~ All curses can be broken.
Sembra
un giorno come tanti, a Storybrooke. C’è
gente che esce di casa e va a lavorare, gente per strada che si chiede cosa
preparare per cena, gente che rientra preoccupata perché un bambino
è in ospedale e la sua vita è appesa a un filo. Gente che parte,
gente che ride, gente che vive.
Ma oggi non è un giorno come tanti, a Storybrooke, perché oggi finalmente succede qualcosa.
Non lo si vede, non lo si sente, lo si
percepisce appena. Nasce come una sensazione – un’onda
inconsistente che investe l’anima, toglie il fiato per un attimo, stringe
lo stomaco, e prima che qualcuno possa rendersene conto disperde la nebbia.
Ventotto
anni di nebbia.
E la gente si ferma.
Si fermano tutti, ciascuno è immobile al
suo posto, bloccato in un gesto o uno sguardo o una frase che non hanno
più importanza. Niente ha più importanza, se non quella strana onda
e i ricordi che si è portata dietro.
Ricordano. Ricordano tutto.
E si guardano, si sorridono, alcuni piangono, ma
nessuno dice niente perché parlare non esprimerebbe nulla. Bastano gli
occhi, i sorrisi, le lacrime.
Ventotto anni di bugie contro un istante di
verità.
C’è un
vecchio, fuori da una falegnameria, che di colpo alza lo sguardo verso il lato
opposto della strada. I suoi occhi incontrano quelli di un uomo dai capelli
rossi e radi, che si sistema gli occhiali sul naso come per assicurarsi che
ciò che vede non sia
un’illusione, e lo ricambia di un sorriso incredulo. E poi in quella
condivisione arriva una comprensione e il vecchio scatta, corre verso una
locanda, verso il suo ricordo più
prezioso, sperando non sia troppo tardi. Perché, se non lo è,
ora c’è tutto il tempo del mondo per ricominciare daccapo.
C’è una
giovane coppia seduta su un letto in una stanza che sa di matrimonio. Lei ha
una bambina tra le braccia, una bella bambina che non può avere
più di pochi mesi, e fino a un minuto fa non aveva occhi che per lei, ma
adesso è lui che guarda. E lui non riesce a distogliere lo sguardo da
loro, le sue ragazze, e non smette di pensare quanto tempo ci è voluto perché le cose diventassero
così perfette. Non si toccano neppure, perché ciò che
provano è al di là della forza di un abbraccio. Sono a casa.
Ci sono una ragazza e
sua nonna fuori da una caffetteria. Si guardano. La giovane ride tra le
lacrime, quando la nonna le sfiora le ciocche di capelli tinte di rosso e
– per la prima volta da che
entrambe ricordino – le tremano le mani. E poi si abbracciano forte
perché lo sanno, sanno quanti dolori hanno dovuto attraversare, sanno
quante diverse maledizioni hanno vissuto sulla propria pelle, ma sanno di
essere ancora insieme e questa è la più buona delle magie.
C’è una suora
piccola e goffa che è appena inciampata nel marciapiede e si è
ritrovata al sicuro nella stretta forte di un tipo che tutti dicono sia
pericoloso; ma lei non ne ha paura, e non ne avrebbe neppure se non lo ricordasse. Ma è così bello alzare
lo sguardo verso il suo e scoprire che è di nuovo come allora, che
in qualche modo i sogni sono
tornati e con essi tutto il resto.
Ci sono due ragazzi
seduti in un’officina, che guardano il padre lavorare. Non si sorprendono
quando vedono che gli attrezzi gli sfuggono di mano, non dicono nulla di fronte
al suo volto macchiato d’olio che emerge da un motore con uno sguardo
sconvolto. Si limitano a corrergli incontro, consapevoli che ce l’hanno fatta, l’hanno
trovato, l’hanno trovato davvero.
C’è un
professore che è in visita a una donna in ospedale, una persona di cui
per qualche ragione è stato lui a notare la scomparsa. Ora la conoscono
entrambi, quella ragione. E lei si solleva a sedere, incurante dei fili e delle
macchine che cercano di tenerli – ancora
– lontani, e gli stringe le mani, e l’uomo piange, ride, felice di
essere stato lui a salvarla, questa volta, ancora
una volta.
C’è una
bambina in bici che ricorda un padre che non sapeva di avere.
C’è un uomo
solo, chiuso in una cella, che scoppia in una risata amara al constatare che non
è cambiato niente.
C’è una
giovane donna in un bosco, che segue qualcuno la cui gamba storpia sembra
miracolosamente guarita. Lui le dà le spalle soltanto perché
è troppo grande la gioia di rivederla con sé, e adesso lei lo capisce: ricorda chi
è stato, ricorda chi è. Lo chiama per nome. Lo vede fermarsi.
Quando si guardano, si sfiorano e si ritrovano, tutto il tempo passato si
annulla.
Ci sono due persone che
si sono appena trovate per l’ennesima volta, nell’ennesimo mondo,
ed è l’ennesimo inizio.
E c’è un bambino disteso in un letto che apre
gli occhi e dice a sua madre che le vuole bene.
Sembrava un giorno come tanti, a Storybrooke, e invece è cambiato tutto.
Nessuno può sapere cosa succederà,
nessuno ha tempo per fantasticare sul futuro: questo momento è tutto
ciò che conta. Sanno chi sono.
Ventotto anni di oblio contro un istante di pura
speranza.
Spazio dell’autrice
MEGASPOILER
1x22 (season finale).
...
Credevo che in queste note avrei finalmente potuto esprimere ciò che ho
provato guardando questo episodio. Quanto ho gioito, quanto ho pianto, quanto
mi sono sentita lì, a Storybrooke, insieme a tutti loro.
Ma
la verità è che sono rimasta senza parole. Dico davvero.
Spero
apprezziate questo minuscolo tentativo di omaggio.
Aya ~