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Autore: gaia tomlinsoff    13/05/2012    1 recensioni
Camminare allevia la tensione. Che cazzo dici Jay? Tu le parli? Voi siete amiche? Mi fai schifo, insultarti sarebbe solo renderti onore e centro dei miei pensieri, fanculo. ricordo ancora cosa riuscii a sbottare prima di scappare in classe e iniziare a piangere. Sembravo forte, una di quelle che se ne frega, ci sei bene e se non ci sei ciao, ma realmente non ero così. Nessuno conosceva la vera Ester.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Life can finish for a stupid error.



Uno.
Due.
Tre.

C'ho pensato così tante volte che ormai non me ne vergogno più. Anzi è divertente immaginare come avrei potuto farlo. Capitava di scervellarmi, di pensare, di aspettare. Solitamente erano idee stupide, solitamente.

Quattro.
Cinque.
Sei.

Mi sento vuota. Stanca. Non credo sarei in grado di sopportare altro. Non più. Ci sono passata troppe volte, mi sono detta Non è colpa loro, sei tu che devi cambiare e ogni volta che lo ripetevo affondavo sempre di più.

Sette.
Otto.
Nove.

Però le loro parole si sommavano. Io facevo finta di niente ma in realtà, dentro, le contavo una ad una. Sei sempre allegra! dicevano. Quanto ti invidio! ripetevano. E io fingevo di esserne orgogliosa, fingevo che mi piacessero quelle parole, fingevo.

Dieci.
Undici.
Dodici.

Le giornate erano ormai monotone. La compagnia non cambiava le situazioni come un tempo riusciva, anche se malamente, a fare. Ogni situazione mi trafiggeva come un coltello può fare con il pane, come la spina di una rosa può fare con chi non sta attento. Ora come ora più niente era come prima.

Tredici.
Quattordici.
Quindici.

Camminare, un tempo, mi faceva rilassare. Adesso aveva più o meno lo stesso effetto sebbene non lo facessi per piacere. Pensandoci non era una bella cosa da dire o semplicemente idealizzare ma, si sa, c'è sempre una prima volta, e in questo caso anche un'ultima.

Sedici.
Diciassette.
Diciotto.

Una volta mi ero innamorata. In realtà non sapevo se fosse vero amore, una cotta, una minchiata. Sapevo solamente che mi piaceva. Era una lei. Io ero una lei. Noi saremmo state due ragazze. Nessuno lo sapeva e nessuno l'avrebbe saputo.

Diciannove.
Venti.
Ventuno.

Qualcuno l'aveva scoperto per caso. Qualcun'altro era riuscito a saperlo direttamente da me. Mi domandavo ancora come avevo fatto a dirlo ad alta voce. Come ero riuscita a non sotterrarmi prima di aver mosso appena le labbra. Mi vergogno.

Ventidue.
Ventitre.
Ventiquattro.

Sono una persona dal carattere un po' strano. Potrei definirmi la ragazza un po' difficile da capire, quella chiusa, che non fa amicizia troppo facilmente.. quella strana, insomma. Ma questo era solo un lato di me. L'altro era empatico, socievole, un po' più semplice da intendere. A volte, queste due parti, si mischiavano, creando un vortice in mente incomprensibile anche a Freud.

Venticinque.
Ventisei.
Ventisette.

Devo dirti una cosa.. le ripetevo ogni volta. Cazzo Ester, parla! così lei si infuriava perché io non riusco a raccontarle la verità. E' la mia migliore amica Meredith, è la mia Lei, quella a cui non riuscivo a staccarmi nemmeno per qualche giorno.

Ventotto.
Ventinove.
Trenta.

Nessuno avrebbe sentito la mia mancanza. Nessuno avrebbe pianto. Non ci sarebbe stato nessuno. No, non era vero. Le persone c'erano, sono io che mi mettevo quell'idea in testa. Pensavo sempre il contrario, volevo fingere, amavo fingere. Sono strana, lo so.

Trentuno.
Trentadue.
Trentatre.

I passi sono lenti e i pensieri sempre più contorti. Mi chiedo perché non ci abbia mai pensato prima. Perché solamente ora avessi preso coraggio. Infondo bastava molto poco, solo un piccolo briciolo di umiltà e coraggio.

Trentaquattro.
Trentacinque.
Trentasei.

Perché Johanna all'apparenza mi sembrava una ragazza semplice, di quelle brave, di quelle da imitare? Era stato semplice pensare a lei come qualcuno che rimane per tutta la vita. Forse è vero, sono un po' melodrammatica, ma provate voi a stare qualcuno con tutto il giorno, sempre, a confidarvi, a credere fermamente nella vostra amicizia, e fare poi finire tutto. Provate.

Trentasette.
Trentotto.
Trentanove.

L'ho semplicemente sentita parlare con qualcuno che era un po' considerato come il nemico. Qualcuno da cui ci eravamo ripromesse di non farci trascinare. Ester non sa distinguere una mela buona da un marcia, è troppo stupida! la sentii dire al nemico. Pensai stesse scherzando, che le mie orecchie avevano bevuto, invece rimanendo lì ad ascoltarle le parole di Jay si erano solamente fatte le une sulle altre. Dio, quanto è ingenua. l'aveva sentita continuare.

Quaranta.
Quarantuno.
Quarantadue.

Camminare allevia la tensione. Che cazzo dici Jay? Tu le parli? Voi siete amiche? Mi fai schifo, insultarti sarebbe solo renderti onore e centro dei miei pensieri, fanculo ricordo ancora cosa riuscii a sbottare prima di scappare in classe e iniziare a piangere. Sembravo forte, una di quelle che se ne frega, ci sei bene e se non ci sei ciao, ma realmente non ero così. Nessuno conosceva la vera Ester.

Quarantatre.
Quarantaquattro.
Quarantacinque.

Nessuno si preoccupava veramente di me. Le ragazze c'erano ma io non mi fidavo di nessuno di loro. Solamente Mark sapeva. Solamente Mark avrebbe pianto. Solamente Mark mi conosceva. Non sono mai stata troppo facile o ingenua, come le diceva, ma lui mi coglieva sempre, in ogni mia sfumatura.

Quarantasei.
Quarantesette.
Quarantotto.

Sono all'ultima rampa di scale. E' buio intorno a me. Spesso ne ho paura ma in quel momento chiunque avrebbe potuto pure prendermi, non me ne sarebbe fottuto molto né avrei avuto paura. Ero pronta, per ogni cosa bella o brutta che al mondo esiste.

Quarantanove.
Cinquanta.
Cinquantuno.

Johanna. Meredith. Mark. Solo nomi con dei volti diversi. Solo persone con ambizioni differenti. Solo amici che credevo tali o qualcosa di simile. L'avverbio solo mi fa un po' troppa compagnia ultimamente.

Cinquantadue.
Cinquantatre.
Cinquantaquattro.

Pochi secondi e tutto sparirà. Poco tempo e le preoccupazioni finiranno. Squarciarmi il braccio con un po' di vetro era divertente, riusciva a farmi tranquillizzare e calmare per un paio di minuti sufficenti a evitare qualcosa di più grave. Tutti vedevano le cicatrici. Nessuno osava domandare da cosa erano causate. Sono caduta, sono goffa, lo so era la scusa più comune per chi osava impicciarsi.

Cinquantacinque.
Cinquantasei.
Cinquantasette.

Ho scritto delle lettere. Le ho spedite in tempo. Già sapevo che dovevo fare da un paio di giorni. Era stato semplice mettere su carta le parole che mi riempivano la mente e lasciare qualche piccola goccia di un liquido rossastro su di esse. Meredith te lo dico ora. Sono una senza palle, lo so. Sei l'unico punto di colore nella mia scala di grigi. Mai nessuno aveva osato rompermi in due così come senza saperlo hai fatto tu. Non c'è stato mai nessuno come te ed è stato solo un bene. Io sono solo di passaggio, tu sei forte abbastanza. Dio, ti amo Mer. poche parole che riassumevano ciò che sentivo.
Mark non ti ho mai chiamato con nessun nomignolo ma sappi che ti penso sempre. Sei stato l'unico amico che ho avuto. Nessuno conosce Ester come tu puoi. Nessuno. Ti dico solamente grazie per essermi riuscito a portare avanti fino ad ora, grazie per darmi la forza di scriverti. Ti voglio un bene che mai nessuno riuscirà a darti. Ti voglio bene, migliore amico. ci sarebbero voluti fogli e fogli, dei raccoglitori per scrivere ogni singola cosa, ma sarebbe stato fin troppo difficile.

Cinquantotto.

La porta è davanti a me. La apro. Al di fuori c'è una scala che scende per il garage, sotto di questa c'è il vuoto di circa venti metri. Ho sempre voluto sapere cosa si prova a volare, a sentirsi l'aria fra le mani e i capelli.

Cinquantanove.

Fisso ancora un po' ciò che mi circonda. Le pareti, la casa, gli alberi, gli uccellini, gli amici, le conoscenze, gli occhi: tutto cambierà. Niente mi mancherà. Sarò finalmente felice.

Sessanta.

Sto volando. L'aria mi scombina i capelli accuratamente piastrati la mattina prima. La maglietta con la bandiera Inglese svolazza un po' sotto a causa della pressione. Il mio viso è sorridente, libero. Guardo in basso e i volti delle tre persone della mia vita sono visibili e ridono, contente per me. Io sono felice, so che finalmente non dovrò più preoccuparmi di nulla e volo, volo molto velocemente.

Sessantuno.

Mi sono sempre chiesta cosa ci sia dopo la morte. Se è tutto nero, tutto bianco, si continua a vivere nel mondo terreno, se ci si rincarna. Sono atea, so che c'è qualcosa ma non cosa. A nessun mortale è dato saperlo e nessun mortale lo saprà finché non lo proverà.

- Meredith, ti amo. Johanna, sei una stronza. Mark, grazie per avermi dato la vita. - Le ultime parole di una povera ragazza troppo stanca di sopportare. Le sentì un'inquilina del palazzo, affacciata a fumare una sigaretta. Una stupide testimone servita solamente a verificare il suicidio.







Grazie ai lettori clandestini. Grazie a chi recensisce.
Un piccolo sfogo nato da uno sclero personale, nulla di che.
gaia xx
  
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