Ci sono ragazzi che non sono in pace
con loro stessi e che hanno sempre bisogno di cambiare, di trovarsi in
un’avventura. Così, anche se sono felicemente fidanzati da un anno e forse più,
sentono il bisogno smodato di fare una scappatella ogni tanto. E ce ne sono
altri che magari si innamorano dei suddetti ragazzi, essendo però loro diversi
in tutto e per tutto. Ragazzi che trovano un partner e gli restano fedele per
tutta la vita, che pensano soltanto a lui anche quando il tempo e la paura di
morire sembrano incombenze sempre più vicine.
Marco poteva appartenere a quest’ultima
categoria, tanto che da quando iniziò a conoscere Martin, sembrò dimenticarsi
un po’ del suo amico Manuel. Complice anche il ragazzino, che richiedeva quasi
sempre la sua presenza, Marco passò due bei mesetti senza sentire Manuel. Sì,
ogni tanto gli veniva lo scrupolo di andare a controllare se il ragazzo
l’avesse chiamato o gli avesse mandato un messaggio, ma poi immancabilmente
trovava un messaggio di Martin che gli scriveva cose dolci, o una sua chiamata
non risposta. Così, giocoforza il povero Marco non riusciva mai a prendersi un
minuto per sé e per il suo buon amico Manuel.
E
l’ho anche portato a Belluno… stava
pensando Manuel, mentre riordinava le richieste di mutuo da evadere… proprio un bell’amico, non c’è che dire. Immerso
nel lavoro e nei pensieri, fu interrotto dallo squillo del cellulare. Lo prese
in mano, sperando che fosse Marco. Invece Marco non era. Era Simone. Aprì il
cellulare, sbuffando leggermente.
- Pronto – rispose, mezzo seccato.
- Ciao amore – disse Simone – Come va?
Cosa fai? –
- Andare va così così, grazie. Stavo
lavorando. –
- Ma povero amore… Che ne dici se vengo
a prenderti, dopo? –
- Grazie, ho la mia macchina. –
- Ma non ti va proprio? –
- Sono due mesi che me lo chiedi,
Simone… non mi va, per venire al lavoro uso la mia auto… E poi non mi sembra di
averti dato il permesso di chiamarmi “amore” –
Silenzio dall’altra parte del telefono.
Si sentì un sospiro.
- Non puoi darmi una possibilità? –
domandò Simone. Manuel si toccò la fronte e chiuse gli occhi, esasperato. I
piccolini sapevano anche essere insistenti, quando volevano.
- Posso fare finta di essere un
vecchio. Mi sono fatto crescere la barba, per te! - Esclamò Simone, con una
punta di disperazione nella voce.
- Non… non è quello, Simone… cerca di
capire… - annaspò Manuel.
Ancora silenzio per cinque minuti.
- Pronto? Simone? –
Dopo un altro attimo di silenzio, in
cui Manuel stava per chiudere, Simone rispose – Sono qui. Allora, fatti trovare
fuori dal lavoro. Sarà una sorpresa. –
Manuel digrignò leggermente i denti.
Possibile che quel ragazzino non voleva capirlo che non gl’interessava???
- Simone, non… -
- Alle sei in punto. Non mancare, ti
prego. Se manchi, mi taglierò le vene. –
Per un attimo Manuel fece per dirgli Fai pure, chi se ne frega, ma
inspiegabilmente le parole gli morirono in bocca, memore della sua esperienza
personale.
- E’ un ricatto? – domando Manuel.
- Sì. – rispose Simone, festante.
Massaggiandosi la tempia, Manuel
rispose sospirando – Va bene. Ci sarò. Ora lasciami lavorare, per favore. –
- Ci vediamo, bel culetto. – rispose
Simone, chiudendo la chiamata.
- Ma vaffanculo – rispose di rimando
Manuel, anche se ormai Simone aveva attaccato.
*****
All’uscita da lavoro, Manuel si guardò
intorno. La solita ambientazione, il solito viale alberato e auto che
passavano; nulla di ordinario. Mentre aspettava Simone, passeggiava
nervosamente avanti e indietro, chiedendosi perché non gli avesse detto un
secco “no”.
Quando furono passati venti minuti
senza che Simone arrivasse, decise che era giunta l’ora di telare e si avviò
verso il parcheggio della Banca, dov’era custodita la sua macchina. Proprio nel
momento in cui si girò, vide un’auto, una vecchissima Fiat 131 dell’80, di
colore marrone chiaro. Sgranò gli occhi a quella visione, soprattutto vedendo
chi la stava guidando.
- Simone?!? –
Il ragazzo fermò l’auto proprio accanto
a lui, e scese. Portava un completo grigio e una cravatta, unite ad un paio di
scarpe classiche di pelle. Gli andò vicino e gli sorrise.
- Allora? – esordì – Sono abbastanza
“stagionato” per te? –
Manuel si portò una mano alla fronte e
si fece una risatina. – Non ho parole – disse soltanto, scuotendo la testa. –
Ma dove l’hai preso questo dinosauro? – chiese, riferendosi alla vecchia auto.
- Me l’ha prestata mio zio. – disse,
radioso – Allora, ci vieni a cena con me? –
Sospirando, Manuel annuì. E fu allora
che Simone sorrise ancora, aprendo lo sportello del posto passeggero per farlo
accomodare.
- Signore… Anzi… Signorino. Prego. –
- Che matto sei – disse Manuel entrando
nell’auto.
- Chiunque diventerebbe matto, per
farti contento – rispose Simone mentre chiudeva lo sportello.
Tornato in auto, si mise comodo e si
sistemò la cravatta.
- Ti porto in un posto fantastico –
disse.
- Dove? –
- E’ una sorpresa. – disse solo,
riaccendendo il motore e partendo. Non che Manuel fosse entusiasta all’idea, ma
solo perché quel ragazzino si era degnato di vestirsi bene e addirittura
prendere un’auto d’epoca per fargli colpo… Almeno una chance, per quanto
piccola, se la meritava.
*****
Giunsero nei pressi di Asti, in uno di
quei paeselli arroccati sulle verdi colline piemontesi. Posti che Manuel
conosceva abbastanza bene, e che credeva di aver dimenticato.
- Dove mi stai portando? – domandò
Manuel, guardando fuori dal finestrino.
- Te l’ho detto, è una sorpresa. –
rispose Simone.
Poco dopo l’auto si fermò di fronte a
un ristorante con veranda esterna che si affacciava sulle colline astigiane.
- Siamo arrivati – dichiarò Simone
spegnendo il veicolo.
*****
Non c’era nulla che non andasse in
quella cenetta romantica a lume di candela, tranne forse il fatto che Manuel
non si sentiva a suo agio. Simone era lì davanti a lui, che gli parlava di
musica e arte, ma lui lo ascoltava poco e parlava anche di meno. Eppure Simone
non sembrava disturbato da tale comportamento. Sorrideva continuamente, e
parlava… Mentre Manuel malediceva quel giorno in cui gli era venuto in mente di
andare da lui.
Thomas,
accidenti a te! Se non mi avessi detto che ero un fossile, a quest’ora… Già, dove sarebbe stato, a quell’ora?
Forse a casa sua a dormire, o a parlare con Marco…? Non lo sapeva. Di sicuro
non con chi avrebbe voluto essere.
- Manuel, mi stavi ascoltando? – lo
rimbeccò Simone, da un angolo lontanissimo del pianeta.
- Eh? – rispose Manuel, trasognato
- Non mi stavi ascoltando… - Simone
assunse un’espressione triste, tipica di quelli della sua età. Dio quando
odiava i ragazzini.
- No, scusa… è che… stavo pensando… Ma
come hai trovato questo bel posto? –
- Lo conoscevo già – rispose Simone –
ci ho portato un ragazzo, tempo fa… -
- Ah, capisco… - se solo Simone avesse
immaginato dove Adelmo portava Manuel durante le loro serate romantiche,
sarebbe impallidito.
Concerti di musica classica, opere,
ristoranti raffinati… Ogni volta che entravano, Adelmo con i suoi settant’anni
e Manuel di cinquant’anni più giovane, tutti si giravano a guardarli.
Ovviamente non c’erano effusioni in pubblico – Adelmo non avrebbe potuto, data
la sua immagine pubblica – però c’era ugualmente un’atmosfera di complicità che
legava Manuel all’anziano Adelmo… una complicità che sembrava essere svanita
quando Adelmo l’aveva lasciato.
Nulla a che vedere con ciò che stava
provando adesso. Noia, soltanto noia. E imbarazzo.
- Manuel? – chiamò Simone.
- Dimmi. –
- Forse ti faccio una domanda
indiscreta, ma… Perché ti piacciono i ragazzi più grandi? –
Tombola. Una domanda che gli avevano
posto in molti, da un po’ di tempo a quella parte. Una domanda che francamente
avrebbe evitato di porsi, e per la quale non aveva una risposta ben precisa.
- Non so – rispose Manuel – A te perché
piacciono quelli più grandi, come me? –
- A me non piacciono i vecchi
rinsecchiti – rispose Simon – Tu sei più grande di me, ma hai un bel fisico,
sei tonico, atletico… e molto intelligente. – Manuel gli avrebbe sbattuto il
candelabro in testa se non avesse aggiunto che era intelligente.
- Nient’altro? – domandò Manuel. I suoi
occhi azzurri e penetranti scrutavano attentamente Simone, che si sentiva osservato
con malocchio dal suo ospite, come un alunno colpevole di non aver studiato che
viene interrogato dal professore. Nell’espressione di disagio di Simone, Manuel
poteva chiaramente vedere tutta la fatica che stava facendo il ragazzo nel
cercare di rendersi interessante. Questi giovani… proprio non riuscivano a
pensare altro che alla bellezza. Sospirando, Manuel si ricompose, smettendo di
guardarlo. Simone tirò un sospiro di sollievo, ma sapeva allo stesso tempo di
non aver fatto una bella impressione.
- Scusa – disse Manuel – Sono un po’
duro con voi giovani. –
- Non importa – rispose Simone –
Capita. –
Tutto sommato, la cena andò bene.
Continuarono a parlare (anche se parlava di più Simone), e verso una certa ora
si avviarono a casa. Una volta arrivati, Manuel esitò prima di scendere
dall’auto, e guardò Simone. Questi era lì al posto di guida che lo guardava
imbarazzato, lanciandogli occhiate di tanto in tanto. Il dolce Simone sapeva di
avere nella sua auto un ragazzo prezioso, figo e ricco, ma inspiegabilmente si
sentiva oppresso da qualcosa. Manuel continuò a guardarlo, e questa volta lo
sguardo di Simone si posò sul suo viso. Egli sembrava spaventato, incapace di
proferire parola. Gli occhi di cristallo di Manuel non si muovevano, al contrario
di quelli di Simone che guardavano da tutte le parti. Quante parole inespresse
che aveva in testa il ragazzo!
Chissà
che cos’ha… Pensò
Manuel, chiedendosi come mai non fosse già sceso da quell’auto e da quel
ragazzino rompiscatole. Per educazione, forse, o forse perché voleva vedere
dove Simone andava a parare.
In un secondo, ebbe la risposta. Simone
si avvicinò a lui e cercò di acchiappargli la nuca con la mano destra. Le sue
labbra cercarono quelle di Manuel, che chiuse gli occhi e si abbandonò ad un
sospiro di sconfitta poco prima che le labbra del ragazzo si incontrassero con
le sue. Simone lo baciò dolcemente, con passione, ma Manuel era come un
manichino nelle sue mani. Non si mosse né si scompose di una virgola. Teneva
solo gli occhi chiusi, come si fa di solito quando si sale su una giostra che
fa troppo paura, aspettando che il momento passasse. Le mani di Simone si
spostarono dalla sua nuca alla schiena, scendendo lentamente, ma Manuel rimase
lì, fermo immobile. A quel punto Simone si staccò, aprendo gli occhi. I suoi
occhi incontrarono quelli di cristallo di Manuel, che lo guardava con
espressione neutra.
- Manuel – disse Simone, carezzandogli
la guancia – Che c’è? Non … non ti piaccio? –
Per tutta risposta, Manuel si limitò a
sospirare e a guardare Simone con lo stesso sguardo che userebbe un medico per
comunicare una malattia mortale ad un paziente. Preoccupato e desolato. A quel
punto, Simone si allontanò lentamente e rimise le mani sul volante. Restò a
guardare fuori dal parabrezza per minuti interminabili, e Manuel si aspettò di
dover arginare una piena di lacrime, quando le sue aspettative furono
brillantemente deluse dalla voce di Simone.
- Beh… Allora … Ciao. – disse Simone,
sfoderando un sorriso che tradiva insicurezza.
- Ciao. Grazie per la bella serata,
anche se improvvisata. – si limitò a rispondergli Manuel.
- Ci… ci vediamo. –
- Certo. Ciao Simone. Grazie. – disse
Manuel, e aperto lo sportello dell’auto, scese, e si avviò verso il portone di
casa sua. Una volta dentro l’androne, vide che l’auto di Simone era ancora
ferma lì. Pensò di spiare dai vetri del portone (tanto da fuori Simone non
avrebbe visto granché): il ragazzo era lì che si stava togliendo la cravatta e
tirava fuori dei fazzoletti di carta per asciugarsi il viso. Stava piangendo a
dirotto, chissà per quale motivo. Rimase lì ancora per qualche minuto, finché
non rimise in moto e partì lentamente. A quel punto Manuel si appoggiò alla
balaustra della portineria, dove la signora Concetta Striani, la gentile
portinaia salentina del palazzo, aveva posato i nuovi elenchi telefonici.
Sospirò ampiamente, portandosi le mani alle tempie, cercando di elaborare un
pensiero coerente.
Mi
dispiace, Simone…
pensò Manuel …Ma non saresti mai felice
con me. Come io non lo sarei con te.
E si avviò verso le scale.