E'
la prima volta che scrivo su
Sherlock, quindi accetterò critiche nel caso crediate sia
necessario.
Ringrazio
con affetto Charme
per i suoi preziosissimi e utilissimi consigli.
E
grazie a sir Arthur Conan Doyle per aver creato Sherlock Holmes.
PALLOTTOLA VAGANTE
5:36
A.M.
All'inizio
aveva pensato, e sperato, che si trattasse di un sogno. Note lunghe e
soavi, una melodia triste, il rumore di fogli spostati in fretta.
Passi che si allontanavano e si avvicinavano.
Aprì
gli occhi.
Di
nuovo'
si ritrovò a mugugnare.
Il
primo pensiero della giornata, niente affatto positivo.
John
Watson spostò le lenzuola, e si mise a sedere,
stropicciandosi gli
occhi. Fuori sembrava essere ancora buio. Sospirò, alzandosi
dal
letto e raggiungendo il salotto.
Si
fermò proprio all'ingresso, appoggiandosi con una spalla
alla porta
semiaperta e incrociando le braccia.
"Sherlock...
non sono neanche le sei del mattino..." disse semplicemente,
guardando l'altro.
Sherlock
Holmes indossava la sua vestaglia scura e volteggiava
spensieratamente di qua e di là suonando il violino. Non
disse
nulla, e continuò a suonare.
"Sai,
non è per me..." continuò John. 'Ormai
ci sono abituato... più o meno...'
"E'
per la signora Hudson, per i vicini..."
'Ma
che dico, ormai saranno abituati anche loro!'
Sherlock
scrisse qualcosa su un foglio, e poi lo fece volare a terra.
Tornò
immediatamente a suonare. Di nuovo quella malinconica melodia grazie
alla quale John si era svegliato.
'Ok,
forse saranno tutti abituati, ma questo non vuol dire che lo
sopportino...
Attraversò
la stanza e andò a sedersi di fronte al tavolino al centro,
accendendo il computer.
"Buongiorno
anche a te." fece finalmente l'altro.
John
aprì la bocca in un sorriso incerto.
'Dio
solo sa come riesco a sopportarlo!'
Aprì
il suo blog e cominciò a scrivere un nuovo articolo.
'Sherlock
si annoia... di nuovo...'
"Da
quanto tempo non dormi, John?" gli chiese improvvisamente
l'amico, mettendo da parte l'archetto.
"C...
cosa?"
"Hai
attraversato la stanza in sette secondi, normalmente, anche quando ti
svegli molto presto e assonnato ce ne metti quattro, hai un' andatura
pesante e trascini i piedi. Hai sia le palpebre, sia le occhiaie
leggermente arrossate e gli occhi lucidi. Le unghie delle delle mani,
soprattutto della destra, sono mangiucchiate, in conclusione riposi
poco e non abbastanza. Direi da almeno..."
"Io
non mangio affatto le unghie..."
"…
almeno tre giorni." concluse Sherlock, come se non fosse mai
stato interrotto, e guardandolo intensamente.
'Sì,
tre giorni, lo so anche io. Perché è da tre
giorni che continui a
suonare quel violino!'
"Certo
che le mangi. E' un comportamento inconscio, per questo non te ne
accorgi... ti prego John, è troppo semplice, troppo
elementare e io
mi annoio!"
'Non
me ne ero accorto' si
ritrovò a pensare John, disperatamente.
L'ultima
volta che Sherlock aveva utilizzato il violino per così
tanto tempo,
ininterrottamente, era stato non molto tempo prima, quando si erano
imbattuti in una questione di cui lei
era
stata la principale causa. Lei, la Donna.
In
effetti, John si era ritrovato a parlare distrattamente
dell'accaduto, tre giorni prima, e da allora Sherlock aveva preso in
mano il violino.
La
melodia ricominciò.
Non
sarebbe rimasto lì ancora a lungo, se avesse continuato. Era
fin
troppo deprimente per i suoi gusti.
Spense
il computer, si alzò, e tornò in camera da letto.
Si vestì in
fretta, bevve un sorso di caffè freddo del giorno prima,
amaro,
proprio come piaceva a lui, e ritornò in salotto, pronto ad
uscire.
Una bella passeggiata mattutina gli avrebbe fatto bene. Per lo meno
non avrebbe più sentito quelle note terribili.
'Lontano,
il più lontano possibile da qui'
'E'
più lunga sarà la strada del ritorno...'
"Ehm...
a dopo..." disse prendendo la giacca e indossandola.
Una
nota acutissima gli rispose.
Aveva
già messo un piede fuori dalla stanza quando si
sentì un rumore
forte provenire dalla strada al di là delle finestre, una
specie
scoppio, anzi, lo conosceva fin troppo bene. Era il suono
inconfondibile di un colpo di pistola.
John
si fermò immediatamente, anche la musica cessò.
Si girò verso
Sherlock, che lo stava già guardando a sua volta, con un
largo
sorriso stampato in faccia.
8:05
A.M.
Avevano
fatto il giro di tutto il quartiere, bussando ad ogni singola porta,
e prima che Lestrade arrivasse avevano anche trovato la pallottola,
relativamente in buone condizioni, su un marciapiede non molto
lontano da casa loro. Chi avesse sparato, invece, sembrava sparito
nel nulla.
Con
l'arrivo dell'ispettore avevano rifatto il giro delle case.
“Questa
era l'ultima” disse Greg scendendo gli scalini, la porta che
si
chiudeva alle sue spalle.
“E'
pulita... nulla di sospetto.”
Guardò
Sherlock.
“Nulla
di sospetto.” confermò quest'ultimo incrociando le
braccia dietro
la schiena.
'Lestrade
lo ha guardato. Ha guardato Sherlock. Voleva essere sicuro di non
essersi lasciato sfuggire nulla.'
“Hai
qualche ipotesi?” continuò l'ispettore.
“Una...
ma ho bisogno della pallottola.”
“Non
credo di poterlo...”
“Mi
bastano ventiquattro ore, Lestrade, e ve la
restituirò!”
Greg
sospirò lanciando uno sguardo veloce a John, poi
annuì. Il sergente
Donovan lo guardò con disapprovazione, scuotendo la testa.
“Perfetto,
grazie!”
Sherlock
sorrise con la bocca chiusa, prendendo il contenitore di plastica
dove avevano raccolto la pallottola e dirigendosi verso il 221B.
Si
udì il suono di un cellulare. Lestrade rispose.
“Quindi,
se non ci sono vittime, a cosa mirava chi ha sparato?”
John
era subito dietro Sherlock e glielo domandò, sicuro di
ricevere una
risposta.
“Probabilmente
ad attirare l'attenzione su di sé!”
Lo
guardò intensamente.
Watson
deglutì.
“La
gente è pronta a tutto pur di farsi notare...”
continuò l'altro,
tranquillamente, a voce bassa. Il modo in cui lo disse però
fu
parecchio inquietante.
“Sherlock!”
Proprio
nel momento in cui erano arrivati davanti la porta di casa si
udì
nuovamente la voce di Lestrade, che li stava chiamando.
“Non
ora...” fece subito Holmes, dandogli le spalle.
“C'è
stato un altro sparo, pochi minuti fa...” continuò
Greg.
A
quel punto Sherlock si girò.
'Che
puntualità' pensò
John. Non poté fare a meno di sorridere, però.
“Dove?”
chiese a Lestrade.
“Trafalgar
Square.”
*
La
grande piazza era affollatissima. Non c'era giorno in cui non lo
fosse, certo, ma in quel momento lo era ancora di più,
nonostante
tutti i presenti raccolti alle sue estremità, delimitate da
almeno
una trentina di poliziotti per ogni lato, e la parte centrale
completamente vuota. Una lunga fila, invece indicava chi era in
attesa di entrare alla National Gallery attraverso una strada
secondaria.
“Stessa
dinamica” disse Lestrade, arrivato qualche minuto prima di
loro.
“Il mio collega Wilson mi ha confermato che secondo le
testimonianze alle 08:35 si è sentito uno sparo, proprio
lì...”
indicò la fontana a loro più vicina
“Non sono scappati tutti
immediatamente, poi però, c'è stato il
caos...”
“Ovviamente...”
Sherlock
guardò in direzione della fontana.
“Nessuna
vittima, nessun ferito,
nessun segno di combattimento...”
“Siamo
sicuri che si sia trattato di uno sparo e non di qualche altro rumore
simile?” chiese John, perplesso.
“Tutti
i testimoni concordano, era uno sparo...” confermò
Greg.
Sherlock
aveva di nuovo posizionato le braccia dietro la schiena, perdendosi
nei suoi pensieri. Si guardò prima intorno, poi mosse i suoi
passi
verso la fontana.
Tirava
un vento freddo quella mattina di Novembre, così John si
allacciò
cappotto e sciarpa per coprirsi. Fu subito dietro l'amico.
“Non
troverai niente...” urlò loro dietro Lestrade
“Stanno
controllando già da quindici minuti...”
Sherlock
lo ignorò, guardando a terra, girando continuamente la testa
a
destra e a sinistra, poi si fermò davanti alla fontana. Fece
il giro
intorno ad essa e poi sorrise. Ma la sua espressione era più
compiaciuta
che allegra.
“Facile...
troppo facile...” commentò silenziosamente, ma
John riuscì a
sentirlo.
'Non
ne dubitavo, Sherlock, ma credo in ogni caso che sia ancora troppo
presto per parlarne...'
Degli
schizzi d'acqua gli arrivarono in faccia.
“SHERLOCK!”
si ritrovò ad imprecare.
L'amico
si era calato nella fontana, noncurante di chi ancora stava svolgendo
le indagini.
Ne
emerse subito, bagnato fino alla vita, con un piccolo oggetto stretto
tra il pollice e l'indice.
“La
pallottola...”
Lestrade,
appena arrivato, aprì la bocca in un'espressione sorpresa.
John
invece non lo era affatto.
Il
cappotto di Sherlock era fradicio,
ma lui sembrò non farci caso. Si mise una mano in tasca e
tirò
fuori la busta con l'altra pallottola.
Erano
identiche.
Pallottole
uguali, sparate dalla stessa pistola...” cominciò
Holmes ma una
voce lo interruppe.
“Come
fai a dire che si tratti della stessa pistola?”
I
tre si girarono.
“Mi
domandavo giustappunto se saresti arrivato, Anderson... cominciavo a
sentire la mancanza delle tue domande stupide.” l'altro
aprì la
bocca, pronto a rispondere ma John lo precedette continuando il
discorso interrotto da Sherlock poco prima.
“Le
pallottole sono uguali, la pistola la stessa, quindi anche la persona
che ha sparato?”
L'amico
lo fissò, socchiudendo leggermente gli occhi in un
espressione
incerta.
“Naturalmente
non è impossibile che un solo uomo si sia spostato da Backer
Street
a Trafalgar Square nell'arco di tempo in cui sono avvenuti i due
spari. Tuttavia...” guardò Lestrade
“...
credo che siano due le persone coinvolte in questo mistero.”
Il
cellulare di Greg suonò di nuovo.
“Commissario
Lestrade...
cosa? Dove?”
Sherlock
alzò le sopracciglia.
“Arriviamo
subito!” l'altro terminò la chiamata.
“Ce
n'è stato un altro...” aggiunse, senza specificare
cosa. Ma non ce
ne sarebbe stato bisogno.
“Da
Angelo... il ristorante del tuo...”
“Adesso
sono tre...” fece Holmes
“Cosa?”
Il
commissario parve perplesso.
“Tre
le persone coinvolte.”
Durante
la giornata le persone aumentarono. Diventarono quattro, poi cinque,
poi sei. Tutto accadeva in luoghi che sia Sherlock, sia John
conoscevano bene. Luoghi in cui erano già accadute delle
cose, in
cui erano stati non molto tempo prima. Ogni volta che si mettevano in
viaggio John riusciva a vedere nel suo amico il sorriso di chi aveva
risolto l'enigma e capito ogni cosa. Non c'era affatto da stupirsi, e
John stupito non lo era.
*
Dopo
cena, il dottor Watson si dedicò al suo blog. Si
posizionò
comodamente sulla poltrona del salotto e riprese a scrivere
l'articolo iniziato quella mattina.
Modificò
il titolo.
'Pallottola
vagante' e
iniziò il discorso.
'La
gente è pronta a tutto pur di farsi notare...
questo è quello che mi ha detto Sherlock stamattina, quando
un nuovo
caso misterioso si è presentato letteralmente davanti la
porta di
casa, a Backer Street. Io aggiungerei anche che la gente è
pronta a
tutto pur di aiutare un amico, e in questo caso, ad aiutare un amico
che si annoia...'
“Non
credevo che la mia influenza vi avrebbe fatto così
male...” iniziò
improvvisamente Sherlock.
In
realtà, John non l'aveva neanche sentito arrivare. Aveva
indossato
di nuovo la vestaglia e aveva i piedi scalzi.
“...uno
sparo alle sei del mattino... avete svegliato l'intero
quartiere!”
“Ma
di cosa stai parlando?”
“Come
hai convinto Lestrade, Angelo e tutti gli altri? Addirittura
Anderson?”
“Vuol
dire che questa è la conclusione a cui sei
arrivato?” John salvò
una bozza del suo articolo e chiuse il portatile.
“Dal
primo momento.” confermò Holmes. “Ho
riconosciuto la pallottola
della tua seconda pistola.”
“La
mia seconda pistola?”
John
alzò le sopracciglia.
Sherlock
fece un gesto con la mano.
“Quella
che hai nel cassetto dei calzini.”
“Adesso
frughi anche nelle mie cose?”
“Ne
cercavo un paio pulito... ma non è questo il
punto...”
“Infatti,
è un altro. Non ho più quella pistola,
Sherlock.”
“Ah,
davvero?”
John
annuì.
“La
settimana scorsa l'ho portata all'Ancient
Weapons”
Sherlock
lo guardò attentamente. Lo stava esaminando. Voleva capire
se stesse
mentendo o dicendo la verità. Non disse nulla per tutto il
minuto
successivo.
“Beh...
mentre ti schiarisci le idee, io vado a letto.” disse invece
John,
alzandosi e facendo qualche passo verso la porta.
“Ah...”
poi si fermò “Niente violino stanotte. Per
favore...”
“Se
volevi che smettessi di suonare, bastava chiederlo... invece di
organizzare questa farsa con Lestrade...”
John
lo ignorò e si diresse in camera da letto.
In
realtà glielo aveva chiesto. Gli aveva chiesto di suonare
durante le
ore del giorno, non della notte. Almeno tre volte. Ovviamente, non
aveva ricevuto alcuna risposta.
Il
mattino seguente, quando si svegliò, si sorprese di scoprire
che
erano già passate le otto. Rimase qualche minuto a fissare
il
soffitto, poi si ricordò di una cosa e scese dal letto.
Quando
entrò in salotto, trovò Sherlock sdraiato sul
divano. Aveva il
violino in mano, e stava pizzicando le corde a mo'
di
chitarra.
“Sei
sveglio, bene... adesso posso ricominciare a suonare...”
esordì
mettendosi seduto.
John
annuì leggermente alzando poi gli occhi al cielo.
La
triste melodia ricominciò, così decise di
raggiungere la cucina,
per fare colazione. Proprio vicino al lavello, trovò una
pagina di
giornale aperta. Al centro vi era una foto che ritraeva Lestrade
nell'atto di mettere le manette ad un giovane dai capelli rasati
quasi a zero.
Il
titolo diceva: Catturato
l'uomo delle pallottole.
Sorrise.
“L'hai
comprato tu il giornale?” domandò a Holmes,
rientrando in salotto,
in una mano aveva una tazza di the, nell'altra un vassoio con i
biscotti.
“Me
l'ha portato la signora Hudson” rispose l'altro, continuando
a
suonare. “Prevedibilmente hai corrotto anche lei... mi
dispiace
però, ha confessato.”
John
rise.
“Ancora
con questa storia? Hai letto anche tu, Lestrade ha arrestato il
responsabile del mistero delle pallottole. Sembra sia scappato dal
manicomio di...”
“Si
chiama Scott Crowe, trentadue anni, di origine australiane. Di
Adelaide per l'esattezza. E' a lui che hai venduto la tua pistola, o
meglio, lui l'ha comprata all'Ancient Weapons, ma tu eri ancora
lì
poiché l'avevi appena portata, quindi fa lo
stesso...”
John
Watson era abituato a Sherlock. Era
abituato alle sue analisi, perfette in ogni minimo dettaglio, ma non
riuscì a non aprire la bocca, meravigliato. Non gli chiese
come
aveva fatto a scoprirlo. Lui però glielo disse lo stesso.
Dopotutto,
John non era l'unico a conoscere quel negozio d'armi... L'articolo di
giornale non era riuscito a convincere affatto Holmes, quindi, la
storia era finita, lui aveva vinto, anche se decisamente prima di
quanto avesse osato sperare.
“Guadagni
a stento i soldi per pagare l'affitto, non puoi averlo corrotto
davvero...”
John
prese un bel respiro e poggiò tazza e piatto sul tavolo,
accanto al
suo portatile.
“La
signora Hudson non ha detto niente...”
Sherlock
lo interruppe.
“Trafalgar
Square, John, non è stata evacuata per quell'innocua e
piccola
pallottola. Dovevano girare un film...”
Watson
non disse nulla e lo lasciò proseguire.
“Non
credo di essere stato l'unico ad aver notato le roulotte parcheggiate
dall'altra parte della piazza... ma il punto è un altro.
Quello che
mi sorprende è la facilità con cui sei riuscito a
convincere e
coinvolgere tutte queste persone...”
Il
momento di parlare e di dare risposte, era infine arrivato.
“Con
la signora Hudson, Lestrade ed Angelo non è stato difficile.
Ognuno
di loro ti deve sempre qualcosa... ovviamente avrai capito che
l'unico ad averci letteralmente chiuso la porta in faccia è
stato
Mycroft...”
Sherlock
rise.
“E
di Scott Crowe cosa mi dici?”
John
si sedette.
“Ci
siamo scontrati
all'Ancient Weapons, appunto. Io uscivo, lui entrava e mi ha
riconosciuto. John
Watson, il braccio destro di Sherlock Holmes!
Ha detto proprio così!”
“Vai
avanti.”
“Mi
ha chiesto, anzi, supplicato di volerti incontrare... voleva vederti
all'opera. E' un tuo fan”
“Ed
è stato anche un militare. L'ho riconosciuto dal taglio di
capelli e
della postura, proprio come feci con te. La sua carriera
però deve
essersi interrotta molto presto, così si è
dedicato al
giornalismo... in questo modo si spiega la facilità con cui
siete
riusciti a stampare quel falso alrticolo...”
“Ma
come?... D'accordo, lasciamo perdere...”
Possibile
che la signora Hudson gli avesse davvero detto già tutto?
Era
improbabile però che si fosse lasciata scappare persino i
dettagli
su Scott Crowe.
Anzi,
probabilmemte non ne sapeva niente.
E
Sherlock allora?
“Sì,
l'ha scritto una settimana fa, quando ci siamo messi d'accordo. Era
entusiasta di poter partecipare a questa messa in scena...”
L'altro
si alzò, l'archetto e il violino ancora in mano, e
cominciò a
gironzolare per la stanza.
“Scommetto
che scriverà proprio un bell' articolo su di me... Sherlock
Holmes indaga su un falso caso...”
“Non
scriverà niente, tranquillo. Ce lo siamo fatto promettere in
cambio
del suo coinvolgimento in questa storia...”
“Sì,
certo, staremo a vedere...”
Riprese
a suonare, improvvisamente.
Il
the di John era diventato freddo, ormai.
“Gli
altri mi dovevano qualcosa, il giornalista ex militare australiano
voleva scrivere un articolo su di me, e tu invece, perché lo
hai
fatto?”
Quella
domanda lo spiazzò.
“Perché,
Sherlock?...
Beh... perché... perché ti annoiavi...”
Fu
una risposta spontanea ma probabilmente suonò come una scusa.
“Perché
mi annoiavo...” ripetè lui e John non
capì se fu un'esclamazione
o una domanda.
“Che
cosa vuoi sentirti dire? L'ho fatto perché sono un tuo
amico, e so
di cosa hai bisogno per stare bene...”
“Io
non ti ho mai chiesto di fare qualcosa per farmi stare bene.”
Appunto,
John infatti evitava di fare discorsi troppo sentimentali con lui. A
dire il vero, Sherlock li avrebbe ignorati comunque volutamente.
“Non
c'è bisogno che tu lo chieda. E' questo il punto. Gli amici
sanno e
basta quando devono intervenire nella vita di chi amano...”
Forse
era suonato davvero troppo sdolcinato, ma ormai non si poteva tornare
indietro.
Sherlock
non rispose, così John ne approfittò per
terminare il discorso.
“Potrai
fare o essere il sociopatico Sherlock Holmes quanto vuoi, nonostante
ciò sei circondando da tante persone che in un modo o
nell'altro
tengono
a te...”
Holmes
si fece una risata. John alzò le braccia al cielo.
“Non
cercherò più di organizzare qualche falso caso,
d'accordo?”
terminò.
Come
al solito, non si era riusciti ad arrivare a niente.
'Non
ti confesserà mai ciò che prova. Non a parole'
“Bene.
Anche perché non siete affatto bravi nel farlo. Ho capito
che eri
coinvolto dal primo momento... e dire che Lestrade fa parte di
Scotland Yard!” l'ultima frase fu quasi un sussurro, come se
avesse
pensato ad alta voce.
John
fece un sorrisino, e addentò un biscotto.
“Vado
a fare dell'altro the...” disse infine, dirigendosi di nuovo
verso
la cucina.
“Fanne
uno anche per me...”
Annuì.
Dunque
il discorso era finito. Avevano lasciato che sfilasse via con una
foglia portata via dal vento.
No.
Non sarebbe finita lì. Non si sarebbe ancora arreso. Avrebbe
cercato
nuovamente di farlo parlare, in attesa del giorno in cui si sarebbe
finalmente confidato con lui. John era stato per molto tempo in
terapia, sapeva come funzionavano quel tipo di cose.
Anche
se lui non era di certo un analista, né uno psichiatra. Era
un
medico militare.
Forse
sarebbe dovuto tornare in terapia, almeno avrebbe imparato qualche
trucco in più.
Essere
in compagnia di Sherlock, vivere insieme a lui, era un'esperienza
fuori dal comune e di sicuro c'era bisogno di una dose non
indifferente di sangue freddo.
Perché
poi si era interessato così tanto alla sua vita
sentimentale, non se
lo sapeva spiegare neanche lui. Forse quello era l'unico vero
argomento a renderlo vulnerabile.
Eh
sì,
perché, dopotutto Sherlock era proprio come una pallottola.
Una
pallottola vagante che colpisce continuamente tante persone diverse,
in contesti e luoghi differenti. Alcune gravemente, altre no,
lasciando loro addosso un segno indelebile. Ma con il tempo quella
pallottola si sarebbe scalfita o spezzata e di certo non si sarebbe
riparata da sola.
A
volte John aveva l'impressione di riuscire a capire perfettamente il
suo amico, ma nei momenti restanti, che non erano affatto rari,
avrebbe dato qualunque cosa pur di poter leggere nella sua mente.
'Devo
scrivere tutto questo nel blog'
pensò Watson, mettendo l'acqua del the sul fuoco. Poi prese
il
cellulare e mandò un sms a Lestrade.
'Lo
sa'
Due
parole. Sarebbero bastate senz'altro.
“Comunque
John, non è vero...”
Sherlock
lo aveva raggiunto in cucina, suonando.
“Cosa?”
“La
signora Hudson non ha detto nulla...”
L'altro
sorrise e sentì improvvisamente che qualcosa nella sua
melodia stava
cambiando. Il ritmo sembrava essere diventato quello che i musicisti
chiamavano Allegro.
Magari
poteva essere il riflesso dei sentimenti che Holmes stava provando in
quel momento?
E
perché no?