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Autore: Sunshine Shadow    15/05/2012    2 recensioni
Questa One-Shot tratta solamente di Peeta e Katniss, quando tornano al Distretto 12 distrutto. E' un po' spoiler, per chi non avesse letto 'Il Canto della Rivolta', anche se la parte iniziale è piuttosto intuitiva. Inoltre è estremamente 'What If?', perchè ho stravolto completamente l'inizio del terzo libro.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Uprising.




Era finita, anche quella volta, ma nel peggiore dei modi, a mio parere.
Ero uscita viva per la seconda volta dall'Arena. Non mi sembrava possibile, e a dire la verità mi sentivo anche un po' insolente: era già un miracolo urscirne vivi una volta, e se ci riuscivi la gente ti guardava malissimo. Come biasimarli, se vincere significava uccidere altri tributi, proprio come te? Ma due volte... due volte era davvero un avvenimento senza precedenti.
E come se non bastasse, ora tutti gli abitanti dei Distretti in rivolta (come il quattro e l'otto), avevano accolto la mia vittoria come l'ennesimo segno di sfida contro Capitol City.
Ma io mi chiedo, perchè? Perchè la mente umana crea sempre problemi dove non ci sono? Io avevo mangiato quelle bacche solamente perchè non volevo uccidere Peeta. Io ho ricoperto Rue di fiori perchè le piacevano, e per non mostrare la ferita. Io ho scagliato quella freccia contro il pannello del campo di forze perchè avevo intuito che l'avrebbe voluto fare Beetee, il quale però era incosciente, in quel momento.
Io non ho mai voluto sfidare Capitol City. Io non ho voluto partecipare agli Hunger Games. Ci sono capitata, per salvare Prim, e pensavo che le cose, al termine dei Giochi, fossero tornate alla normalità: caccia, Gale, i boschi, la mungitura, il Forno. Certo, sarei stata molto ricca, ma gran parte delle mie razioni extra sarebbero andate ai cittadini bisognosi del mio Distretto.
E invece no! Ora tutti pensano che io sia la Ghiandaia Imitatrice, che sia il simbolo della rivolta, che muoia dalla gioia di cambattere Capitol City.
Perchè non capiscono che io voglio semplicemente stare a casa, in pace?
Stavo iniziando a pensare che certa gente non conoscesse il significato della parola 'pace', quella pura, semplice e vera. Tentando di spodestare la capitale non avremmo fatto altro che aumentare le vittime che già c'erano state nel Distretto 12, come mi aveva spiegato Gale. Capitol City avrebbe vinto, e probabilmente, per la gente rimasta, avrebbe imposto pene ben peggiori degli Hunger Games. Perchè non lasciavano perdere? Non avevamo nessuna speranza.

Ero appena arrivata al Distretto 12. O meglio, a quello che ne rimaneva.
Uno strano hovercraft mi aveva recuperato dall'Arena. Lì mi ero comportata parecchio male: ero scesa dalla mia barella, dopo essere stata sedata per aver staccato la flebo, armata di siringa per uccidere Peeta, e risparmiargli tutte le difficoltà e il dolore che sarebbero venuti. Haymitch mi aveva scoperta, e aveva tentato di bloccarmi ma io, dopo essere venuta a sapere di come non mi aveva detto niente per tutto quel tempo, sul complotto contro Capitol City, su tutti gli alleati che aveva (tra cui anche il capo stratega Plutarch Heavensbee). L'avevo graffiato in faccia, probabilmente procurandogli anche qualche danno abbastanza grave all'occhio, se ero fortunata. Se lo meritava, anche dopo tutto quello che aveva fatto per noi. Ci aveva usati, sia a me che a Peeta. Se almeno mi avesse detto come stavano le cose, avrei potuto trovare un altro rimedio per scampare entrambi dall'Arena, senza dover 'sfidare' Capitol City con le bacche.
Peeta era al mio fianco, allibito quanto me da quello spettacolo osceno. L'hovercraft ci aveva fatto scendere nel prato, subito oltre dove si trovava la recinzione. Sembravano passati anni da quando l'avevo scavalcata, l'ultima volta. Eravamo entrambi immobili, una vicino all'altro. Io ero a bocca aperta. La mia reazione fu quella che ebbi quando Prim fu estratta alla Mietitura, se non peggio. Contemplavo quell'immenso mare grigio che si stagliava ai miei piedi, incapace di pensare qualsiasi cosa.
Fu Peeta a muovere il primo passo, incerto. La cenere ci arrivava fin sopra le caviglie. Mi guardai intorno, ancora ferma, cercando di orientarmi, ma c'era il niente ovunque. Decidemmo di dirigerci verso destra, dove, in teoria, saremmo dovuti arrivare al Forno, alla mia casa e a quella di Peeta.
Durante il breve e muto tragitto, ogni tanto mi voltavo verso Peeta, provando a dirgli qualcosa. Lui incorcivava il mio sguardo, apriva le labbra per parlare, ma poi le richiudeva subito. Probabilmente, come me, aveva le labbra e la gola completamente secche. Cosa davvero strana, visto che lui era quasi sempre pronto a parlare, in qualsiasi momento.
Arrivammo in prossimità di una fila di case che non erano state distrutte completamente. In molte si riconoscevano ancora le fondamenta, con i bordi anneriti dal fuoco. Lì dove una volta doveva esserci una parete, notai un piccolo pezzo di intonaco grigiastro. Mi avvicinai lentamente, abbassandomi per guardare quella parte di muro ancora intatta, che in quel momento sembrava un reperto antichissimo e prezioso. Vidi che in un punto era più annerito, così passai la mano sopra. Al tatto non risultava completamente liscio, come se ci fosse qualcosa inciso. Riconobbi due lettere, ed ebbi un brivido. 'K P'. Katniss e Prim.
- Tutto bene? - chiese Peeta lievemente, allungando le mani per abbracciarmi.
- Sì. - risposi secca, scostandomi prima che potesse toccarmi.
Lui non capiva.
Quello era il giuramento che non ci avrebbero mai diviso. Quello era il segno che, qualunque cosa sarebbe successa, saremmo sempre state insieme. Quella era la mia casa.
Ebbi un brivido alla schiena, e poi un sussulto. Avevo quasi dimenticato quella promessa fatta con Prim. Sentivo la mia vecchia casa importante solo ora che l'avevo persa irrimediabilmente. Non poteva, non doveva accadere la stessa cosa a mia sorella.
- Avanti, andiamo via di qui. - intimai a Peeta. Non volevo vedere nient'altro, di tutta quella distruzione. Ne avevo avuto abbastanza.
- Voglio vedere la panetteria, e il Villaggio dei Vincitori. - disse lui, come se io non avessi parlato.
- Il Villaggio dei Vincitori?! - domandai esterrefatta. Come poteva pensare alla fama in un momento come quello? No, doveva essere per qualcos'altro, non era nello stile di Peeta vedere se i suoi beni erano al sicuro.
- Voglio prendere un ricordo. - aggiunse infatti, confermando i miei pensieri.
- Oh, e va bene. - acconsentii, con uno sbuffo. Avrei voluto fuggire all'istante da quel posto così desolato e straripante di vecchi ricordi perduti. Ma Peeta mi aveva accompagnata a vedere la mia casa. Ora toccava visitare quello che rimaneva della sua. - Ma prima devo fare una cosa. Aspettami qui. -
Senza aspettare una risposta da Peeta, lanciai un ultimo sguardo malinconico alle fondamenta ancora abbastanza integre della mia casa. Tirai fuori dalla tasca un unico fiammifero. Feci una corsa fino al Campo, e raccolsi qualche ramo asciutto e ricoperto di fogliame dagli alberi. Tornai dove avevo lasciato il ragazzo, e deposi con cura le fronde sulle spoglie della casa. Accesi contro un masso il fiammifero, come mi aveva insegnato mio padre, e lo lanciai in mezzo alle foglie. Pian piano quella scintilla dette vita ad una grande fiammata, che distrusse definitivamente i resti della casa. Guardandola, capii a pieno cosa significavo io per i ribelli. Io ero quella scintilla. Forse avevano ragione. Se mi fossi impagnata avrei davvero potuto appiccare un incendio, percioloso per Captiol City. Ma ora non volevo pensare a quelle cose.
- Non voglio che la tocchi nessun'altro, questa casa. - decretai gelida, osservando le fiamme che annerivano l'intonaco. Mi concentrai sul crepitio del fuoco, ponendo fine alla marea di pensieri che mi si accavallavano in testa. Le sfumature rosse, gialle e arancioni del fuoco mi brillavano negli occhi, come in quelli di Peeta. Lo osservai, e capii che dovevamo avere avuto davvero un'aria determinata alla sfilata, l'anno prima.
- Ora possiamo andare? - chiese Peeta, distogliendomi ancora dalle mie riflessioni.
- Sì. - acconsentii.
Ci dirigemmo lenti verso il centro della città, al Forno. Riconobbi il chiosco di Sae la Zozza, vedendo a terra una delle spille con la Ghiandaia Imitatrice che mi aveva regalato prima degli Hunger Games. La raccolsi, passando una mano sulla superficie, in modo da levare il sottile strato di cenere che la ricopriva.
La Ghiandaia Imitatrice, pensai. No, basta Katniss, non ci pensare!  mi imposi, iniziando a stufarmi di quei ricordi. Ma era inevitabile. Girai su me stessa, come quando Cinna, il mio stilista, mi aveva chiesto di eseguire una piroetta. Cinna. Come avevo fatto a non pensarci? In quell'istante ebbi un flash back, rivedendo come i Pacificatori lo picchiavano, mentre io, impotente, lo fissavo attraverso il vetro della capsula che mi avrebbe portato all'Arena.
Ricordati che io scommetterei ancora su di te. La sua voce mi risuonò nella testa. Sentii il suo tono caldo e pacato che mi avvolgeva, e che mi faceva sentire sicura. Ma subito il freddo della desolazione e della solitudine mi invase ancora. Cinna non c'era più. Speravo ancora che fosse vivo, ma i miracoli non esistevano, almeno per me. Se non era venuto a salutarmi dopo i Giochi, significava che era successo qualcosa.
No, starà bene, cercai di convincermi, ma non feci altro che accrescere la mia insicurezza.
Mi guardai intorno, e fu come se il Forno tornasse a prendere vita, ai miei occhi: vidi Ripper, la venditrice di alcolici che Haymitch amava, che con quella sua mano serviva i suoi liquori; osservai Sae la Zozza che gridava a chiunque di riportarle la scodella, quando avesse finito la zuppa; vidi Cray, l'ex capo dei Pacificatori, che rideva a crepapelle con il suo amico, anche lui Pacificatore, Darius. Ma tornai alla realtà. Il Forno non esisteva più. Il Distretto 12 non esisteva più. La mia casa, le mie origini. Tutto era andato perso.
Seguii Peeta lungo un viattolo stretto, poco lontano dal centro del forno. Dove una volta si ergevano possenti muri ricoperti di edera, ora si stagliavano cupi mucchi di cenere grigiastra. Vidi che il ragazzo si fermò di colpo, come paralizzato. Seguii la direzione del suo sguardo, ed ebbi un tuffo al cuore. L'edifico dove sorgeva il panificio era completamente bruciato. L'insegna 'Mellark Backer' era storta, e penzolava da un lato malinconica. Ossrvai l'espressione di Peeta, e mi rattristai: capivo come si sentiva, più o meno. L'unica differenza era che io avevo perso semplicemente la casa. Lui invece, insieme a quella, anche la sua famiglia.
Un altro flash back mi attraversò la mente: ricordai il padre di Peeta, il signor Mellark, che mi donava i dolci per augurarmi buona fortuna, durante i 74° Hunger Games; mi vennero in mente anche i suoi sorrisetti complici, quando gli portavo uno scoiattolo. Era un brav'uomo, proprio come il figlio.
- Tutto bene, Peeta? - domanda idiota, tipico. Perchè non sapevo tenere a freno la lingua? Un silenzio sarebbe stato meglio di quelle tre parole. Io non sapevo parlare, al contrario di Peeta, perchè mi sforzavo a farlo?
- S... sì. - rispose lui esitante. Ma ovviamente non era così. Lentamente vi avvicinai a lui, e mi strinsi tra le sue braccia. Non me ne ero resa conto, ma fu un gesto completamente spontaneo. Ed ecco che altri dubbi mi occupavano la testa.
Ma io chi devo volere, Peeta o Gale? mi domandai, stranita.
Poi ripensai alle cose che avevo appena pensato. 'Chi devo volere'? Ma cosa sono, una pedina del loro stupido gioco? Assolutamente.
Io consideravo Gale un fratello, ormai. Nonostante quel bacio di sfuggita, le cose non erano cambiate molto tra noi. Sì, parlavamo meno, ma eravamo sempre Katniss e Gale, i due amici. Con Peeta era diverso. All'inizio fu tutto per il pubblico, gli sponsor e la sopravvivenza. Ma ora non ero sicura che fosse stato solo quello. Perchè quell'abbraccio così profondo?
Non ebbi il tempo di chiarirmi le idee, perchè lui parlò ancora.
- Ora andiamo via, Katniss. - la sua voce era metallica e distante, come se fosse registrata. Doveva soffrire davvero troppo.
- Non dovevi prendere qualcosa? - chiesi, mordendomi la lingua nell'istante in cui posi quella stupida domanda. Cosa gliene fregerà ora di un ricordino?! 
Ma stranamente lui annuì, cupo. - Hai ragione, me ne stavo quasi dimenticando. -
Ci dirigemmo mano nella mano verso il Villaggio dei Vincitori. Stranamente - o logicamente, dipende dai punti di vista -, era completamente intatto, senza nemmeno un briciolo di abbandono e trascuratezza. Camminammo piano sulla ghiaia, perfettamente in ordine, per arrivare alla casa di Peeta. Notai a terra, proprio davanti alla porta d'ingresso, un disgustoso zerbino, con impresso lo stemma di Capitol City nel mezzo, e le tipiche parole d'apertura usate alla Mietitura: 'Benvenuti, benvenuti, benvenuti!' recitava la scritta.
- Per favore. - commentai acida, pestandolo con i piedi.
Peeta spinse la porta, che cigolò, facendo sembrare quel suono un violento rumore, in quel silenzio surreale. Senza nemmeno guardarsi attorno, il ragazzo si diresse verso la cucina. Raccolse dal piano dei fornelli un piccolo stampo per i biscotti. Aveva una forma molto articolata: il bordo era cospraso di numerosi riccioli, che davano l'idea di una fiamma. Lo guardai meglio, e capii che rappresentava sul serio una piccola fiammella. Ma come mai?
- Mia mamma disse che il fuoco andava di moda, in questo periodo. - disse Peeta, come leggendomi il pensiero.
Annuisco inespressiva. Solo dopo capisco che era dedicato a me, quello stampino. Sembrerà stupido, ma fu la cosa peggiore della giornata, ovviamente dopo il fatto che il mio Distretto era raso al suolo. Quello significava che Peeta, un anno prima, aveva ragione: sua madre aveva pensato che forse, finalmente, il Distretto 12 avrebbe avuto un vincitore. Ma non si riferiva a lui. Evidentemente, nonostante fosse sempre scorbutica e arrogante nei miei confornti, la signora Mellark stravedeva per me. Aveva persino creato una formina per i biscotti a forma di fiammella, il mio simbolo.
- Magari l'avrà fatto tuo padre... - l'avevo fatto ancora. Che fosse stato il padre o la madre, quello stampino doveva aver ferito Peeta profondamente, in tutti i casi.
- No, l'ha fatto mia madre. Ci lavorava di notte. - disse lui, cupo.
Ebbi una stretta allo stomaco. Peeta e sua madre avranno litigato, e ora non poteva chiederle scusa. Si sarà sentito in colpa in questo momento, proprio come quando io mi sento strana se devo saldare un debito con qualcuno.
- Dai, andiamo via di qui. - proposi, sperando che non ponesse obiezioni. - E lascia andare quello stampino, non mi piace nemmeno. -  mentii.
- No, lo voglio portare. L'ha fatto mia madre, e poi mi ricorda te. Non sono geloso, nè arrabbiato. Semplicemente vorrei essere stato più amato, da loro. -
La franchezza e la delusione di Peeta mi lasciarono spiazzata. Non seppi cosa dire, e forse era meglio, visto che le mie ultime frasi non erano state delle migliori.
- Andiamocene. - ripetei semplicemente, con voce calma ma ferma.
Il ragazzo annuì, e senza altre storie si diresse per primo fuori dalla porta. Premette un pulsante sul bracciale che aveva sul polso, e subito una piccola scaletta apparì, piombando dalle nubi. Vedemmo un'ombra sopra di noi, e un hovercraft si stagliò nel cielo, oscurando la luce del sole, come un'eclissi in pieno giorno. Insieme a Peeta afferrai la scaletta, che subito ci attrasse con la sua scossa elettrica, tenendoci ancorati ai pioli, in modo da non cadere.
- Mi dispiace... - cominciai.
- Non c'è problema, Katniss. Non è colpa tua, ma di Capitol City. - mi interruppe lui.
- Ma quelle bacche... - tantati ancora a dire.
- Mi hai salvato la vita. -
Io rimasi senza parole. Negli ultimi tempi non avevo mai pensato a quel punto di vista. Ma Peeta aveva ragione.
- Solo una cosa, Katniss. - aggiunse lui. - Ora devi completare il lavoro. Devi far sì che queste non siano state morti invano. Riscattali. Sii la Ghiandaia Imitatrice della rivolta. -
Al suono delle sue parole mi fu tutto chiaro. Come potevo aver dubitato? Dovevo vincere, proprio come avevo promesso a Prim prima della partenza dei miei 74° Hunger Games. Dovevo vincere per mia madre, Peeta, i suoi genitori. Per tutti gli abitanti. Dovevo, e potevo farcela.
- Lo sarò. -

^^^

Shadow's Notes: Uhh, come sono contento di aver finito la mia prima FF sugli Hunger Games! *ww*
Non so voi, ma a me questa saga ha preso un sacco. Mi sono divorato il primo e secondo libro, sto leggendo il terzo velocissimamente, e ho visto il film due volte. E non parlo d'altro. Sono Hunger Games addicted.
Boh, sono abbastanza soddisfatto di questa One-Shot, che, rispetto ai miei standard, è pure venuta abbastanza lunga :3
La vorrei dedicare a una mia amica (che a giugno andrò a trovare *^^*), che nel Fake si chiama Katniss Everdeen (o Marie Lively). Beh, è addicted di HG come me :''D
Ti voglio bene, Marra. <3
Bom, basta, sennò vi annoio. Se vi va recensite, così mi fate felice. ^-^
Alla prossima,
Sunshine Shadow.
   
 
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