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Autore: Alexandra_ph    16/05/2012    2 recensioni
Scritta nel dicembre 2006, la vicenda si colloca dopo la puntata FWFS...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers : Il marchio Jag e tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius Production. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.

S. Natale 2006

Travolti dal consumismo, dalla fretta e dal lavoro, diventa sempre più difficile sentire lo Spirito del Natale. Anche per me, nonostante io adori tutto quanto riporti all’atmosfera natalizia.

Pur trascorrendo il giorno di Natale più o meno allo stesso modo, con i familiari, in un pranzo che spesso si trascina fino a pomeriggio inoltrato, mi sono resa conto di sentirlo ogni anno in maniera diversa. E, contemporaneamente, nelle settimane precedenti, attenderlo anche in maniera diversa.

Ci fu l’anno in cui restaurai il vecchio presepe di quando mio padre era ragazzo: ogni sera pulivo, aggiustavo e ridipingevo una statuina… finché il presepe non fu pronto. Poi ci fu l’anno in cui dipinsi per ore ed ore, di sera o nel week-end, un lenzuolo natalizio per mio figlio.

Ora, da qualche anno a questa parte, l’attesa del Natale, tra le altre cose, la riempio scrivendo un racconto natalizio.

Spesso accompagnata da un sottofondo musicale in tema, lentamente mi calo nell’atmosfera, e mentre scrivo, dipingo o preparo un presepe, un insieme di ricordi, di idee, di emozioni si affaccia alla mente e ogni anno, da queste piccole cose, ecco che poco alla volta, ritorna anche lo Spirito del Natale.

Perché, in effetti, l’unico posto dove cercarlo e trovarlo è dentro se stessi.

Ma cos’è lo Spirito del Natale?

E’ una domanda che mi sono posta più volte, soprattutto in questo periodo, e sulla quale ho riflettuto parecchio. Tralasciando per un attimo le solite frasi fatte, o quello che significa sul piano religioso, ho provato a pensare cosa significhi davvero per me. O, meglio ancora, come ogni anno lo ritrovo.

Mi succede sempre quando penso o faccio qualcosa non per me stessa, ma per qualcun altro, benché quel qualcosa che faccio possa procurare piacere anche a me.

E allora ho capito che, forse, il vero Spirito del Natale è smettere per un attimo di pensare a noi stessi e dedicare i propri pensieri agli altri.

Non importa come: se portando in vita un ricordo, se regalandone uno, se donando dieci minuti di spensieratezza a chi, magari, troppo preso da altre cose, ne ha davvero bisogno, oppure se pensando ad un regalo speciale per qualcuno… l’importante è dedicare una piccola parte del nostro tempo per gli altri, siano essi familiari, amici o anche, eventualmente, degli sconosciuti.

Ritrovando lo Spirito del Natale, ogni anno mi accorgo anche che ho sempre qualcosa per cui “ringraziare”.

Quest’anno, in particolare, per mio padre, che è ancora con me a festeggiare quando, solo sei mesi fa, ho temuto che non ci sarebbe più stato.

Per questo motivo, questo racconto lo voglio dedicare a lui.

Buon Natale a tutti

Alexandra


CHRISTMAS CAROL

22 DICEMBRE

Saint Vincent Hospital – Blacksburg, Virginia

Gli occhi continuavano ad inquadrare le stesse pareti, la stessa finestra, gli stessi mobili. Da mesi, ormai.

In quei giorni qualcosa, tuttavia, era cambiato: le infermiere, nonostante le sue proteste, avevano appeso alcune decorazioni natalizie, segno evidente che il tempo trascorso dal suo incidente era davvero ormai troppo.

Il dottor Clive continuava a dire che non c’erano motivi fisici perché non camminasse, e lo stesso ripeteva in continuazione Barbara, la fisioterapista che ogni mattina ed ogni pomeriggio costringeva le sue gambe a continui ed estenuanti esercizi.

Inutili, a suo parere.

Indispensabili, secondo Barbara. E, ovviamente, era l’opinione di Barbara quella che contava. Non di certo la sua.

In quei giorni, inoltre, anche i suoni, solitamente gli stessi, erano un po’ cambiati: all’ovattato silenzio che generalmente accompagnava le interminabili giornate, interrotto solo dai passi di medici ed infermiere nel corridoio, dai carrelli di medicinali o cibo spinti dagli inservienti e dalle voci dei parenti in visita e poco altro, si era aggiunta la soffusa melodia di brani natalizi neppure cantati, semplicemente suonati da un’orchestra di musica classica. Probabilmente secondo la direzione dell’ospedale avrebbero dovuto portare un po’ di allegria.

Ma cosa c’era d’essere allegri?

Proprio nulla, a suo parere.

Mattie Johnson si guardò attorno per l’ennesima volta, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia. Con un gesto stizzito, sollevò la mano e l’asciugò rapidamente. Se avesse permesso ad una sola delle sue lacrime di aprire un varco, anche piccolo, alla disperazione che sentiva in quel momento, sarebbe stata la fine…

“Harm… dove sei?”.

Neppure lui, quel Natale, sarebbe venuto a trovarla. Le aveva telefonato da Londra poche ore prima, per comunicarglielo.

Non ce la faccio proprio a venire, Mattie… mi spiace. Il lavoro… Non appena mi libero ti prometto che verrò a trovarti… Come vanno gli esercizi?”

Erano tutte scuse, lo sapeva: anche lui non sopportava di vederla in quel letto, per questo non avrebbero passato il Natale insieme.

Esattamente come suo padre, anche Harm stava fuggendo da lei, ormai un’invalida.

Chiuse gli occhi e si premette le mani alle orecchie, voltando la testa da un lato… era stufa di vedere quell’alberello di Natale che le infermiere avevano appoggiato sul tavolino davanti al suo letto, esattamente com’era stufa di sentire quelle melodie sdolcinate.

Al diavolo tutto quanto!

Cosa c’era da festeggiare, quell’anno?

Ufficio del Capitano Rabb – Londra

“Mac… per favore… cerca di capire…”.

“Che cosa, Harm? Cosa dovrei capire?”

“Ti ho detto che non riesco proprio a liberarmi per Natale… Magari per il primo giorno dell’anno…”

“Mattie ti aspetta. Come puoi deluderla così?”.

Harmon Rabb chiuse gli occhi, sospirando. Sapeva che Mac aveva ragione e questo lo faceva sentire ancora più in colpa.

“Di cosa hai paura, Harm?” aveva domandato lei.

Cosa temeva? Forse, proprio dover rispondere a quella precisa domanda… perciò rimase in silenzio, di nuovo.

“Non sei obbligato a vedere me… Ma vai da Mattie, almeno…”.

Dannazione! Aveva capito. In fondo doveva aspettarselo.

“Mac… ti prego… Non si tratta di questo…” Lei, però, aveva già interrotto la comunicazione.

Con un moto di rabbia, insolito in lui, gettò il telefono sulla scrivania, si alzò e, senza neppure infilarsi il cappotto, uscì dall’ufficio, sbattendo la porta alle sue spalle.

“Capitano Rabb…”, cercò di fermarlo il tenente Leach, suo segretario.

“Devo uscire”, bofonchiò senza neppure fermarsi.

“Il cappotto, Signore…” disse il tenente, ma lui era già sparito.

Ufficio del Colonnello Mackenzie – S. Diego


Le lacrime le avevano inumidito gli occhi, ma fece il possibile per trattenerle. Era inutile piangere. Erano mesi, ormai, che lo faceva quasi ogni sera, prima d’addormentarsi. E non era cambiato nulla.

Harm continuava a fuggire. Da Mattie e da lei.

Eppure c’era stato un momento in cui aveva creduto che tutti i suoi sogni si sarebbero finalmente realizzati. Era successo la sera prima della partenza per le loro rispettive nuove destinazioni.

In aprile di quell’anno, proprio poco dopo che Mattie aveva avuto l’incidente che tuttora la costringeva immobile in ospedale, il generale Cresswell aveva comunicato la promozione di Harm a Capitano e il suo trasferimento a Londra, a capo del Jag in Europa; mentre lei era stata assegnata a dirigere gli uffici di S.Diego.

Per entrambi un’ottima prospettiva di carriera, che tuttavia li aveva colti di sorpresa; benché da tempo si aspettassero di essere divisi, l’idea di non lavorare più assieme li aveva resi consci, finalmente, dei sentimenti che provavano l’una per l’altro e dopo anni erano riusciti a confessarselo.

La prima e unica volta in cui avevano fatto l’amore era stata stupenda. Forse, se lo fosse stata di meno, sarebbe stato tutto più facile.

Era stato proprio Harm a suggerire di lasciare che fosse il Destino a decidere chi dei due avrebbe dovuto abbandonare la propria carriera per seguire l’altro e poter finalmente vivere assieme come marito e moglie.

Non se l’era sognato: Harm, quella sera, le aveva davvero chiesto di sposarlo. E lei era stata così felice… anche quando, poche ore dopo da McMurphy, lo avevano detto ai loro amici più cari… anche allora le era sembrato tutto un sogno, troppo bello per essere vero.

Ed infatti…

Bud, come aveva chiesto Harm stesso, aveva lanciato in aria davanti a tutti la moneta che avrebbe dovuto rivelare la decisione che il Destino aveva preso per loro; ma quando era caduta nelle mani del Capitano di Corvetta Roberts, Harm lo aveva fermato.

“Aspetta Bud… “ e poi l’aveva guardata.

Lei non avrebbe mai scordato quello sguardo: paura. Aveva scorto la paura negli occhi dell’uomo che amava da anni.

“Forse è meglio che siamo noi a decidere…” aveva detto lui, con un sorriso, davanti a tutti. E gli altri, benché sorpresi da quel cambio d’idea improvviso, avevano annuito… la tensione, che era stata palpabile per alcuni attimi non appena Harm aveva interrotto Bud, si era sciolta immediatamente tra le rinnovate congratulazioni per il matrimonio, le chiacchiere e i saluti.

Solo quando tutti se n’erano andati e Harm aveva iniziato a parlare per spiegarle quello che intendeva, lei aveva capito esattamente il perché di quello sguardo che aveva scorto nei suoi occhi: stava fuggendo di nuovo.

“Ho fermato Bud perché non volevo che fossi tu a dover rinunciare alla tua carriera…”

“Cosa ti fa essere così sicuro che la moneta sarebbe stata a tuo favore?” aveva ribattuto lei.

“Non volevo farti correre il rischio”.

“Che gentile! Sicuro che non sia stato perché temevi di dover essere proprio tu quello costretto ad abbandonare la Marina?”

Non era riuscito a rispondere nulla. E lei aveva capito. Purtroppo aveva capito tutto quanto.

“Potremmo iniziare i nostri rispettivi incarichi e sposarci fra un po’… nel frattempo avremo provato con il nuovo lavoro, sapremo decidere meglio…” aveva proposto infine Harm.

Non aveva detto più nulla; si era limitata a guardarlo, con la tristezza nel cuore. Era certa che se lui fosse andato a Londra, non sarebbe più tornato indietro, neppure per lei.

Non era riuscita più a dirgli neanche quello che aveva deciso solo poche ore prima, tra le sue braccia: si era sentita così felice con lui che, nonostante la sua proposta di lasciar decidere tutto quanto al Destino, aveva pensato che lo avrebbe seguito persino in capo al mondo, abbandonando tutto quanto, pur di potersi svegliare ogni giorno accanto a lui.

Harm era sembrato così convinto di volere che fosse una moneta a decidere del loro futuro, che aveva pensato di assecondarlo; tuttavia aveva anche stabilito dentro se stessa che se la sorte avesse deciso a favore di Harm, avrebbe finto di fare buon viso a cattivo gioco e lo avrebbe seguito senza dirgli nulla, ma che se invece il destino avesse deciso che dovesse essere lui a rinunciare alla sua carriera per seguire lei, allora glielo avrebbe impedito e gli avrebbe comunicato la sua decisione.

Forse aveva sbagliato a non dirgli nulla…

Ma era stato quello sguardo di paura che l’aveva bloccata: Harm non temeva solo una decisione per le loro carriere… Era il legame definitivo tra loro due ciò che lo spaventava maggiormente.

Ne aveva avuto la conferma nei mesi successivi; dopo aver acconsentito, pur a malincuore, di fare come desiderava lui, più volte aveva tentato di portare nuovamente il discorso sul loro futuro. Lei non ce la faceva a vivere così lontano.

Voleva stare con Harm, avere una famiglia, anche se probabilmente il suo sogno di avere dei bambini sarebbe rimasto per sempre un sogno. Ma c’erano tante altre possibilità…

E poi c’era sempre Mattie, che aveva tanto bisogno di loro due.

Gli aveva proposto anche di accompagnarla lei a Londra, per poterla avere più vicino… ma lui aveva trovato un milione di inutili scuse, tra le quali il padre di Mattie.

Erano mesi che il padre di Mattie non si faceva più vivo con la figlia.

Lei era andata tre volte a trovarla, ogni volta che ne aveva avuta la possibilità, e la ragazza stava davvero soffrendo molto… Harm non si era mai fatto vivo con lei, se non al telefono.

La scusa era sempre il lavoro, ma Mac sapeva che se Harm fosse volato a Washington per Mattie, avrebbe dovuto affrontare la loro situazione irrisolta, ed era proprio questo a frenarlo.

In questo modo stava trascurando anche Mattie e lei non poteva permetterlo.

Per questo motivo gli aveva finalmente detto quello che aveva dentro da mesi: non era obbligato ad andare da lei, se andava a trovare Mattie. Come immaginava, non era riuscito a rispondere nulla. Quindi aveva ragione: il problema era lei, non la ragazza.

Ricacciando indietro con determinazione le lacrime, decise che quel Natale Mattie non sarebbe rimasta sola. E lei nemmeno. All’interfono chiese alla sua assistente di prenotarle l’aereo per Washington per l’indomani, non importava a che ora, purché le trovasse un posto.

  
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