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Autore: Will P    13/05/2012    4 recensioni
"Stephanie Rogers è un salvataggio inaspettato: salvataggio perché dopo la distruzione del siero era stata l’unico risultato che avrebbero mai ottenuto, inaspettato perché nessuno aveva mai creduto davvero che sarebbe sopravvissuta."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
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Disclaimer: Gli Avengers e la mia anima appartengono alla Marvel; titolo da Architects dei Rise Against.
Note: - Per il prompt Genderbender!Avengers di Carnevale delle Lande - giorno #3.
- Da questo potete intuire che è stata scritta PRIMA del film, ergo non ne tiene conto (ma è stata riletta alla luce del film ed ha subito piccole modifiche di conseguenza)
- Ulteriori note a fondo fic.



And we wanted to set the world on fire

Stephanie Rogers è un salvataggio inaspettato: salvataggio perché dopo la distruzione del siero era stata l’unico risultato che avrebbero mai ottenuto, inaspettato perché nessuno aveva mai creduto davvero che sarebbe sopravvissuta.

Il governo non aveva un minimo di fiducia nei confronti del dottor Erskine, e l’esercito non aveva la minima intenzione di buttare uno dei propri soldati in un progetto così rischioso (e quelli che l’esercito voleva cedere non erano individui che avresti voluto vedere in possesso di superpoteri), quindi erano stati tutti d’accordo a procedere con un piccolo test di prova prima di partire con la produzione di supersoldati in massa.

L’infermiera Rogers del centosettesimo reparto era soltanto convenientemente a portata di mano. Pesava dieci chili bagnata e sembrava sempre star male più dei soldati che doveva curare, ma dannazione se era cocciuta. La corporatura era giusta, gli esami positivi, il caratterino anche: non c’era motivo per rifiutarla, specialmente non dopo la sua crociata per essere scelta.

(Il vero motivo – quello che nessuno diceva ma sapevano tutti – era che non ci sarebbe stato nessuno a sentire la mancanza dell’infermiera Rogers, se l’esperimento fosse fallito. Lo sapeva anche Stephanie, ma non le importava.)

Il successo dell’esperimento è stato qualcosa cui nessuno era preparato. O meglio, Stephanie lo era, e il dottor Erskine, e nella lontana eventualità di una riuscita erano tutti d’accordo che avrebbero messo questa supermodella a fare pubblicità per la guerra o qualcosa del genere, ma veder uscire dal laboratorio questo splendore di quasi due metri al posto dell’infermiera Rogers? Nessuno era pronto davvero.

Nessuno era pronto a quello che successe dopo.

«E adesso che ce ne facciamo di Miss America?» aveva sbottato il generale alla fine, quando il fuoco era stato domato e la polvere si era posata sulle rovine del laboratorio. Stephanie non aveva battuto ciglio. Si scordavano spesso della sua presenza, avevano sempre parlato più di lei che con lei. Poi però l’uomo aveva fatto una brutta smorfia con un’occhiata imbarazzata verso di lei, e si era ricordata di esser diventata più alta di chiunque nella stanza. Sarebbe stato difficile ignorarla, ora.

«Immagino che dovremmo trovarle un lavoro,» aveva detto il colonnello Phillips con le labbra tirate, poi, direttamente a Stephanie, «che ne dice di diventare Capitano, miss Rogers?»

Il generale era scoppiato a ridere, Steph era scattata sull’attenti.

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Nel primo anniversario della sua scomparsa – le hanno detto, tirata fuori dal ghiaccio, mostrandole foto e articoli di giornale su schermi grandi come un libro, mostrandole i musei e i monumenti – l’esercito degli Stati Uniti d’America aveva aperto l’arruolamento alle donne.

Valeva tutte i fischi e le battute pesanti, tutti gli sketch e gli spettacoli e la sua faccia su ogni poster in America, aveva pensato Steph con gli occhi lucidi e la schiena dritta, ogni goccia di sudore versata era valsa la pena. Poi era stato il suo turno di scoppiare a ridere, felice, orgogliosa.

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Uno dei pensieri che la aiutava ad arrivare fino a sera nei suoi primi giorni nel nuovo millennio, tra lo stupore e l’incredulità e la nostalgia viscerale che nessun aggeggio elettronico sarebbe mai riuscito a guarire, era che forse questo secolo sarebbe stato diverso dal suo. Migliore. Più giusto.

Ogni sera andava a dormire un po’ più scoraggiata.

Poi era arrivato lo SHIELD.

C’era sempre stato, in realtà, ma nello shock del risveglio tutto quello che aveva registrato erano le luci e i suoni e la velocità e una fitta dopo l’altra di Bucky e Perry e Howard, e Nicky Fury era stata più una presenza indistinta sullo sfondo che altro. Nei primi giorni non aveva mai avuto un vero assaggio dello SHIELD.

Il suo primo incontro ufficiale era stato con l’agente Coulson, tailleur nero immacolato ed espressione gentile che non riuscivano a mascherare del tutto il fatto che avrebbe potuto stendere chiunque nel raggio di cento metri usando solo uno dei suoi tacchi, e quello era stato il punto di non ritorno.

«Benvenuta nell’unica agenzia al mondo dove nessuno fa mai battute sulle mestruazioni,» aveva detto Clare una volta, con uno dei suoi sorrisi sfrontati, e Steph era arrossita vagamente in zona collo, ma era vero. Era opinione comune che Fury avesse annientato la sindrome premestruale con la sola forza di un’occhiata particolarmente letale, e nessuno voleva essere beccato a scherzare su “quel periodo del mese” dalle donne che ne soffrivano veramente (come la dottoressa Banner).

Si era trovata bene con una semplicità che aveva del ridicolo. Clare era come lei, in un certo senso, si era aperta una strada nell’esercito a commenti scomodi e lavoro duro, e quando l’avevano cacciata per insubordinazione aveva “alzato il medio e preso arco e bagagli” e non era nemmeno uscita dalla base che aveva già ricevuto un’offerta di lavoro dallo SHIELD; era diffidente e non aveva il minimo rispetto per l’autorità e per i gusti di Steph faceva troppe battute sulla propria divisa e sul fatto che sarebbe stato più semplice tagliarsi via un seno come “ai vecchi tempi”, ma non era riuscita a reprimere l’istinto di volerle fare da sorella maggiore. Quando Clare si era proclamata sua sorella maggiore (dal tetto di un palazzo in fiamme, ridendo senza fiato via radio, perché per lei non poteva che essere quello il momento appropriato) Steph non aveva avuto il cuore di riprenderla.

Brook Banner era una persona di una dolcezza infinita, quando riuscivi a distrarla abbastanza a lungo dal suo lavoro, e Thor era… non proprio come se lo aspettava. O come il mondo se lo aspettava, in effetti. Alla sua prima apparizione pubblica i docenti di mitologia norrena di tutto il mondo erano scoppiati in lacrime ed editori in lungo e in largo avevano stappato lo spumante e messo in ristampa ogni libro, manuale, enciclopedia o fumetto su di lei cambiando il genere di tutti i pronomi e mettendo una bella foto dei suoi boccoli in copertina. Anche con Antonije («Ma puoi chiamarlo Tony!» «No.») era andata subito d’accordo, nonostante non fosse mai stata particolarmente a suo agio con i soldati e Antonije fosse francamente terrificante; ma dopotutto non era un vero soldato, non esattamente, e in un certo senso gli ricordava un po’ i ragazzi dell’Howling Commanodos, che se ne fregavano altamente di cosa avessi tra le gambe finché sapevi tenergli testa in un bar e coprirgli le spalle.

E poi c’era Natasha Stark. Prima di vederla – e c’era voluto un bel po’ prima che Fury desse l’okay al loro incontro, per motivi che Steph non capiva e nessuno voleva spiegarle, nemmeno l’agente Coulson, che si limitava a sospirare e massaggiarsi le tempie ogni volta che chiedeva – Steph era stata sommersa di informazioni su Natasha Stark dalle fonti più disparate, e non sapeva nemmeno da dove cominciare per farsi un’idea su di lei. I giornali di gossip erano pieni di “UN’ALTRA CONQUISTA PER IRON LADY” e “STARK SEDUCE GLI YANKEES, LE FOTO ESCLUSIVE” e non blateravano che delle sue avventure sentimentali e dei suoi vestiti (o della loro assenza), mentre i file dello SHIELD parlavano di mesi in una caverna dell’Afganistan, tradimenti, avvelenamento da palladio, e quella volta in cui aveva creato un nuovo elemento. E ovunque compariva del nome di Howard, menzioni en passant che non lasciavano intendere niente di chiaro ma le facevano stringere il petto ogni volta. Alla fine era così confusa che aveva semplicemente smesso di avere delle aspettative.

Natasha era comunque riuscita a lasciarla a bocca aperta. Si era presentata all’appuntamento con un’ora e venti di ritardo, in un paio di pantaloni che costavano più di tutta la sala riunioni (arredamento compreso) e una vecchia t-shirt sdrucita di una band che Steph non conosceva, occhiali da sole e ghigno strafottente al loro posto, e Steph l’aveva odiata. Natasha era tutto quello che lei non era mai stata e quello che non avrebbe mai voluto essere, sicura di sé e senza rispetto per niente e nessuno, arrogante e carismatica, e odiarla era sembrato così facile. Dopo dieci minuti Coulson era dovuta intervenire e Steph aveva capito tutte le reticenze di Fury.

La sera stessa, una volta nella sua stanza, era rimasta distesa a fissare il soffitto a chiedersi da quando le riviste patinate le avessero fatto il lavaggio del cervello. Natasha Stark non era niente di tutto quello; non era la figlia di papà che tutti amavano additare, e di Howard aveva ereditato solo la determinazione a non arrendersi di fronte a nulla; non si era fatta strada alle Stark Industries passando da un letto all’altro, le aveva costruite lei, e di sicuro non era merito solo del suo assistente se ancora non erano crollate. (In realtà era vero, le aveva confidato tempo dopo Natasha, senza Pepper sarebbero andate giù come un castello di circuiti mal saldati. Ogni tanto persino la stampa riusciva a capire qualcosa.)

Soprattutto, nessuno di quegli sputasentenze sapeva la verità sull’armatura, sul rapimento, sul reattore che la teneva in vita. La gente guardava all’attentato e vedeva solo un miracolo, “è per questo che il fronte non è un posto per donne!”, e l’armatura non era la prova tangibile dei suo genio e del suo disperato bisogno di fare qualcosa ma solo il progetto di qualcun altro, una botta di fortuna, un salvataggio inaspettato.

Dopo aver supplicato Fury per giorni aveva ottenuto il permesso per un secondo incontro. Non aveva aspettato che lo organizzassero, però, ed era andata a casa di Natasha, si era fatta accompagnare lungo i corridoi dall’educata voce femminile nei muri e aveva bussato alle lunghe vetrate del laboratorio. Quando Natasha aveva aperto, tirandosi su la maschera da saldatore con un’occhiata diffidente mentre si puliva le dita sulla tuta macchiata d’olio, Steph le aveva semplicemente teso la mano.

Le mani di Natasha, aveva scoperto, erano piene di calli e bruciature proprio come le sue.

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Il nuovo millennio non era migliore di quello passato, ma avevano tutto il tempo di cambiarlo insieme.







Note bis: Avete appena letto The Life and Throes of Stephanie Rogers ovvero Will, Your Feminism Is Showing. IDEK, doveva essere una serie di battute su chi fa battute sulle mestruazioni, ed è uscito... questo.
Per i nomi: Stephanie Rogers, Nicky Fury, Philippa Coulson, Clare Barton, Brook Banner, ovviamente Natasha Stark e di conseguenza Antonije Romanoff, Perry Carter; Thor resta Thor perché srsly, Bucky resta Bucky perchè ero indecisa se il genderbender fosse toccato anche a lui, Howard resta Howard perchè siamo sempre negli anni '40.

   
 
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