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Autore: Moonage Daydreamer    16/05/2012    1 recensioni
Questo scritto non è una vera è propria fanfiction, ma una rielaborazione dei canti XVII e XVIII dell' Iliade.
In questo testo ho cercato di rispettare, per quanto possibile, il poema originale, ma rivisitandolo in chiava più attuale, rendendo più "umani" i personaggi, che spesso sono poco verosimili.
Per questo motivo ho scelto questi due canti, che sono quelli in cui Patroclo viene ucciso da Ettore e Achille manifesta tutto il suo dolore per la perdita dell'amico.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cantami, o Diva
Le grida della battaglia si facevano sempre più forti: i Troiani dovevano essere ormai vicini alle navi.                                                                                                       
Stringendo i pugni mi alzai dallo scranno e cominciai a camminare per la tenda, fremendo. Desideravo più di ogni altra cosa poter impugnare di nuovo la lancia di bronzo nella battaglia contro i Teucri, ma l'offesa che Agamennone mi aveva arrecata era troppo grave perché potessi dimenticarla e tornare a combattere. No, solo quando il fuoco troiano avesse minacciato le mie navi avrei imbracciato le armi...                               
Fu allora che Patroclo entrò nella mia tenda, piangendo.                                                     
Quando lo vidi non potei non sorridere tra me e me: caro Patroclo! Piangeva la sorte degli Achei, che morivano sotto le lance di Ettore e dei suoi.                                                          
-Perché piangi, Patroclo?- gli chiesi - Sembri una bambina che corre dietro alla madre, attaccata alla sua veste, e la implora di prenderla in braccio. Dimmi,dunque, ciò che nascondi in cuore. Forse ti sono giunte notizie da Ftia? Eppure, dicono che tuo padre ed il mio siano ancora in vita. O forse piangi nel vedere i Danai uccisi presso le concavi navi? Avanti, parla, non celarmi la tua pena .-                                                                 
Patroclo sospirò, socchiudendo gli occhi nel tentativo di calmarsi prima di parlarmi.                   
- Achille, non essere in collera con me, poiché grande  la sofferenza degli Achei. Molti fra quelli che difendevano l'accampamento e le navi, giacciono feriti nelle tende: Odisseo, Diomede e perfino l'Atride Agamennone ed Euripilo, colpito da una freccia. Ma tu sei irremovibile nella tua ira! Di certo non ti fu madre Teti, né ti fu padre Peleo: nascesti dal mare e dagli scogli ed è per questo che il tuo cuore è così inflessibile. Tuttavia, forse, rimani qui, lontano dalla battaglia, per sfuggire qualche profezia rivelatati da tua madre. Anche se fosse così, Achille, lasciami indossare le tue armi e guidare i Mirmidoni, così che i Troiani, vedendomi, mi credano te e si allontanino spaventati dalle nostre navi. Sarà facile per noi, guerrieri tenaci e riposati, sbaragliare   le truppe nemiche sfiancate dal lungo combattere.-                                                
Le sue parole mi colpirono profondamente; anch'io soffrivo nel vedere i miei compagni sconfitti dalla furia  di Ettore, ma non volevo e non potevo abbandonare la mia ira. Patroclo lo sapeva e non mi stava chiedendo di farlo: mi stava implorando di   accordargli il permesso di salvare i Danai.                                                                                                
- Patroclo, non rivolgermi parole così dure. - dissi - Non sto cercando di evitare una profezia, ma sono tormentato dal pensiero che un uomo possa privare un suo pari dell'onore, soltanto perché più grande è il suo potere. E' questo che ha fatto l'Atride, quando mi sottrasse la fanciulla che avevo conquistata con la mia lancia.Tuttavia, anch'io so che non è possibile che l'ira perduri. Quindi ora va', vestiti delle mie armi e conduci i Mirmidoni là, presso le navi, dove i Troiani sciamano come una nube nera per distruggere la flotta e gli Argivi combattono su una sottile striscia di terra. Hai ragione, non vedo la lancia di Diomede, che allontanava il disastro dagli Achei, né sento l'odiosa voce di Agamennone, ma odo le grida dei Teucri, che tengono tutta la pianura.                                                                                                                       
Va', Patroclo, e allontana la furia e la rovina dalle navi; piomba sui Dardani con impeto e impedisci loro di dare fuoco alla flotta, privandoci dell'agognato ritorno. Procura per me e per te gloria e onore fra i Danai, in modo che mi restituiscano la fanciulla rubata. Allontana il nemico dalle navi. -                                                                                                           
Mi fermai; Patroclo non piangeva più ed il suo sguardo si era illuminato; già si immaginava il momento dello scontro con i Troiani.                                                                          
-Tuttavia, amico mio - continuai - anche se Zeus adunatore di nubi  ti concedesse di vincere i Troiani e di ricacciarli entro le musa di Ilio, non farti prendere dalla foga della battaglia: torna indietro e non affrontare i Troiani senza di me. Mi priveresti dell' onore. Non cercare, nell'ebbrezza della lotta, di condurre i mirmidoni all'assalto di Troia, poiché temo che qualcuno tra gli dei scenda dall'Olimpo per affrontarti: infatti Apollo che colpisce da lontano ama molto i Dardani e li protegge.-       
 Patroclo era silenzioso. Forse credeva che l'avrei lasciato inseguire i Troiani in rotta finché li avesse chiusi nella città.                                                                                                         
 - Zeus padre, Atena e Apollo - mormorai - Non sfuggisse alcun Troiano alla morte, e così pure nessuno fra i Greci, ma noi due soli trovassimo la salvezza e soli potessimo violare la sacra cinta delle mura di Ilio!-                                           
 Un rumore attrasse la nostra attenzione, non appena finii di parlare.                                              
Io e Patroclo uscimmo dalla tenda e vedemmo in lontananza la battaglia infuriare intorno alle navi. I Teucri stavano  vincendo, respingendo  con facilità il disperato tentativo greco di allontanarli dalla flotta. Ben presto il fuoco cominciò ad avvampare. 
 -Va', Patroclo! Prendi i cavalli. Le fiamme devastatrici non devono impadronirsi della flotta. Va', indossa l'armatura, mentre io chiamo a raccolta i Mirmidoni.-                                     
Mi allontanai di corsa e passai di tenda in tenda, gridando ai guerrieri di armarsi. In poco tempo tutti i Mirmidoni furono pronti, simili ad un branco di lupi affamati di carne e sangue, sicuri della propria forza.                                                 
 -Mirmidoni, ascoltate!- gridai quando la schiera si fu compattata - A lungo avete minacciato da lontano i Troiani mentre io vi trattenevo nell'accampamento con la forza e venivate da me, uno ad uno, accusandomi di ostinazione, e di mancanza di pietà. Dicevate che saremmo dovuti a trovare a Ftia, giacché una furia così malvagia si era impossessata di me, e non avevo intenzione di tornare a combattere. Ebbene, oggi è giunto il momento di agire, di tornare sul campo di battaglia e realizzare le minacce promesse ai Dardani. Ognuno di voi, oggi, si  batta con il valore e la forza di un lupo!-                                                                                                                                  
 Dalla schiera si levò un grido e i Mirmidoni, sebbene non avessero ricevuto ordini precisi, alle mie parole serrarono le fila, pronti per marciare verso la mischia. E lì, intesta allo schieramento, c'era Patroclo; indossava gli schinieri con le fibbie d'argento,la corazza fregiata e l'elmo lucente, con il cimiero di crini di cavallo che ondeggiava minacciosamente.                                 
Gli feci un cenno del capo, poi mi voltai, entrando nella tenda. Fu in quel modo che mi congedai dal mio più caro amico.                                                           
"Patroclo, ritorna" pregai istintivamente, mentre aprivo il coperchio di un cofano regalatomi da mia madre, dentro cui era riposta anche una coppa d'oro. La presi, la purificai con lo zolfo e con l'acqua, quindi la riempii di vino. Versai il nettare a terra e levando gli occhi al cielo pregai Zeus.                                                                                                        
- Zeus, signore degli dei, ascolta questa preghiera così come hai fatto in passato. Anche se io non intendo lasciare l'accampamento, nella mischia c'è Patroclo, con i Mirmidoni. Concedigli la vittoria, Zeus adunatore di nubi! Rendi impavido il suo cuore. Ma quando avrà allontanato il furore dalla battaglia dalle navi, fa' che torni all'accampamento sano e salvo.-                                                                                                                                                  
Rimasi qualche minuto lì, in piedi in mezzo alla tenda, cercando di ignorare la strana sensazione che mi aveva colto. Poi, respirando profondamente, uscii per osservare lo scontro fra Teucri e Danai, nel quale i Mirmidoni non si erano ancora lanciati. Patroclo correva alla testa dei miei uomini e si avvicinava alle navi dove gli Achei tentavano di spegnere le fiamme e di difendere la flotta. I Mirmidoni sciamarono sui nemici come vespe: fu Patroclo il primo a scagliare la lancia di frassino; mirò al centro della mischia, dove si combatteva vicino alla nave di Protesilao, e colpì Pirecme, il condottiero dei Peoni, i guerrieri macedoni, che furono gettati nello scompiglio alla morte del loro re.                                                                           
 Il loro intervento sembrò riportare speranza ai Danai, che spensero il fuoco appiccato alle navi. Così come Zeus dissipa le nubi sulla cima di un monte e appaiono tutte le creste e le vallate selvose, così i Greci disperdevano i Troiani, che nonostante questo continuavano a combattere con tenacia per riconquistare il terreno perduto con l'arrivo dei miei uomini. Gli eserciti nemici si mescolavano, simili a due fiumi che prima di sfociare nel mare si gettano l'uno nell'altro, e presto, dal punto in cui mi trovavo, divenne difficile persino per me distinguere gli alleati dai nemici.                                       
Rientrai nella tenda e attesi la fine della battaglia, camminando avanti e indietro, finché decisi di sedermi e suonare la lira. Poco tempo dopo mi accorsi che il clamore della battaglia si era affievolito e che le grida vittoriose dei Greci si stavano via via allontanando: lo scontro si stava spostando nella pianura. 
Uscii per la terza volta e vidi che gli Achei erano riusciti a respingere i nemici, cacciandoli nella piana. Le uniche grida che si sentivano ora nell'accampamento erano quelle degli uomini morenti che venivano trasportati nelle tende.                                  Patroclo, però, non era tornato.                                                                                                                                                        
 "Perché, Patroclo, hai disobbedito al mio ordine?" pensai "O forse è stato un dio a spingerti ad affrontare Ettore sterminatore di uomini?"                                                                                
Rimasi a lungo fuori dalla tenda, con gli occhi fissi sul confine dell'accampamento, da dove provenivano i rumori dello scontro. Ad un certo punto le grida si fecero più forti ed ebbi l'impressione che la battaglia si facesse più accanita. Scrutavo da dov'ero i feriti che dal campo di battaglia tornavano alle tende o vi erano portati dai compagni. Non avrei mai saputo dire se nel momento in cui mi accorgevo che fra quei soldati feriti non c'era Patroclo fossi sollevato o se l'angoscia che mi opprimeva si facesse più forte. Improvvisamente il cielo fu oscurato dalle nubi, tanto che mi era impossibile vedere l'Ida in lontananza, e lampeggiarono le folgori e risuonarono i tuoni. Se quella era l'opera di Zeus Egioco, allora le sorti della battaglia erano già state decise. Il numero di feriti in fuga verso l'accampamento cominciò ad aumentare e divenne chiaro che gli Achei stavano cedendo terreno: i Greci erano di nuovo in rotta.                                                                  
Tormentato, mi recai presso le navi, guardando il mare spumeggiante agitato dalla tempesta.                                                                                                                                                          
"Perché mai gli Argivi sono di nuovo spinti verso le navi e fuggono spaventati davanti alla lancia di Ettore?" dissi al mio cuore "Mia madre mi ha detto che molte altre pene mi avrebbero fatto patire gli dei; sì, deve essere così: è morto il magnanimo figlio di Menenzio. Eppure l'avevo avvertito di tornare alla tenda dopo aver allontanato la minaccia del fuoco dalle navi!"                                                                                                            
Con il cuore carico d'angoscia, mi voltai per ritornare alla tenda, ma vidi venire verso di me Antiloco, figlio del nobile Nestore, in lacrime.                                                                     
Il mio cuore perse un battito.                                                                                                                                                                    
 - Achille...- disse Antiloco con voce spezzata - Porto con me una terribile notizia: come vorrei che non fosse vera! Patroclo...giace nella polvere, ucciso da Ettore sterminatore di uomini.-                                                                                
Per qualche secondo rimasi immobile, stordito da un dolore più acuto di quello provocato da una lama che affondi nella carne.                                                                                   
Patroclo era morto.                                                                                                                         
Quella verità mi feriva più di qualsiasi lancia di frassino, più di una freccia conficcata nel fegato.                                                                                                                                    
Mi chinai e affondai le mani nella sabbia, mischiatasi alla cenere durante l'incendio. Con essa mi cosparsi il capo e mi sporcai il volto e la tunica; crollai in ginocchio, improvvisamente privato della mia forza e strinsi le mani nei capelli, strappandomi la chioma.                              
Avevo sperato sino all'ultimo che le mie paure fossero dettate solo dall'angoscia, ma Antiloco mi aveva brutalmente precipitato di nuovo nella realtà.                                         
Sentivo le ancelle mie e di Patroclo gridare e piangere intorno a me, ma non me ne curai. Antiloco si era inginocchiato al mio fianco e piangeva e mi teneva per i polsi: aveva il timore che potessi sguainare la spada e tagliarmi la gola.                                                  
"Patroclo!" urlai al mio cuore distrutto e lanciai un grido spaventoso, che probabilmente giunse a mia madre, nella dimora marina di Nereo.                                       
Ella infatti mi raggiunse, angosciata, sulla riva di Troia e mentre io gridavo il mio dolore, mi prese tra le braccia come se fossi ancora un bambino.                                  
-Dimmi, figlio mio, perché piangi?- mi chiese - Quale dolore ti tormenta in questo modo? Tutto ciò che sta accadendo avviene per opera di Zeus, proprio come tu hai pregato levando le mani al cielo.-                                                                  
-Madre, è vero: Zeus adunatore di nubi mi ha esaudito-  le risposi fra le lacrime e i gemiti - Ma ora Patroclo è morto! Patroclo, che io onoravo più di tutti gli altri, che era il mio più fedele amico! L'ho perduto, madre! Ettore l'ha ucciso e spogliato delle armi che gli dei donarono a Peleo il giorno che lo sposasti. Fossi tu rimasta fra le dee marine e Peleo avesse sposato una mortale! Ma tu, ora, vedrai tuo figlio morire.-                    
Mi interruppi, sconvolto da un pianto convulso. Tuttavia, nell'atroce dolore per la perdita di Patroclo, cominciai a sentire nascere una nuova determinazione: sarei tornato in battaglia, per onorarlo con la vendetta.                                                           
-Non rimarrò tra i mortali- continuai - se Ettore non sarà, per primo,trafitto dalla lancia e avrà pagato con la vita l'uccisione di Patroclo, il figlio di Menenzio.-                        
Mia madre, in lacrime, mi rispose:- Sì, figlio mio. Non sei destinato a tornare in patria. Subito dopo Ettore, la Moira ti priverà della giovinezza.-                                                    
-Vorrei essere già morto!- gridai - Prima di aver lasciato un compagno al suo destino. Egli è morto lontano da casa e aveva bisogno di me, aveva bisogno che l'aiutassi. E invece io me ne sto qui, mentre i miei compagni vengono uccisi da Ettore, come un peso inutile sulla terra.   Ma ora tornerò in battaglia,madre: voglio trovare l'uccisore del mio amico, Ettore sterminatore di uomini. E quando Zeus manderà la Morte a prendermi, io l'accoglierò, ma prima vendicherò la morte di Patroclo. E tu, anche se per amore, non tentare di trattenermi ancora lontano dalla battaglia.-                       
-Non cercherò di persuaderti, figlio mio.- mormorò lei - Ma ascoltami: le tue armi sono in mano ai Troiani ed Ettore si vanta molto nell'indossarle. Quindi tieniti, ancora per un giorno, fuori dalla mischia; domani sarò di ritorno e avrò con me armi nuove, forgiate per te da Efesto. -                                                                   
Così disse e poi si allontanò, con un'espressione corrucciata in volto. Io rimasi inginocchiato di fianco alle nere navi dei Mirmidoni. Il pianto ce n'era andato, lasciando dietro di sé solamente desolazione e disperazione.                                                  "Io giuro, Patroclo, che non morirò prima di aver conficcato la mia lancia nel cuore di Ettore." pensai.                                                                                                                         
 Fu allora che sentii la voce di Iride, messaggera divina.                                                                        
-Alzati, Pelide, tu che sei il più forte fra tutti i guerrieri. Va' in soccorso dei tuoi compagni, che lottano accanitamente per difendere il corpo di Patroclo. Ettore, infatti, brama più di ogni altra cosa recidere la testa dal collo del figlio di Menenzio e piantarla su una picca. Alzati! Ti prendano pietà e orrore al pensiero che Patroclo sia dato in pasto ai cani di Troia.-                                                                                                    
-Non ho armi per scendere nella mischia, né potrei indossare quelle di altri guerrieri, se non quelle di Aiace Telamonio. Tuttavia, sono sicuro che anch'egli sia in prima linea a seminare morte fra i Teucri.- le risposi.                                               
-Anche se non hai armi, recati sino al fossato e mostrati ai Troiani. Fa' in modo che sappiano che stai per tornare alla battaglia e che si spaventino, dando tregua ai valorosi figli degli Achei. -disse la dea, poi scomparve, rapidamente, così come era giunta.                                                                                                                            
 Io mi alzai, scosso da una nuova ed improvvisa risolutezza: il pensiero che il corpo del mio compagno potesse essere dilaniato e lasciato senza sepoltura mi riempiva di angoscia, ma anche di determinazione.                             
 Camminando in silenzio in mezzo ai lamenti dei soldati feriti, raggiunsi il fossato e uscii dall'accampamento. Da lì riuscivo a vedere lo scontro che si consumava nella pianura: gli Argivi erano stremati, tuttavia continuavano strenuamente a difendere dall'assalto troiano il corpo di Patroclo.Lo distinguevo appena, ma tanto bastò per risvegliare quell'atroce dolore che ero riuscito a placare un poco.                                                                                                    
 Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal punto in cui il mio amico giaceva nella polvere, nudo, gli occhi sgranati sul vuoto e la bocca aperta in un ultimo, disperato grido. Il tempo sembrò fermarsi: non badavo più né ai troiani ne ai Danai che combattevano davanti ai miei occhi.                                                                                 
Riuscivo a vedere soltanto lui, Patroclo... privato della vita.
 
E gridai...
  
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