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Autore: Flower_91    16/05/2012    0 recensioni
Ho scritto questo testo per un concorso il cui tema era la solitudine.
Un ragazzo, il suo passato, una solitudine interiore nascosta da una maschera pirandelliana. La pioggia, qui descritta, rievoca i ricordi come i biscotti Madeleine di Proust.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I raggi del sole penetravano dalla piccola finestra nella camera di Sam andando a posarsi sulle sue palpebre chiuse che, dopo qualche secondo, iniziarono a muoversi. Aperti gli occhi prese la sveglia, erano le sei, troppo presto ancora per alzarsi ed andare a scuola. Si mise seduto sul suo letto a fissare quegli squarci di luce che sembravano davvero voler far esplodere la finestra per potersi mostrare in tutta la loro bellezza. Mentre il suo pensiero vagava libero, il rumore della porta della camera dei genitori lo riportò alla realtà. Guardò la sveglia, si erano fatte le 06:20 e il padre stava uscendo per andare a lavoro. Per paura che potesse entrare in camera per salutarlo, Sam si mise nuovamente sotto le coperte facendo finta di essere ancora addormentato. Il padre entrò e vedendolo ancora a letto decise di non avvicinarsi ma sorrise guardandolo. Appena sentì il rumore della porta chiudersi Sam fece un profondo respiro e cercò di calmarsi. Era a disagio. Sentiva lo stomaco torcersi in una danza scomposta, come se stesse avvenendo una lotta all’interno del suo intestino. Al pensiero di soldatini e navicelle che si scontravano nel suo corpo, Sam sorrise e si alzò per andare a scuola.
La giornata scolastica passò abbastanza in fretta ma, al contrario di altri giorni, con una grossa novità: una nuova ragazza, dall’aspetto composto ed elegante, era arrivata nella IV A e il docente della prima ora, il Sign. Mafer, la descrisse come una ragazza dotata che non aveva mai avuto una media inferiore al 9,05. Sam non rimase indifferente alla cosa. In tutto il liceo era sempre stato considerato uno degli studenti migliori che l’edificio scolastico, e la regione stessa, avessero mai visto. Un ragazzo, uno studente e un atleta modello. Qualsiasi cosa facesse era sempre eccellente. Nei giorni seguenti Sam cercò di studiare gli atteggiamenti della sua nuova compagna ma era sempre così perfetta. Non peccava mai. Durante una lezione di scienze, il professore comunicò che, per una ricerca, la classe si sarebbe dovuta organizzare in gruppi di due e, casualmente, Sam capitò proprio con lei, Dora. Passarono i seguenti cinque giorni a stretto contatto e si rese conto che la vera Dora era ben diversa da quella che appariva durante le lezioni. Era solare, ingenua, distratta, scorbutica e disordinata. Il vero essere di Dora lo spaventava, lo confondeva, lo faceva sentire diverso ed inadeguato. Vedeva la luce di Dora scontrarsi impetuosa con il suo buio. Un mercoledì, una giornata uggiosa e nuvolosa, si diedero appuntamento al parco intorno alle cinque. Arrivarono entrambi puntuali e, dopo neanche il tempo di un breve saluto, iniziò a piovere. Una pioggia fitta e densa si scontrava contro le panchine, contro gli alberi e i lampioni, contro gli ombrelli dei passanti apparsi come per magia nello spazio circostante come se fossero fiori sbocciati in una frettolosa primavera. Dora si era rifugiata sotto un portico lì vicino e continuava a chiamare il nome di Sam senza alcuna risposta. Era immobile sotto la fitta pioggia, come una statua di marmo costretta a sopportare tutte le sfumature delle varie stagioni senza poterle contrastare.
Dora decise di avvicinarsi:
  - Ehi ma sei sordo? Che cosa aspetti a venir lì sotto con me, se resti lì prenderai un malanno e la tua media scolastica si abbasserà a causa delle assenze! - disse mentre gli correva incontro. Sam non rispose.
  - Mi stai ascoltando?! – lo strattonava per cercare di farlo reagire. All’ istante Sam alzò lo sguardo verso di lei: aveva gli occhi persi nel vuoto, vitrei, come se qualcuno gli avesse portato via le forze, l’anima, la voglia di vivere. Stava avvenendo una lotta in Sam, una lotta di emozioni non controllabili.
  - Vattene – disse Sam con voce flebile ma decisa - per favore.
  - Dove vuoi che vada insomma – non riuscì neanche a finire la sua frase perché fu interrotta dall’urlo di Sam che le chiedeva di andarsene. Dora non aveva mai sentito un urlo così straziante. Indietreggiò e con il cuore colmo di dolore e gli occhi ricchi di lacrime corse verso casa girandogli le spalle. Sam invece rimase li, ad assorbire la pioggia che scendeva da quel grigio cielo. Ogni goccia caduta non faceva che aumentare la sensazione di angoscia ed inadeguatezza che stava provando, ne assorbiva la loro essenza come fa una pianta per nutrirsi. Nutrirsi di cosa però? Di dolore, di un passato che sperava di aver cancellato dalla sua vita. Pioveva anche quando, all’età di cinque anni, Sam decise di andar via da casa. Nella sua mente riaffioravano questi ricordi ed ogni volta che una goccia gli sfiorava il volto era come se sentisse gli schiaffi dati da quella mano paterna che gli sembrava così enorme. Si ricordò che rimase per circa tre ore fuori di casa, rannicchiato in un angolo alla periferia della città vicino ad industrie e gas di scarico. Non si ricordava neppure come avesse fatto ad arrivarci. Aveva la testa immersa nelle ginocchia, era fradicio ed aveva freddo. Tremava. Non riusciva a smettere di piangere e covava un odio e un dolore che si erano mischiati in una miscela omogenea. All’improvviso una mano sconosciuta gli si era avvicinata al viso e, per abitudine, il piccolo Sam aveva chiuso gli occhi in attesa di sentire un forte dolore alla guancia che gli avrebbe poi preso tutta la testa. Dolore che non sentì. Sentì solo una carezza e il caldo tepore di una grossa coperta. Il calore dell’amore. Erano passati ormai dodici anni da quel giorno e Sam credeva di essere riuscito a dimenticare tutto quel dolore, ma, come una terribile maledizione inflittagli dal destino, all’arrivo della pioggia il suo io crollava lasciando spazio al passato. Quel passato che per anni aveva cercato di nascondere. La pioggia faceva crollare la sua maschera da ragazzo modello e gli faceva ricordare il sangue che scorreva nelle sue vene. Un sangue di due genitori che lo avevano maltrattato ed abbandonato, un sangue che Sam non voleva. Tornò a casa e si chiuse in camera sua, prese una taglierina e con tutta la forza che aveva si recise le vene del polso sinistro. Sentì il calore del sangue attraversargli tutta la mano, era piacevole. Sentiva che le forze lo stavano abbandonando, era come quando si è troppo stanchi e deboli per alzarsi dal divano ed andare nel proprio letto. Quando riaprì gli occhi si trovava in una stanza austera, con le pareti bianche e grigie in un letto d’ospedale. Dora era lì accanto che teneva ben stretta la mano ferita.
Si ricordò il modo in cui l’aveva trattata e decise di parlarle:
  - Devo chiederti scusa per ieri, non era mia intenzione trattarti così – disse senza guardarla negli occhi, non ne aveva il coraggio.
Le lacrime iniziarono a solcare il viso di Dora che sorridendo disse:
  - Sei proprio uno stupido.
Sam decise di raccontarle la verità. Le raccontò di quando era scappato di casa, dei motivi, e di quella dolce mano che gli riservò una carezza inaspettata e un amore mai provato.
  - Era la mano di mio zio, quello che io ora chiamo padre - riprese Sam. E poi continuò:
  - Il mio vero padre e mia madre erano dei delinquenti, rubavano, uccidevano per denaro. Mio zio mi raccolse dalla strada e mi portò a casa con sé, la casa nella quale ora vivo con lui e mia zia. Mi hanno sempre amato come se fossi loro figlio e gli sono grato per questo, ma io non ci sono mai riuscito. Non riesco a volergli bene come vorrei perché il mio passato non mi abbandona. Decisi da piccolino che gli avrei ringraziati per il loro amore diventando un ragazzo modello e così ho fatto. Ho costruito tutta la mia vita su questo, indossando una maschera per tutti questi anni, ma quando ti ho conosciuta.. Eri una ragazza diversa, spontanea e sincera anche con la tua famiglia. Quello che io non sono mai riuscito ad essere. Ho paura di mostrarmi per quello che sono, anche se non so nemmeno chi io sia. Per troppi anni ho vissuto con la convinzione di essere quella persona, quella maschera, e ora mi sono perso. Sono circondato da persone che mi amano ma non sento questo calore. Ogni giorno è una lotta continua tra me e il mio passato. Qualcosa mi circonda, mi isola e mi sento solo nonostante tutto. Non so chi sono. Non voglio scoprirlo, no, non voglio sapere chi sia davvero - scoppiò in lacrime.
Dopo aver sentito la sua storia Dora era molto scossa, quasi incredula, ma Sam aveva bisogno di lei.
  - Sam… Ma cosa ti spaventa? Essere spontanei con gli amici, e anche con la famiglia, è una delle forme di libertà più complete, e tu con me puoi esserlo. Sempre. - disse Dora.
  - E se togliendomi la maschera, lasciandomi andare, scoprissi di essere una persona orribile come mio padre?! Non voglio esserlo, non voglio. Nelle mie vene scorre il suo sangue! - continuava a piangere.
  - Sam - disse Dora - tu sei un ragazzo straordinario! Pensi che una persona cattiva solo perché si imponga di essere una bella persona possa davvero esserlo? Le brutte persone rimangono tali se non hanno una luce che vibra in loro e tu questa luce ce l’hai, a prescindere dal tuo passato. Ti va di scoprire insieme chi è davvero Sam? - disse Dora con un enorme sorriso. Sam la guardò. Accanto a lei tutto pareva più semplice e possibile. Aveva mentito per troppo tempo ed era arrivato il momento di affrontare le proprie paure. Prese coraggio, fece un grande respiro e guardandola negli occhi le disse:
  - Si, scopriamolo insieme.
Per la prima volta in tutta la sua vita si sentì finalmente libero. 
  
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