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Autore: Bibi94    14/05/2012    0 recensioni
Possono due intoccabili realtà come i personaggi in questione avvicinarsi casualmente per poi arrivare a capire le somiglianze intrinseche nella loro natura? Un incontro improvviso, al momento giusto, nel posto sbagliato, offrirà al protagonista l'occasione per comprendere il gioco delle differenze: perché nessuno di noi è mai troppo lontano dagli altri. Nessuno di noi, forse, è così irraggiungibile da apparire un gabbiano agli occhi del gatto...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Hola, ragazzi!! Premetto che questa "storia" (se può essere chiamata così...) è stata destinata, fin da subito, a diverse peripezie: cominciato l'inizio, dicisi di abbandonarla per lo scandente "filo di Arianna" che avevo in mente. Poi, in un tranquillo pomeriggio, mi convinsi a riprendere in mano ciò che avevo scritto, aggiungendo una conclusione un po', come dire, strana... Spero che la comprendiate, ma accetterò ogni tipo di recensione!! ^^ Commentate, por favor! ^^)

Quella mattina, i passeggieri osservavano una strana novità.
Non era il Sole che, dopo tanto tempo, tornava a illuminare la campagna innevata con i suoi deboli raggi invernali. Non era neanche il volto nuovo e sconosciuto dell’autista, che, per la prima volta, guidava il vecchio autobus di periferia. No, quella mattina, gli occhi continuavano a posarsi su di lei. Tutti ne conoscevano il nome e, soprattutto, la provenienza. Eppure, nessuno avrebbe potuto descrivere la sua voce.                                                                                                                                                                        Indifesa, nascosta nel suo bianco e invernale cappotto, salì di malavoglia. Lo sguardo stanco, forse stizzito, era spesso rivolto verso il basso: quando lo alzava, si limitava a spiare la gente intorno a lei, come se fosse alla ricerca di qualcosa, o di qualcuno.
Non era bella, ma possedeva quegli elementi che la rendevano comunque carina, sicura di sé. Qualcuno avrebbe osato parlare di vanità, pronunciare parole che, talvolta, nascono dalla gelosia, unita a un briciolo di curiosità. Eppure, osservandola, ammirandola, non notavo che il semplice distacco nato dalla certezza di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Incantato dai suoi grandi occhi marroni, intenti a cercare uno spiraglio nel vetro appannato, immaginavo la sua vita, il perché di quella presenza improvvisa. Lei, che aveva avuto ogni cosa fin dall’infanzia. Lei, che non doveva chiedere nulla, circondata da gente pronta a leggere i suoi pensieri. Come mai, quella mattina, era salita, si era mischiata alle persone di tutti i giorni, apparendo al mio sguardo più vicina di quanto non lo fosse stata mai? Fin dall’infanzia, rimaneva distante, avvolta dall’amore della propria famiglia, ricca e superiore a ogni realtà: una gabbianella che sfreccia nel cielo, prendendosi gioco del gatto che la attende dal basso. Ma, quella mattina, no. C’era qualcosa di diverso in lei e la sua sicurezza non la rendeva più forte di un pettirosso nascosto nel caldo maglione di lana. Bastarono questi dettagli a convincermi della mia superiorità, rendendomi orgoglioso di una vittoria effimera, che nasceva dalla provinciale soddisfazione. Eppure, quando i suoi occhi incrociarono il mio sguardo, capii che la vicinanza non faceva rima con diversità. Forse, eravamo più simili di quanto gli altri avrebbero potuto affermare e il gioco di sguardi che, da quel momento, mettemmo in atto dimostrò questa strana teoria. Per la prima volta, mi sentivo accanto a lei; una vicinanza tale da toccarci le mani, accarezzarci i volti stremati dal freddo. Mai avevo provato un sentimento di quel genere, così forte da spingermi a superare le persone che mi circondavano. Sognavo di trovarmi da solo con lei, per ascoltare la sua voce e il racconto di una storia ancora nascosta. E lo scambio di sguardi non poteva che rafforzare la convinzione di questo desiderio, sognato da entrambi.
Poi, la frenata improvvisa mi riportò alla realtà. Il movimento generale interruppe quel momento diverso dagli altri. Mi voltai, notai le persone scendere, velocemente così come erano salite: una vecchietta col bastone, implorante spazio per passare, una donna con in mano un cellulare, intenta ad attendere una risposta che, forse, non sarebbe mai arrivata, uno studente distratto, chino sulla schiena a causa del peso esercitato dallo zaino.
Poi, lei. Si era fatta largo tra la folla, lo sguardo puntato in basso. Tutti la guardavano, nessuno la sfiorava. All’aria aperta e gelida, notai i suoi biondi capelli svolazzanti, accarezzati dal vento, l’unica forza in grado di ascoltarla. Era troppo tardi per raggiungerla, pronunciarle parole segrete.
D’altronde, quando alzi gli occhi al cielo, e ammiri la gabbianella che, lassù, disegna i colori della libertà, puoi solo osservare i suoi movimenti soffici e radiosi. Non potrai raggiungerla, né volare con lei: il suo universo rimane una realtà incontrollata, irraggiungibile, intrinseca nei sogni più semplici dell’uomo.
La osservi mentre va via, consapevole di non conoscere la meta del viaggio.
L’autobus ripartì. E io osservai la mia gabbianella, fino a quando il suo candore si mischiò al confuso orizzonte, persa nella neve invernale, libera nei miei ricordi lontani.

  
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