nient'altro.”
Hermione serrò i denti. Nessuno guardò verso di lei, nessuno guardò verso di Draco, ma lei sapeva, tutti sapevano, che Angelina si era svegliata con la bocca piena di sangue e lo stomaco pieno di carne e non era stato un cervo, questa volta, o un cinghiale, un coniglio, un gufo. L'avevano sentita urlare a due piani di distanza, prima che Madama Chips la sedasse e la portasse via con sé.
“E' andata meglio di quanto potessimo sperare,” esclamò Neville in tono brusco: e la lunga occhiata circolare che fece passare attorno al tavolo fece distogliere lo sguardo a molti di loro. “Il branco di Dolohov è disperso. La maggior parte dei mannari sono morti, e quelli che non sono morti sono stati spinti nella zona dei Centauri: non apprezzeranno affatto l'invasione. E abbiamo dato fuoco al nido delle Acromantule, io e Millicent, prima di andarcene. Se non fosse stato per lei non ne saremmo usciti fuori vivi.”
L'ultima frase di Neville sembrava rivolta direttamente a Draco: ma quest'ultimo si limitò a rivolgergli una lunga occhiata neutra e non disse niente.
“Quel che resta da fare è decidere che cosa vogliamo fare adesso.”
“Dovremmo prendere del tempo,” intervenne Arthur Weasley. “Abbiamo troppi feriti. Dopo le perdite della settimana scorsa del gruppo di Luna siamo rimasti senza Susan Bones e Ebenezer Gauntler, e Hannah Abbot si sta ancora occupando dei Baston. Molti dei nuovi sono troppo giovani per sostituirli. Faremmo meglio ad aspettare che i feriti si siano ripresi.”
“Mentre aspettiamo, anche loro si riprenderanno,” intervenne uno dei gemelli – George, forse. Hermione non era mai stata capace di riconoscerli: anche quando avevano indosso i vecchi maglioni della signora Weasley, spesso se li scambiavano e non c'era da fidarsi, così, della lettera sul petto.
“Sarebbe meglio continuare con qualche piccolo assalto qui e lì,” aggiunse l'altro. “Per tenerli occupati. Magari a Notturn Alley: Sinister è un po' troppo rilassato, ultimamente.”
Kingsley scosse la testa senza aprire gli occhi.
“Non possiamo mandare nessuno a Notturn Alley,” disse. “Ci mancano i numeri. Il problema è sempre lo stesso: siamo troppo pochi.”
“Il gruppo di Luna...”
“Luna è rimasta con sette persone. Otto, se vogliamo contare Alicia Spinnet. Seamus ne ha una trentina, ma se si spostassero dall'Irlanda per venire qui la lascerebbero scoperta. Abbiamo già reclutato tutto il reclutabile tra i rifugiati sotto alla barriera del Fidelius; quelli che sono rimasti sono troppo giovani o troppo vecchi o troppo spaventati.” La voce di Shacklebolt suonava orribilmente stanca. “Voldemort ha fatto un buon lavoro, a Londra, e diventa sempre più pericoloso cercare di convincere quelli che ci sono rimasti: credono tutti che la guerra sia finita e che l'unica possibilità di sopravvivere sia allearsi ai Mangiamorte o restarsene buoni, neutrali e tranquilli. Maeshowe l'ha reso indistruttibile, e senza una Profezia a dare fiducia alla gente...”
La voce di Kingsley si perse nel vuoto.
Rimasero tutti per un lunghissimo istante in silenzio. Poi, Neville scosse la testa. Si mise in piedi, lentamente e con evidente fatica, e appoggiò le mani alla tavola per tenersi dritto.
“Io non penso che la guerra sia finita,” esclamò in tono piano. “E non penso che l'abbiamo persa.”
Shacklebolt aprì gli occhi.
“Io non ho detto questo.”
“No. No, è vero. Ma lo pensi.”
Shacklebolt inclinò il capo da una parte.
“Forse,” ammise alla fine, mitemente. “Questo non cambia le cose, tuttavia. Non ho intenzione di andarmi a consegnare ai Mangiamorte. Non ho intenzione di arrendermi.”
Hermione sentì un lungo, lunghissimo brivido risalirle su per la schiena: era come elettrico, liquido, e se lo sentì scorrere dentro la carne e dentro le ossa. Le diede l'impressione di avere troppa poca pelle indosso, troppo stretta, tirata, e di doversi muovere per scrollarsi di dosso uno sgradevole formicolio.
Neville annuì. Stava evidentemente faticando a rimanere in piedi, ma sembrava deciso a restare lì dov'era finché fosse stato necessario.
“Faremmo meglio ad aspettare domani pomeriggio per decidere che cosa fare. Dopo il funerale. Dean si è offerto di restare di guardia a Grimmauld Place: ha bisogno di almeno due volontari che rimangano con lui... ditelo a lui, se siete disponibili. Pensateci su, intanto.” Li guardò tutti, uno ad uno, l'occhio privo di bende che scorreva attorno alla tavolata. “Potrebbe essere un'occasione per farlo sapere anche ai Mangiamorte,” esclamò alla fine, quietamente. “Che non ci arrenderemo.”


- - -




Ed era questo il punto. Che avevano perso la guerra. Che Harry era morto, tutte le Profezie infrante, tutti i desideri bruciati. Harry era morto, non c'era più speranza. Ron era morto, non c'era più gioia. Erano morti ed avevano lasciato Hermione da sola. Ed era questo il punto, ed era questo il punto: la guerra era persa, forse, e loro non si volevano arrendere.
Non ne valeva la pena di aver sofferto così tanto, pensò Hermione mentre apriva l'ampolla, per poi cedere così. Sarebbe stato come aver gettato tutti quegli anni, buttati via in una nuvola di niente, dispersi mentre cedevano e lasciavano che l'impotenza avesse la meglio. Erano sopravvissuti a Maeshowe. Avevano ucciso Bellatrix. Avevano ucciso Greyback. Avevano disperso il branco di Dolohov. Loro non stavano cedendo ed Hogwarts – Hogwarts resisteva. Hogwarts era chiusa ai Mangiamorte, chiusa al Signore Oscuro, e neanche lui era riuscito a mettere piede nell'ufficio del Preside. Se anche chi era morto da anni continuava ad opporsi, non sarebbe stata una vigliaccata cedere per chi respirava ancora?
Portò l'ampolla alla bocca semiaperta del professor Piton e gli strinse una mano con forza.
“Buona fortuna, professore,” sussurrò Hermione.

L'ampolla cominciò a svuotarsi.





Note: Approfitto dell'interessante segnalazione trovata oggi nella chat di Nocturne Alley per indirizzarvi a questo articolo di Elena Stancanelli. Mi piacerebbe sottolineare in particolar modo l'uso che fa del termine paraletteratura. Paraletteratura, è una definizione che ha ancora senso? Ne ha mai avuto?

Passando a tutt'altri temi, dierrevi ha suggerito che il titolo di questa storia fosse ispirato dall'affascinante trittico Hermione/Piton/Ginny... con Hermione nella parte del Principe Azzurro che deve decidere chi baciare tra gli altri due. L'immagine mi ha causato non pochi traumi.

Cioccolato! Fragole e cioccolato a tutti voi che vi fermate, sempre con tanta pazienza, a lasciarmi un'opinione. Mi avete dato l'energia di finire questo capitolo alle dieci meno dieci di sera... dopo una deliziosa giornata trascorsa leggendo Pascoli. Pascoli. Ugh.
  
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