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Autore: Sasadex    15/05/2012    2 recensioni
Kushina scopre qual'è il vero colore dei "lampi" grazie a Minato...
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Minato/Kushina
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Il colore dei lampi

 Kushina scopre qual'è il vero colore dei "lampi" grazie a Minato...

 

 

«Di che colore sono i lampi Minato-kun?».

Era una giornata molto piovosa al Villaggio della Foglia. Minato e Kushina avevano programmato un pomeriggio da spendere in passeggiate assieme nei boschi circostanti al villaggio, ma il tempo aveva rovinato tutte le loro aspettative, e così ora erano seduti sotto il porticato di casa Namikaze e osservavano il cielo che lampeggiava.

Minato sorrise alla domanda di Kushina.

«Non ne ho idea, a me sembrano violacei!». La ragazza gonfiò le guance in segno di dissenso.

«Non mi piace il viola!». Minato rise ancora irritando la ragazza.

«Che c’è da ridere? I lampi mi piacciono, e mi da fastidio che una cosa che mi piace abbia un colore brutto come il viola!».

Seguì un lungo periodo di silenzio, entrambi erano assorti nei loro pensieri, Kushina pensava a quanto fosse stata fortunata a trovare un amico che non la considerasse un “mostro” soltanto perché ne ospitava uno nel suo corpo, e Minato lo sapeva, ma lui, a cosa pensava?

Erano un paio di giorni che il ragazzo era più cupo del solito, sembrava quasi assente in tutto ciò che faceva, ecco una ragione per la quale Kushina voleva trascinarlo in una passeggiata nel bosco, per parlare con lui in santa pace e capire il problema.

Mentre rifletteva sul tentativo svanito di fare chiarezza, si accorse che la pioggia era terminata, e che c’era un piacevole odore di erba che le saliva su per le narici. Ormai l’unica luce che li illuminava era una lampada ad olio appesa al porticato. Il tempo era volato, nonostante erano rimasti lì senza far nulla.

La porta scorrevole si aprì di botto, e il padre di Minato li avvisò che erano venuti a prendere la ragazza perché si era fatto tardi, così salutatisi, si lasciarono senza nulla di fatto.

Kushina non sapeva né del problema di Minato, né del colore dei lampi.

 

Quella sera il ragazzo non riuscì a dormire. Si girò e rigirò nel futon senza pace, con la luna che lo osservava in quella sua strana danza irrequieta. Poi improvvisamente si alzò di scatto, deciso a risolvere la faccenda che da un po’ di tempo a quella parte lo tormentava. Si avviò nel corridoio di casa sua con passo felpato, proprio quello caratteristico dei ninja, diretto verso lo studio di suo padre, mentre ripensava a quel maledetto giorno in cui i suoi amici, gli avevano sbottato in faccia in un litigio, che la sua famiglia non aveva tecniche particolari di cui vantarsi.

«Noi della famiglia Nara controlliamo l’ombra» diceva uno. «I membri della mia possono aumentare di stazza fino a diventare enormi» diceva l’altro. Ma il più fastidioso era sicuramente del Uchiha di turno, le cui parole gli rimbombavano in testa facendolo impazzire:
«Non diventerai mai Hokage se non hai una tecnica speciale tanto forte da battere lo sharingan, ma non ti biasimo, d’altronde… non esiste!».

Minato insomma era tormentato dal pensiero di non avere alcun importante tecnica ereditata dalla propria famiglia.

Nonostante fosse il più forte del suo anno nelle arti magiche e nelle arti marziali, non si dava pace, si sentiva inferiore e indegno… soprattutto di stare affianco a Kushina, e proprio per questo motivo, che stava andando nello studio di suo padre a parlargli. Voleva sapere di più sulla storia dei Namikaze, e non se ne sarebbe andato se non dopo una valida discussione.

 

Minato entrò nella camera privata del padre sbattendo le porte,  quasi con la portanza di qualcuno che si prepara a una battaglia, inspirò, e ad occhi chiusi, tutto d’un fiato disse:

«Padre, io voglio conoscere i segreti della nostra famiglia!».

Ma le sue parole andarono a vuoto… lo studio era vacante.

Minato era sconvolto, suo padre era sempre lì di sera, solo per motivi gravi ne usciva, allora il giovane iniziò a controllare le scartoffie sulla sua scrivania, alla ricerca di indizi che potessero indirizzarlo verso il suo genitore.

Cercò a lungo e strenuamente, ma non trovò altro che un bigliettino quasi bruciato del tutto, probabilmente inviato dal Terzo Hokage, dove si potevano distinguere le parole “Enneacoda” e “rapita”.

Visto che il bigliettino era ancora ardente, ne dedusse che il padre era uscito per quel motivo.

Minato non si fece prendere dallo sconforto, afferrò il primo kunai nel suo campo visivo, e si fiondò fuori da casa sua, verso la dimora della sua cara Kushina.

 

Arrivò alla casa della sua amica in pochissimo, trovò la porta sfondata e la casa quasi del tutto distrutta.

Entrò con cautela, e ispezionò le varie stanze, non c’era nessuno, o almeno così credeva.

Mentre stava per uscire, sentì uno schizzo di caldo sangue in faccia. Si girò di scatto, e vide che suo padre, ferito gravemente, ma non mortalmente, stava cercando di attaccarlo.

Saki Namikaze si fermò solo quando si accorse che chi stava per ferire era suo figlio, poi si accasciò a terra, stanco.

«Figlio mio… perché sei qui? ». Minato si chinò sul padre, iniziando a curarlo con delle particolari tecniche.

«Non importa il “perché” padre, ora ti porterò alla squadra medica, fatti forza». Mentre Minato fece per alzare il padre, egli lo bloccò.

«Io non morirò, Minato - Disse tra un sospiro e l’altro - Tu devi assolutamente trovare Kushina… anzi, no, non devi trovarla, sei abbastanza grande per ereditare…». Un colpo di tosse lo interruppe, ma Minato già era pieno di adrenalina.

«Ereditare questo kunai… è speciale, sai? Grazie a questo potrai effettuare una tecnica potentissima, potrai teletrasportarti da un posto all’ altro in modo istantaneo. Basterà applicare a qualcuno o qualcosa la formula scritta sull’ impugnatura, inventata da noi Namikaze secoli fa e ripeterla impastando in bocca del chakra per ritrovarti nel luogo da te prescelto».

«Padre, ti ringrazio per la fiducia riposta in me, sono felicissimo di ciò che mi tramandi, ma come potrò aiutare Kushina in questo modo?». Saki prese una bella boccata d’aria e poi rispose:

«Ho applicato la formula su uno dei rapitori prima che fuggisse…».

Minato intuì tutto. Prese il kunai offertogli dal padre, e baciatolo sulla guancia, impastò in bocca il chakra.

 

Si materializzò senza accorgersene alle spalle di alcuni ninja che correvano in una foresta, e fortunatamente, senza che se ne accorgessero.

Uno di loro aveva in braccio Kushina legata benissimo.

Ne colpì alle spalle un paio, sperando che tra loro non ci fosse quello con la formula di suo padre, poi, dopo che i nemici si furono accorti delle perdite, e si furono girati, usò nuovamente la tecnica e si portò alle spalle dei cinque nemici rimasti, marchiandoli con le scritte da lui conosciute. Uno dei ninja riuscì a ferirgli di striscio il braccio, ma non prima che Minato riuscisse a farne fuori un altro.

A quel punto il nemico che portava Kushina la lasciò cadere, e si lanciò verso il ragazzo, Minato lo fece arrivare a un palmo, al suo naso, e poi sussurrò: «Troppo lento, amico mio». Si teletrasportò alle sue spalle e lo uccise. Gli altri tre fecero la stessa fine in meno di un minuto.

 

Dopo che Minato ebbe sciolto i nodi di Kushina, ella gli diede un pugno in testa dicendo:
«Mi fai fare sempre la figura della donzella in pericolo-ttebane!». Minato si rotolò nell’ erba massaggiandosi la testa e gridando: « Scusa… scusa… perdonami!».

Kushina sembrava però piuttosto sorridente.

«Minato-kun ti perdono solo perché mi hai fatto cambiare opinione sui lampi!». Minato era perplesso.

«Il mio bellissimo lampo non è viola, è giallo» disse Kushina arrossendo.

Minato si grattò la testa…

«Ma questa sera non piove…».

La ragazza sospirò e gli diede delle pacche sulla spalla.

«Andiamo a casa, baka».

  
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