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Autore: Aya_Brea    16/05/2012    5 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Aveva il sorriso contagioso di chi aveva sofferto tanto. Era dannatamente bella, vestita dei suoi sbagli."

(L. Adrian)





 

Un brivido gelido corse lungo la schiena di Shinichi e nel voltarsi repentinamente verso la calca di invitati scorse il viso di Vermouth, poi la figura ignara dello sposo, che al contrario mostrava un’espressione serena, felice; i suoi occhi erano rivolti verso il cielo nero, sfolgorante di mille colori.
Il giovane Detective focalizzò immediatamente la sua attenzione sul microscopico pallino rosso che solcava rapido le pieghe degli abiti di quell’uomo e grazie a quel particolare, comprese che qualcuno fra gli arbusti teneva sollevato il fucile, un cecchino molto in gamba ed abile che utilizzava un sistema di puntamento laser. Si trattava sicuramente di un professionista. Shinichi compì uno scatto felino e si lanciò fra gli invitati, col cuore pulsargli in gola per l’agitazione.
“A terra! State a terra!” Gridò lui.
Lo sposo prese a fissarlo disorientato, noncurante di essere sotto tiro. A quel punto si sentì uno sparo, gli occhi del ragazzo schizzarono prima verso la direzione di provenienza della pallottola e in quel frangente vide il brillio dell’ottica, poi si slanciò con un balzo verso l’uomo che sostava a pochi passi da lui, ancora incredulo. Il proiettile sfiorò la manica della giacca di Shinichi, procurandole uno strappo, ma per fortuna egli riuscì ad atterrare assieme allo sposo. Erano entrambi a terra, sperimentando quanto fosse fredda e bagnata l’erba appena tagliata. L’aveva salvato.
Intorno a quei due si creò un vortice di persone in agitazione, la folla si era sparpagliata convulsamente, alcuni correvano, altri urlavano. Era il caos più totale.
Vermouth scostò un lembo del suo abito e rivelò una fondina nera avvolgerle la coscia, così estrasse la sua pistola e sparò un paio di colpi in direzione della macchia verde precedentemente indicata da Shinichi.
In un attimo, come un uccello levatosi al cielo dalle fronde di un albero, la figura di un’altra donna scattò in direzione della pineta. I suoi proiettili delinearono una linea a mezz’aria, ma ciascun colpo andò a vuoto, cosicché il killer si nascose dietro un tronco possente.
“Dannazione.” Vermouth si morse il labbro. “Chianti, maledetta.”
Ella poté osservare che alle loro spalle, alcuni gruppi di militari si riversavano dalle porte del’hotel, con i fucili d’assalto imbracciati. L’esercito iniziò subito le operazioni di salvataggio e in breve tempo gran parte dei civili fu messa in salvo. I soccorsi non tardarono e quando furono oramai ultimati i restanti interventi, un silenzio immobile calò sul grande parco, alla stregua di un manto vellutato che si posava sopra quella distesa verde.
Shinichi fu costretto a rientrare assieme a Ran, e d’altronde non avrebbe potuto invischiarsi in quella sottospecie di roulette russa, data la sua scarsa esperienza con le armi da fuoco.
Vermouth invece era là fuori, assieme ai suoi uomini. Ognuno era appostato in determinati punti strategici, accovacciati nell’atto di mimetizzarsi, o carponi presso i punti più alti dell’edificio, con i fucili di precisione puntati.
Una folata di vento si inoltrò fra i rami, agitando le fronde scure, producendo un solitario fruscio e addentrandosi timidamente fra i capelli biondi di Vermouth, la quale trattenendo il respiro e stringendo fra le mani la sua pistola, aveva il capo reclinato contro la corteccia ruvida di un albero.
Erano in una situazione di stallo, chiunque si fosse esposto sarebbe stato trucidato da una scarica di piombo. Ognuno si sentiva nella situazione di poter urlare “Scacco”, con la differenza che lo “Scacco Matto” sarebbe stato il sinonimo di una morte cruda e dolorosa.
La luna non c’era quella notte, era tutto inghiottito dall’oscurità e nell’aria aleggiava ancora l’odore dello scoppio dei fuochi d’artificio.
C’erano altri uomini dell’Organizzazione, probabilmente anche Gin.
Era tutto così maledettamente stantio, ogni foglia, ogni ramo spezzato ed ogni pipistrello facevano esplodere dalla paura il cuore di Vermouth. All’ennesimo ramo spezzato però, ella si sporse e sparò un colpo.
A quel roboante boato, ne seguirono degli altri, ci fu uno scontro diretto fra un paio di soldati, che in un istante fulmineo crollarono a terra con un tonfo agghiacciante. Una pozza di sangue nero si spandeva fra gli innumerevoli fili d’erba; la donna scattò dall’altro lato del parco e si fiondò al fianco di un cespuglio, col fiato mozzatole da continui singulti. L’ennesima raffica di proiettili proruppe nel silenzio ma ella non ebbe la possibilità di vedere chi fosse caduto nuovamente sotto i colpi del piombo, sentì semplicemente i rantoli dei moribondi riecheggiare, gelidi.
D’un tratto udì lo scalpiccio prodotto da alcuni passi, provenire proprio alle sue spalle.
La bionda si volse di scatto e brancolò saldamente la sua arma: di fronte ai suoi occhi stretti in una fessura, si delineava la figura di Chianti, col suo fucile imbracciato, decisamente troppo vicino perché un eventuale colpo potesse mancarla.
“Chi si vede. Si può sapere per quale motivo avete architettato tutto questo?” Vermouth mantenne la sua pistola puntata e fece attenzione nel sollevarsi in piedi, con la dovuta cautela.
Chianti si morse il labbro e non poté trattenersi un ghigno di compiacenza.
“Dovresti saperlo anche tu che noi dell’Organizzazione adoriamo i teatrini di lacrime e sangue. Ma che vuole saperne una traditrice?”
A quel punto il suo tono divenne più arcigno, la presa contro il freddo metallo del fucile più salda e nervosa.
“Non vi ho mai traditi, perché non ho mai lavorato realmente per voi. Facciamo un patto Chianti, io ora poso la pistola e tu posi quell’affare, nessuno si fa male e ne riparliamo un’altra volta, ok?”
La ragazza dai capelli corti digrignò i denti.
“Sta zitta.” Borbottò dunque, con rabbia. Non voleva scendere a patti, eppure Vermouth stava soltanto cercando di prendersi del tempo, poiché aveva già scorto la sagoma del Detective farsi sempre più nitida. Chianti non ebbe neanche l’opportunità di controbattere che un violento colpo di spranga si abbatté sulla nuca di lei, assestato in maniera tale da stordirla.
“Shinichi!”
Il ragazzo osservò la donna accovacciata al suolo.
“Sta arrivando la polizia.”
Le sirene provenivano da molto lontano, eppure i suoni divenivano più intensi un secondo dopo l’altro. “Rientriamo, se la caveranno comunque senza di te!”
Il Detective non conosceva il motivo preciso per cui le aveva afferrato il polso con particolare insistenza, eppure voleva che Vermouth si salvasse, che non ci rimettesse le penne: dopotutto era dalla loro parte. E di lei, ne era certo. Per quanto riguardava Shiho, non ne era più così convinto.
“Forza, non c’è tempo, muoviamoci!” Proseguì il ragazzo, esortandola ad entrare.
 
 
 
 
Shiho si sentiva male, fortunatamente non era terrorizzata e cristallizzata come quando aveva assistito alla sparatoria nel pub, eppure i brividi freddi continuavano a scuoterla visibilmente. All’ennesimo sparo che scalfì l’albero, delle grandi schegge di corteccia schizzarono via con dei colpi secchi ed ovattati. La ragazza arcuò le dita all’impermeabile scuro di Gin e si nascose dietro di lui, che al contrario era impegnato a far fuoco contro un paio di soldati.
“Lascia la ragazza!” Uno di loro era probabilmente intenzionato a liberarla eppure lei non mosse un muscolo, si ritrasse ancor di più fra il morbido tessuto nero.
Il biondo sparò un paio di colpi e quelle urla tacquero definitivamente, dopodiché egli si ritirò ancora con la schiena contro il tronco del grande albero. Con un braccio avvolse la vita di Shiho, l’altra mano era impegnata nello stringere a dita serrate il calcio della Glock.
“Maledetti piedipiatti, dobbiamo ritirarci, arrivano le volanti della polizia.”
Forse avevano preso Chianti, forse Vermouth era ancora viva, forse Shinichi, quel maledetto imbecille, l’aveva fatta franca per l’ennesima volta.
In sottofondo si sentirono un paio di altre raffiche di fucile, poi il nulla. Silenzio.
Shiho era stretta al petto di Gin e paradossalmente era rincuorata dal fatto che Shinichi e Ran stessero bene. Lei ormai si sentiva spacciata e completamente in balia di quell’uomo. Il tempo per redimersi l’aveva sprecato assieme alle lacrime, ai rancori e alle menzogne.
Col viso sul suo petto, ella poté sentire distintamente i battiti del cuore di Gin; era mostruoso, eppure lì sentì chiaramente, così cadenzati, così regolari, così anomali per poter provenire da un cuore fatto di arterie, carne e sangue.
“Gin?”
“Che c’è?”
La scienziata esitò per qualche secondo ma poi si riprese e proferì quelle parole in maniera decisamente più sostenuta. “Portami a casa, non ne posso più di queste sparatorie.”
A quel punto l’uomo si assicurò che i poliziotti non fossero ancora giunti sul posto, dunque dopo aver data l’ultima fugace occhiata, si dileguò nell’oscurità assieme alla sua damigella d’onore, che in quell’abito cremisi pareva ancor più bella e “maledetta”.
 
 
 
 
Chianti ed altri membri dell’Organizzazione furono sbattuti in cella senza neanche passare per il tavolo degli interrogatori: su di loro pendevano molteplici taglie e accuse che avrebbero riservato l’ergastolo ad ognuno di essi.
Erano le due di notte e l’ampio stradone di fronte all’ospedale pullulava ancora di volanti della polizia e di ambulanze con le sirene accese. I feriti si susseguivano uno dopo l’altro e Shinichi se ne stava presso l’entrata, con le mani ben riparate nelle tasche dei pantaloni e col vento freddo che gli sferzava il visetto pallido e smorto.
Che serata terribile, da dimenticare.
I suoi occhi scorrevano ormai lenti sulle barelle che sobbalzavano ad ogni gradino della scalinata, con i medici e gli infermieri che si adopravano per alleviare il più presto possibile le ferite di quella sparatoria. Era una guerra inutile, pensò il ragazzotto, oramai allo stremo delle forze, ma incapace di starsene beatamente a casa, fra le lenzuola.
Sfortunatamente in quell’Inferno era rimasto coinvolto anche lo stesso Kogoro.
Qualche minuto più tardi le porte dell’ospedale si aprirono e da esse comparve Ran: il suo volto era spento ed i suoi occhioni erano gonfi e rossi di pianto.
Il liceale le si avvicinò, manifestando inconsciamente la propria apprensione. “Va tutto bene, Ran?”
Lei annuì flebilmente. “E’ terribile Shinichi! Siamo sotto tiro! Quando finirà, quando?” Gli gettò le mani contro la giacca e prese a strattonarlo con movimenti bruschi e nervosi, dettati dall’esasperazione che le procurava quella situazione di scacco.
“Non ce la faccio più! Io non ce la faccio più ad andare avanti così! Falli smettere!”
“Ran.”
Shinichi si trovò ad affrontare per la prima volta la sua determinazione e nuovamente lesse in quelle pupille umide la speranza, i sogni del futuro, la vita. “Ti prometto che non succederà più una cosa simile. Non morirà più nessuno. Avranno quel che si meritano. Hai la mia parola.”
“Ho avuto troppe volte la tua parola, quella volta mi dissi che saresti tornato, che te ne andavi via soltanto per qualche istante, poi ti sei allontanato correndo e non ti ho più rivisto. Ma perché deve essere sempre tutto così difficile?” La sua presa si fece più stretta e Shinichi riuscì a sentire che la sua camicia si inumidiva delle sue lacrime, che silenziosamente versava con la fronte contro il suo petto. Delicatamente le sfiorò i capelli lunghi, le sue dita si intrecciarono fra quella massa setosa e liscia, morbida.
“Mi dispiace. Sono peggio di Sherlock Holmes.” Un sorriso amaro si dipinse sul suo volto, poi le sfiorò la guancia con la mano e poté osservarle ancora il viso bagnato.
“Dai, ti porto a casa ora, domani porteremo un DVD di Yoko a tuo padre e vedrai che la convalescenza gli sembrerà il più dolce dei suoi ricordi. Ora però fammi un sorriso.”
Ran sollevò il capo ed annuì.
Sorrisero. Entrambi.
 
 
 
 
La porta si richiuse dietro di loro e come in un batter di ciglia, qualsiasi rumore si acquietò, qualsiasi parola scivolò via dalle loro labbra, per cedere il posto ad un lungo silenzio, uno di quei silenzi che valgono più di mille parole, uno di quei silenzi in cui tutto avviene come per magia, come l’inevitabile, come l’imprevisto, l’inaspettato. In cui tutto quel che accada pare il film di cui si è spettatori inconsapevoli.
Le tende bianche si gonfiavano ad ogni folata di vento, di tanto in tanto si udivano delle automobili sfrecciare nel buio, dispiegando sulla strada l’opaco bagliore giallastro dei fanali anteriori.
Il biondo si avvicinò alla finestra e scostò le tende, in modo da potersi sporgere a guardare il panorama notturno, le vallate disseminate di tenui luci colorate. In lontananza si intravedeva il mare, così piatto e nero da far spavento. Erano all’ultimo piano di una palazzina, Shiho era con lui. Quest’ultimo si sfilò il cappello senza dir nulla e con un rapido gesto della mano si ravvivò i capelli platinati, che fluivano morbidi lungo le spalle. Si sfilò una sigaretta dal pacchetto e l’accese. Era piacevole sapere che alle due di notte il sonno non l’aveva ancora colto di soppiatto e di quei momenti riusciva sempre ad approfittarne, a renderli estremamente rilassanti.
Eppure c’era qualcosa che turbava quell’idillio abitudinario, usuale. C’era qualcosa che rompeva quell’equilibrio metodico che egli si era costruito all’interno della sua psiche. C’era qualcuno, quella notte, per cui il sapore della sua sigaretta pareva ancor più eccitante del solito. Volse leggermente il capo e la vide: sedeva sul bordo del letto ma gli dava le spalle.
“Ti è morto il gatto?” Borbottò Gin, dischiudendo le labbra e buttando fuori il fumo, che pian piano si addensò sopra di lui, poi immediatamente inghiottito dall’aria che penetrava dalla finestra.
“Fottiti.”
La bionda non si abbandonava praticamente mai al turpiloquio, eppure quell’uomo le dava ai nervi. Volevo solo starsene tranquilla, perché doveva infastidirla con le sue uscite fuori luogo?
Lui rise sommessamente, Shiho sentì l’odore della nicotina spargersi prepotentemente per tutta la stanza e come di consueto un colpo di tosse la scosse tutta. Riusciva a ‘sentire’ le labbra dell’uomo che si adagiavano sulla sigaretta e che l’attimo successivo si aprivano in una boccata di fumo.
“Mia dolce Sherry. Questo linguaggio non ti fa onore.”
Si divertiva a punzecchiarla, con quel tono pieno di sarcasmo e ovattato continuamente dal mozzicone che sostava quasi perennemente fra le sue labbra.
Shiho strinse i pugni con forza, fin quando non sentì che le unghie le spingevano nella carne fino a farle male. “Lasciami in pace, sono stanca.”
Maledizione, aveva un groppo alla gola che le impediva di respirare regolarmente e se quell’idiota avesse continuato a parlare sarebbe probabilmente scoppiata in lacrime.
Gin non proferì più alcuna parola, smise di fumare e ciccò nel posacenere sulla scrivania lì di fianco, dopodiché fece qualche passo verso il letto, fin quando non giunse al fianco della ragazza.
Shiho osservava distrattamente i contorni dei mobili in penombra, tentando disperatamente di focalizzare altrove la propria attenzione. Eppure tutto quello sforzo venne immediatamente vanificato quando sentì che Gin si era seduto alle sue spalle e che le fredde dita della sua mano si posavano delicatamente sulla sua spalla nuda. Era paralizzata.
La mano ridiscese lenta sulla clavicola scoperta, poi arcuò le dita contro il collo sottile e la costrinse a reclinare il capo, di modo che si potesse avvicinare a lei. Erano guancia a guancia, Shiho osservò il viso di Gin con la coda dell’occhio e udì il suo respiro caldo spandersi sulla spalla, sul collo. Lì, egli vi dischiuse le labbra e prese a lasciarle alcuni baci lenti, lentissimi.
“Ma che diavolo fai?” Sussurrò lei, in preda al panico.
“Sherry.”
La sua voce era flebile, ma il suo tono basso, sembrava che stesse parlando alla propria vittima, tanto che non abbandonò la vena fredda e cinica del carnefice. Shiho rabbrividì nuovamente e all’ennesimo bacio alla nuca, ove il suo viso la stava quasi solleticando, si spinse all’indietro contro il suo petto, sprofondandovi.
A quel punto la biondina si voltò, finalmente scorse i suoi occhi verdi fra i ciuffi biondi di quella capigliatura lunga e folta. Decise che era giunto il momento di non pensare. Non doveva più pensare a niente, non doveva pensare a nessuno, doveva svuotare la mente di qualsiasi pensiero. Ne avrebbe avuto bisogno.
Gin le strinse il polso e la tirò a sé con un gesto deciso, violento.
“Guardami, maledizione. Guardami in faccia.” Ringhiò.
“Ti sto guardando.” Controbatté lei, il cui nervo della sconfitta bruciava, poiché ormai scoperto.  La sua voce era stranamente roca e contrita. I loro visi si sfioravano, come due bestie che si scrutavano l’un l’altra in procinto di fronteggiarsi.
“Ecco, brava. Guardami bene perché sarà l’ultima volta in cui fisserai questi occhi senza vergognarti.” Sorrise, e quel sorriso fu tremendo, sadico. Demoniaco.
Shiho sentì il cuore perdere un battito importante, sgranò le palpebre e completamente inebetita e costretta da quella presa sprofondò ancora in un bacio appassionato con l’uomo che le aveva reso la vita un Inferno. “L’inferno sono gli altri”, scriveva Sartre. E lei in quell’Inferno di sangue, aveva trovato la consolazione, il rimedio ai suoi mali, alla solitudine che pervadeva ogni cellula del proprio corpo. Aveva trovato riparo fra le braccia dell’uomo che aveva ammazzato sua sorella, le sue braccia forti che le facevano perdere il controllo e la cognizione del tempo, ogni qualvolta la attiravano in quell’estasi di terrore.
Gin la spinse contro il letto e in un attimo fu sopra di lei, i loro corpi aderivano perfettamente. La scienziata emise un sospiro, si sentì “schiacciata” dal peso di quell’uomo.
Le mani di lui si serrarono intorno ai suoi polsi ormai deboli ed ella si arrese.
Gin le sfiorò la guancia con le labbra e lasciò che lì “morissero” le due parole che Shiho non avrebbe mai dimenticato.
Era sua.
 
 
 
 
Camminava spedita lungo il corridoio, non appena entrò nella stanza istintivamente tentò di riscaldarsi, sfregandosi le mani contro le braccia nude. Era un ambiente completamente spoglio, la mobilia era cosparsa da un sottile strato di polvere, che risaltava ancor di più per via della luce rossastra del tramonto che tingeva il cielo di rosso. La finestra dai vetri consunti e sporchi non le permetteva di distinguere su che lato affacciasse l’edificio, ma poco le importava. D’un tratto sentì dei passi alle spalle, dunque, si voltò.
“Vermouth. Alla fine sei venuta.” Gin era avvolto nel suo impermeabile nero e teneva le mani infilate nelle tasche, la tesa del cappello e i capelli oscuravano parzialmente il suo viso, da cui non trapelava alcuna emozione. Un pezzo di ghiaccio, insensibile.
“Come hai potuto credere che io vi avessi tradito?” Esordì la donna con il solito sorrisetto beffardo dipinto sulle labbra rosse. “Sei un uomo di malafede.”
Ci fu un istante di silenzio in cui Gin percorse parte della stanza e si dispose parallelamente alla finestra, di modo che fosse proprio di fronte ad essa. Vermouth si avvicinò ulteriormente.
“Allora, Gin? Mi credi?”
Silenzio. L’elegante donna comprese, allora.
“Vorrei crederti, Vermouth. Vorrei tanto. Ma al di sopra di qualsiasi rapporto umano c’è sempre il nostro sporco lavoro, non ricordi?”
“Sto dicendo la veri …” Le parole le si strozzarono in gola, il fiato si prosciugò istantaneamente quando una pallottola argentea la trapassò da parte a parte. Si accasciò al suolo, appuntellando le ginocchia contro di esso. “Maledetto. Vai all’Inferno. Gin.” Vermouth si contorse dal dolore: così, dolorante a terra, pareva quasi innocua, pareva quasi una donna priva di malvagità, una donna incapace di uccidere. Gli uomini in punto di morte, mostrano sempre la loro parte migliore e si rivelano per quel che sono veramente.
Il biondo le si avvicinò e con un gesto sprezzante le diede un calcio alla bocca dello stomaco. La suola della scarpa spinse con forza contro il petto di quella donna e Gin, dall’alto della sua superiorità le si rivolse con atteggiamento vanaglorioso. “Sai Vermouth. La morte ti fa bella.”
Tese nuovamente il braccio e sparò un altro colpo, stavolta, quello fatale.
Gin si era preso la sua vita, e con essa, la vendetta.
La figura imperiosa dell’assassino si stagliava macabra e nera, in controluce, contro la finestra che diffondeva la luce rossastra. Il giorno stava per finire, un volo nervoso di corpi si librò verticalmente.
Le campane, suonavano a morte.
 




 





Anzitutto, mi scuso con tutti per l'enorme ritardo con cui aggiorno! Sapete, è stato un periodaccio, fra scuola, cose che son successe ed altro... dunque, eccomi qui, nuovamente. Questo è l'importante. Per quanto riguarda il capitolo, beh, spero vivamente che vi sia piaciuto!!! L'ispirazione mi ha colta di notte, mio malgrado, e così sono stata un fiume in piena che ha riversato i propri pensieri su un foglio bianco. Saluto tutti caldamente, spero che possiate perdonare questo mio ritardo ipermega giganterrimo :( Un bacio grande grande grande a tutti voi, e un abbraccio.. a presto U_U Ora, i ringraziamenti :) 

Coloro che hanno la storia fra le preferite: 

A_M_B, chyo, Evelyn13, Imangaka, ismile, I_Am_She, Lady Night, Queenala, Silver spring, trunks94_cs, Violetta_, Yume98, _Flami_; Xx_PansyRomance_xX; suici007

E ancora coloro che la hanno fra le seguite!!! 

Anemone san, Bankotsu90, Caroline Granger, Chicc, Evelyn13, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Nezu, Red Fox, Sherry Myano, sosia, tigre, trunks94_cs, Violetta_, _Flami_, Shinku Rozen Maiden


Vi amo *_____________* Alla prossimaaaaaaaaaaaaa!!! :) :) :)


P.S: Non so più che cavolo di rating mettere alla storia... per voi va ancora bene giallo o mi tocca cambiarlo? :) Per ora l'ho cambiato in 'arancione' in quanto anche ripensando a quel che ha scritto Flami, ci sono molte morti, molto sangue, molta tensione e un pelino di riferimenti 'caldi', ergo... forse è meglio così! :)
  
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