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Autore: Phoebe Josephine Caufield    15/05/2012    0 recensioni
Breve storia che ho scritto molto tempo fa, su ragazzo immigrato, e le difficoltà che deve affrontare giorno dopo giorno, per vivere, in un paese lontano dalla sua terra d'origine, dove le sue speranze di una vita migliore crollano.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminava da solo in un vicolo molto cupo. 
Era una di quelle stradine dove la gente appende la biancheria lavata ai balconi, facedola pendere per strada, e dove l’immondizia regna sovrana. 
-“Un giorno di questi, da quelle schifezze salterà fuori qualche forma di vita sconosciuta!”- si trovò a pensare, mentre si fermava ad osservare disgustato quella massa informe, dalla quale spuntava una buccia di banana.. qualche lattina schiacciata.. dei fazzoletti pieni di moccio.. e.. un gattino. 
Si..era proprio un gattino! Difficile da distinguere in quella massa , poiché era completamente nero. 
Nero come il gatto della storia di Edgar Allan Poe. 
Per questo non piaceva a nessuno. Stupidi pregiudizi! 
Si chinò a guardarlo, e il micio rispose allo sguardo inclinando la testa in modo delizioso. 
-”Ma sai che sei carino??”-disse, e gli allungò la mano. Il micio si tirò indietro sospettoso, e lui notò che gli mancava un dito dalla zampa. Gli idioti si divertono così. 
Il ragazzo poggiò lo zaino per terra, mise la mano in tasca e tirò fuori una brioche.. La sua cena. Quello che aveva guadagnato in una giornata a vendere occhiali da sole e mollette per capelli sulla spiaggia. La guardò accigliato, poi ne stacco un pezzo e lo allungò al cucciolo. 
-”Avanti! Non voglio farti del male! So cosa provi.. Nemmeno io piaccio a nessuno.. Siamo uguali, io e te.”- disse, con un sorriso amaro. 
Sarà stata la fame, o il viso fiducioso di quel ragazzino dai grandi occhi neri.. E il gatto si avvicinò. Mangiò la brioche e fece le fusa al poveretto, che si lasciò fuggire qualche lacrima. Da quanto tempo non riceveva affetto? Gli mancava la sua famiglia. Gli mancava la sua sorellina, le carezze della madre, il sorriso di suo padre. 
-”Sai, se la nave non fosse affondata avrei ancora la mia famiglia, non sarei costretto a vivere per strada, ne a vendere cianfrusaglie per dei delinquenti che mi riempiono di calci se non porto abbastanza. Magari avrei potuto andare a scuola.. Avere degli amici.. Oh! Cos’è l’amicizia?? Non vedo volti amici vicino a me! Nessuno si cura di me..potrei benissimo essere morto! Chi mi ha mai aiutato? Ho visto qualche telecamera quando siamo sbarcati.. Qualcuno ha detto che ci avrebbero aiutati, ma è tutto una bugia. Ci gonfiano di botte, sapendo che non possiamo denunciarli a nessuno, perché riceveremmo da loro la stessa sorte. Oh, se i miei genitori avessero saputo questo.. ”- il gatto, per tutta risposta, miagolò e si lasciò carezzare, mordicchiandogli affettuosamente una mano. Sembrava volesse consolarlo. Era così goffo, che al ragazzo sfuggì un sorriso. 
-“HEY!TU!!!TI AVEVO DETTO DI NON FARTI PIU’ VEDERE DA QUESTE PARTI, SCIMMIA! QUESTA STRADA E‘ GIA ABBASTANZA SPORCA SENZA VOI DELINQUENTI IN GIRO!”- l’urlo veniva da un uomo grasso dagli occhi iniettati di sangue, che si sporgeva dalla finestra della sua lurida casa, con un secchio d’acqua, che scagliò addosso al ragazzo e al suo gatto. 
Il ragazzo evitò la secchiata ed iniziò a correre col micio nero in braccio. Non lo avrebbe più lasciato. Erano uguali, loro due. Stupidi, stupidi pregiudizi.
  
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