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Autore: heytwentysix    16/05/2012    2 recensioni
Mi faceva stare bene, era simpatico, dolce, divertente e aveva la mia stessa passione per la lettura, la musica, film e serie TV. Mi faceva ridere 4 minuti su 5. Quando ero con lui mi sentivo felice, e non mi sentivo più in colpa per non aver mantenuto la promessa fatta a Scarlett. Era come un raggio di sole dopo una tempesta. Mi aveva riportato il sorriso. Mi aveva fatto sentire di nuovo viva. Mi aveva salvato da me stessa e da un vortice infinito di tristezza da cui volevo essere risucchiata ancora, ancora e ancora.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ultima ora, filosofia. Guardai la professoressa e mi chiesi chi diamine fosse stato a mettere all’ultima ora  del venerdì filosofia nel mio orario. Odiavo quella materia. Scossi leggermente il capo e mi soffermai sul ragazzo seduto nel banco alla mia sinistra, completamene assorto nel discorso della professoressa Mayer.

Non riuscivo a crederci che fosse già passato un anno. Anzi, ‘già’ non era il termine giusto. Non riuscivo a credere che fosse passato solo un anno da quando me lo ritrovai seduto al vecchio posto di Scarlett nell’aula di matematica,  rimasto vuoto per oltre 4 mesi, mi sembrava di conoscerlo da un’eternità. Appena lo vidi ero già in procinto di urlargli di alzarsi da quel posto immediatamente se non voleva ritrovarsi rasata la sua bellissima chioma riccioluta. Poi mi sorrise, era un sorriso tanto vero e innocente, che decisi di non fare niente, e dissi a me stessa che quel banco non sarebbe rimasto vuoto per sempre e che prima o poi qualcuno l’avrebbe occupato. E mi dissi anche che se proprio doveva essere occupato da qualcuno meglio che fosse stato uno sconosciuto che uno dei miei compagni di classe che tanto odiavo. Scarlett era la mia unica amica, l’unica che mi sopportava, l’unica che mi capiva davvero e che teneva a me. Era la mia migliore amica e da quando era morta, niente era andato nel verso giusto, e probabilmente ero proprio io a volere che fosse così,  per non rompere la promessa fatta. Circa un anno prima di quel 16 di Gennaio, il giorno più brutto di tutta la mia vita, le era stata diagnosticata la leucemia. Sapevamo entrambe che prima o poi mi avrebbe lasciata, quindi  mi fece promettere che non mi sarei lasciata cadere dopo la sua morte, che non mi sarei chiusa in me stessa lasciando tutto il resto del mondo fuori, e che avrei continuato a sorridere. «Hai un sorriso stupendo, e sarebbe davvero un peccato.» Furono queste le sue parole, poi scoppiò in una risata, e io la guardai con un sorriso malinconico, trattenendo le lacrime. Una settimana dopo, un pazzo ubriaco, che non si era fermato al semaforo, la investì con il suo SUV. Morì sul colpo. Questa era la cosa che mi faceva più rabbia, che dovesse andarsene per la sua malattia, in un certo senso, lo avevo accettato, ma che uno stronzo la mettesse sotto no. E’ vero, la conclusione non  cambiava, mi avrebbe lasciato comunque, ma non sopportavo l’idea che un deficiente le avesse portato via anche quegli ultimi giorni di vita che le rimanevano. Avrei voluto ammazzare quel tipo con le mie stesse mani. Per sua fortuna lo arrestarono e non ne ebbi la possibilità.  Dopo quel dannatissimo incidente, ogni giorno trovavo una scusa per stare male, facendo finta che davvero mi importasse di un compito andato male, o del cellulare rotto. Lasciai anche il mio ragazzo, Logan. Stavamo insieme da un paio di settimane prima di quel 16 di Gennaio, era stata proprio Scarlett a spingermi ad uscire con lui. Era simpatico e mi faceva ridere, ma odiavo alcuni suoi atteggiamenti. E feci finta di stare male anche per averlo lasciato, quando di lui non mi interessava più di tanto. E constatai che per lui era uguale quando due giorni dopo lo vidi sbaciucchiarsi con una biondina nel corridoio della scuola. Tutti i pomeriggi mi chiudevo nella mia camera e non facevo altro che piangere, alzando il volume della musica al massimo per non farmi sentire da mia zia.  Questo fino al 23 di Aprile, quando la professoressa di storia dell’arte mi mise in coppia per un progetto col ragazzo che dalla settimana prima, in tutte le ore che avevamo in comune e che io avevo in comune con Scar, sedeva in quello che una volta era in suo banco. Passammo tutti i pomeriggi di quella settimana insieme, e non so perché, ma quel pomeriggio del 23 di Aprile, nella stanza di Nicholas, era questo il suo nome, lasciai me stessa essere  davvero felice di nuovo, per la prima volta dopo la morte della mia migliore amica. Si era trasferito da poco in città e non conosceva la mia storia, non sapeva niente di quello che era successo a Scarlett, o che mi ero trasferita in quella città all’età di 5 anni per via della morte di entrambi i miei genitori in un incidente in moto e l’unica persona che avrebbe potuto prendersi cura di me, mia zia, abitava proprio lì. Sta di fatto che il suo trattarmi come una persona normale, e non una persona per cui provare pena o compassione come facevano tutti, mi fece in un certo senso comportare normalmente e di conseguenza mi portò a non respingerlo, come facevo con gli altri. In quella settimana legammo tanto, avevamo praticamente lo stesso orario  e passammo tutto il tempo insieme, e anche una volta consegnato il progetto, continuammo a studiare insieme, e a vederci tutti i pomeriggi, anche per stare seduti sul letto a non fare niente. Mi faceva stare bene, era simpatico, dolce,  divertente e aveva la mia stessa passione per la lettura, la musica, film e serie TV. Mi faceva ridere 4 minuti su 5. Quando ero con lui mi sentivo felice, e non mi sentivo più in colpa per non aver mantenuto la promessa fatta a Scarlett. Era come un raggio di sole dopo una tempesta. Mi aveva riportato il sorriso. Mi aveva fatto sentire di nuovo viva. Mi aveva salvato da me stessa e da un vortice infinito di tristezza da cui volevo essere risucchiata ancora, ancora e ancora. Si era trasferito da un paesino a 20 minuti da quello in cui abitavamo ora, e avendo la macchina aveva mantenuto i rapporti con i suoi vecchi amici. Infatti l’unico motivo per cui alcuni pomeriggi non li passavamo insieme, era che probabilmente lui aveva già preso appuntamento con loro. Un giorno mi chiese se volevo andare con lui, e accettai immediatamente. Dai suoi racconti supponevo fosse gente davvero in gamba, facevano stronzate su stronzate. Insomma, gente con sui ci si divertiva tanto. Le mie supposizioni erano giuste, mi facevano morire dal ridere. Legai subito anche con loro, avevamo tutti una grande passione per la musica, ognuno di noi suonava uno strumento, io e Joshua il piano, David e Destiny il basso, Mikey la batteria, Paul la chitarra, quello che ne sapeva suonare di più era Nicholas: piano, chitarra e batteria.  Quell’estate Joshua mi chiese un appuntamento, ed io accettai. Però dopo un po’ che uscimmo insieme capimmo che era meglio ritornare amici. Quella fu una delle estati più belle della mia vita, ed era tutto grazie a Nicholas. Mi aveva in certo senso restituito la voglia di vivere. Se quel giorno non si fosse seduto a quel posto, e se la professoressa di storia dell’arte non ci avesse messi in coppia probabilmente avrei passato tutta l’estate chiusa in casa o peggio. Non sono mai stata un tipo di persona molto affettuosa, o che esprimeva i suoi sentimenti, anzi non lo facevo per niente. Scarlett lo sapeva, e ci era abituata ormai. Se aveva bisogno di un abbraccio sapeva che io di mia spontanea volontà non glielo avrei mai dato, non perché non volessi, ma perché non era proprio nella mia natura. Lei sapeva che doveva abbracciarmi lei, poi io ricambiavo. Non avevo mai detto a Nicholas quello che provavo per lui, o cosa rappresentasse lui per me. Mentre lui quasi ogni sera, prima di andare a dormire mi mandava  messaggi del tipo: «Buonanotte, i love you.» Aveva intuito che era successo qualcosa di brutto prima del suo arrivo, ma non mi aveva mai chiesto niente. Avvolte era capitato che quando veniva a casa mia, mi trovava a piangere, ma aveva sempre fatto finta di niente, sapeva che se e quando avessi voluto parlarne lo avrei fatto di mia spontanea volontà, e lui mi aveva fatto capire che era a totale disposizione e che avrebbe aspettato fino a quando mi fossi sentita pronta. Era iniziato da poco Settembre, quando decisi di raccontargli tutto, dalla morte dei miei genitori a quella di Scarlett. Gli dissi anche che se non lo avessi conosciuto forse non sarei stata neanche ancora in vita o che comunque senza di lui non sarei ma riuscita ad andare avanti. Gli raccontai tutto, per filo e per segno e riuscii anche a trattenere le lacrime. Lui mi ascoltò con attenzione, e aspettò che avessi finito per poi, farmi alzare dalla panchina del parco, deserto, in cui ci trovavamo e, abbracciarmi. Quello fu il nostro primo vero abbraccio. Appena fece quel gesto, non riuscii più a trattenermi e scoppiai in lacrime sul suo petto. Mi strinse più forte, e con una mano mi accarezzò i capelli. Non so per quanto rimanemmo in quel modo, potrebbero esser stati anche più di 15 minuti. E anche se ero in lacrime, mi sentivo bene, ero felice, perché avevo lui.

La campanella che ci avvertiva che un’altra giornata di scuola era finita richiamò la mia attenzione, e mi riportò al presente. Ci alzammo tutti dai nostri banchi e uscimmo dall’aula.
«Era interessante l’argomento di oggi, Kant mi piace.» mi disse il riccio posando i libri nel suo armadietto per poi richiuderlo.  «Perché tu sei convinto che io l’ho ascoltata la professoressa.» dissi per poi chiudere anche io l’armadietto e avviarci all’uscita. «Speravo che per una volta l’avessi fatto» «Naah, tanto ho te che dopo mi spieghi tutto, e anche meglio della professoressa.» sorrisi, e lui ricambiò.
Arrivammo a casa Jonas in pochissimo tempo,  entrammo in casa e  salutai le persone presenti in cucina, cioè Denise, Paul e Frankie, rispettivamente la madre, il padre e uno dei tre fratelli di Nicholas, con un semplice buon pomeriggio. Salii in camera di Nicholas, mentre lui prendeva qualche sacchetto di patatine e una vaschetta di gelato alla nocciola. Poggiai lo zaino a terra, appena di fianco alla porta, e mi gettai sul letto.
«Siii maangia» mi disse la testa riccia entrando dalla porta, per poi buttarsi sul letto e porgermi un cucchiaio con la vaschetta di gelato, che io afferrai prontamente. «Durante l’ultima ora ho pensato ad una cosa.» dissi concentrata ad aprire la vaschetta, per poi infilare in bocca una cucchiaiata colma di gelato. «E sentiamo, da quand’è che pensi anche?» «Stupido.» risi, e lui mi seguì, poi ritornammo seri. «A cosa?» disse riferendosi alla mia affermazione precedente. «Al fatto che non ti ho mai detto una cosa.» Mi guardò un po’ stranito. Mangiai un’altra cucchiaiata di gelato, poi continuai la frase. «Non ti ho mai detto che sei il mio migliore amico Nicholas, e che non avrei potuto averne uno migliore di te.» Mi guardò con degli occhi da cucciolo, e mi abbracciò forte. «Ti vogli..» «Shh! Fallo dire a me per una volta. Ti voglio bene Nicholas, non immagini neanche quanto.» dissi fissando intensamente i suoi occhi, per poi accoccolarmi a lui, che mi strinse più forte a se. «Ti voglio bene anche io Brooklyn, ti voglio bene più di qualsiasi altra cosa.»


 

Sono del tipo due anni che non scrivo qualcosa, ed è la prima volta
pubblico un qualcosa scritto da me da qualche parte, quindi scusate
per lo scempio. Sinceramente non ero sicura neanche questa volta
di volerlo pubblicare, ma poi mi sono detta "massì dai, tanto cosa
potrà mai succedere di così brutto?" quindi eccola qui. Boh, ehm,
spero vi piaccia. Addio gente.
Ah, dimenticavo.
Grazie Ines.

  
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