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Autore: Wren    07/12/2006    7 recensioni
Haruka è un monaco. Un esorcista dalla grande fama. Conosce il mondo degli spiriti e sa come affrontarlo. Haruka è una persona posata e distinta, con un sorriso pacifico che ispira fiducia e soggezione allo stesso tempo. Ma Haruka, prima di tutto, è soltanto un uomo. *Spoiler capitolo 118*
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Tese la corda ed il mondo si fermò

Tutto questo è solo perché voglio tanto bene a nonno Doumeki e le Clamp mi hanno traviata tanto da farmi dimostrare il mio affetto con fanfic tristi!!!

Se non conoscete Haruka Doumeki (il Nonno con la N maiuscola!), beh vi siete persi un gran signore… immaginatevi un Doumeki (Shizuka) più maturo, più sorridente, più scafato e circonfuso da un’aura che ispira rispetto ed ammirazione! EGLI è Haruka! *___*

 

Uh giusto… o___o Spoiler Capitolo 118 !

 

 

 

 

 

 

Ochiba chi ni

Todoku wa jikan

Yurumikeri

 

Foglia che cade

L’istante che tocca il suolo

Il tempo s’allenta.

 

-Katou Shuuson-

 

 

 

 

Tese la corda ed il mondo si fermò.

Ogni movimento, ogni rumore, ogni più piccola perturbazione era cessata. Non più uccellini che saltellavano e cinguettavano sull’albero antico, non più il vento che gli gonfiava le vesti, nemmeno il tenue respiro di Shizuka alle sue spalle. C’erano solo lui ed il bersaglio, tutto il resto era sparito.

Quell’istante di calmo silenzio lo avvolse e riempì la sua mente, che aveva lasciato libera da ogni pensiero. L’eternità in un istante.

L’attimo dopo aveva scoccato la freccia ed il mondo aveva ripreso il suo corso.

“Centro!” esclamò Shizuka correndogli vicino ed aggrappandosi con la piccola manina all’hakama che indossava.

Haruka guardò dall’alto il volto meravigliato e pieno di ammirazione del nipote con un sorriso benevolo, allungando una mano e scompigliando i capelli fin troppo ordinati del bambino.

“Posso provare anch’io?” domandò il bambino risistemandosi il caschetto scuro in ordine com’era prima.

Quando sarai un po’ più grande.” gli rispose il nonno divertito per l’atteggiamento composto di quel bambino così piccolo.

“Dici sempre così…” si rabbuiò subito Shizuka, mentre con una mano cercava di allargare il collo del suo vestito.

Haruka sapeva che in fondo poteva apparire crudele costringere il nipote in quegli abiti femminili. Shizuka non poteva capire (e come potrebbe? Nemmeno i suoi genitori volevano capire…), nemmeno se gliel’avesse spiegato, che era per il suo bene, per la sua sicurezza. Le antiche protezioni che si erano tramandate di generazione in generazione da secoli avevano salvato la vita al piccolo Shizuka, l’avevano protetto da spiriti e demoni fin dalla nascita, e tanto gli bastava. Non importava che capisse perché doveva vestirsi da bambina, se questo lo proteggeva dal male.

“Facciamo così…” disse Haruka inginocchiandosi di fronte al nipote. “Il giorno che riuscirai a tendere la corda da solo, allora io ti insegnerò a tirare con l’arco. Ci stai?”

Shizuka fissò negli occhi il nonno, cercando di capire se l’uomo stesse parlando sul serio, e non trovando in quello sguardo altro che la solita pacifica limpidezza si fece serio a sua volta e prese dalle sue mani l’arco.

L’oggetto era più alto di lui, ma ciò non di meno il bambino provò ad impugnarlo ed a tendere la corda. Il legno era molto duro, serviva la forza di un adulto e l’energia spirituale di un uomo come Haruka per tendere un legno tanto antico e ben lavorato. Al giorno d’oggi non si creavano più degli archi impregnati di una tale forza mistica. Non fu una sorpresa che il bambino non riuscì a smuovere la corda, nemmeno di qualche millimetro.

“Maestro!” sentì la voce di uno dei monaci che lo chiamavano dal tempio. “Maestro avete visite!”

Haruka lasciò Shizuka a tentare di tendere l’arco, tanto cercare di dissuaderlo sarebbe stato inutile, e dopo avergli scompigliato nuovamente i capelli si diresse verso il porticato dal quale si accedeva all’interno della struttura principale.

“Maestro!” lo raggiunse un giovane apprendista “Una signora chiede di incontrarsi con voi. Dice che vi ha parlato per telefono e che la state aspettando.

Haruka sorrise ed annuì al ragazzo, facendogli cenno con una mano che era libero di tornare alle sue mansioni. Il giovane corse via in tutta fretta, lasciando Haruka davanti all’ingresso.

Oltre la porta stava una donna elegante di età ormai avanzata, dall’aria stanca e triste. Teneva per mano una bambina piccola, più o meno dell’età di Shizuka o forse un anno meno, con i capelli neri raccolti in due graziosi codini. Quando la donna si accorse del suo ingresso si inchinò con cortesia, imitata un istante dopo dalla bambina, seppur più goffamente.

“Benvenute. Accomodatevi nella stanza qui accanto, così che potremo parlare tranquillamente. Con un gesto fluido e lento Haruka aprì la porta scorrevole e facendo entrare per prime le due ospiti. Passando, la bambina alzò lo sguardo verso di lui con occhi dubbiosi. Haruka le sorrise e lei parve rasserenarsi, perché sorrise a sua volta.

“Maestro Doumeki-sama… se ricordate la settimana scorsa vi ho chiamato per parlarvi di mia nipote…” iniziò subito la donna, senza nemmeno sedersi su uno dei cuscini disposti sul tatami.

“Ricordo perfettamente.” rispose con voce calma e gentile Haruka.

A passi lenti e misurati si andò a sistemare su uno dei cuscini, sedendosi e facendo cenno alle due di fare altrettanto. “Mi parli del vostro problema.” aggiunse infine.

“Vedete…” iniziò la donna cominciando a tormentarsi le mani. “La mia piccola Himawari è sicuramente posseduta da uno spirito maligno! Fin dalla nascita attorno a lei accadono fatti strani… inspiegabili… fatti in cui qualcuno finisce sempre per farsi del male… Quando aveva quattro anni è andata riprendere la palla che aveva perso nel giardino dei vicini… il giorno dopo scoppiò un incendio proprio nel punto in cui era la palla e la casa è andata distrutta! I bambini con cui giocava cominciarono ad avere dei brutti incidenti… Una vicina le disse che era carina e poco dopo si è suicidata… La sua insegnante è rimasta coinvolta in una brutta storia con la polizia… Capite che non può essere normale!”

Haruka aveva chiuso gli occhi per pensare con calma a quanto la signora gli stava raccontando. Li riaprì per guardare la bambina che lo stava fissando a sua volta. Non gli pareva il caso di affrontare una simile argomento davanti a lei, ma Himawari sembrava abituata a tali discussioni. Chissà quante volte vi aveva assistito…

Haruka sorrise ancora alla piccola, strappandole un altro sorriso.

“Maestro lei deve..iniziò di nuovo la signora, ma fu subito fermata da un cenno di Haruka.

“Ti chiami Himawari, vero?” chiese con fare amichevole.

“Sì!” rispose la bambina, contenta che finalmente qualcuno parlasse anche con lei.

E quanti anni hai?” domandò ancora.

“Otto!” rispose prontamente lei.

La stessa età di Shizuka, dunque.

“Vieni qui Himawari!” le disse Haruka tendendole una mano.

La bambina si alzò frettolosamente e corse finché non poté afferrarla. Haruka poggiò l’altra mano sulla fronte della bambina e chiuse gli occhi. Richiamò a sé la propria energia spirituale e cominciò ad intonare a bassa voce una preghiera. Vide nella sua mente una nube nera, umida e sporca, una forma incorporea dall’aspetto minaccioso che ribolliva su sé stessa. Tentò di scacciarla, ma questa non reagì. Provò ad affrontarla, a sconfiggerla, ma nulla cambiò. Il fumo scuro sembrò anzi ingrossarsi sempre più. Fece molti tentativi, aumentò anche l’intensità della preghiera che stava recitando, ma non successe niente. Man mano che tentava di scacciare quell’opprimente presenza, essa lo circondava, lo avviluppava, finché non l’avvertì chiaramente insinuarsi sotto la sua pelle.

Allontanò la mano dalla piccola testa della bambina e riaprì gli occhi. Lei lo guardava curiosa, con i suoi occhi scuri come il fumo che aveva appena combattuto.

Questa bambina non può essere guarita, perché è così che deve essere…

Il pensiero gli sbocciò nella mente, come se qualcun altro l’avesse pensato al posto suo, ed ebbe la certezza che fosse la verità.

“Sei proprio una brava bambina.” le disse dolcemente, dandole un buffetto sulla guancia.

“Signora…” si rivolse poi alla donna che era rimasta in nervosa attesa. “Sua nipote non è posseduta.”

La donna lo guardò stupita. Il sollievo cominciò a dipingerle un sorriso sulle labbra, ma l’espressione grave del monaco le raggelò il sangue l’istante successivo.

“Ciò non di meno… Sua nipote ha qualcosa che non va.

Si fermò perché sentiva le parole che faticavano ad uscirgli dalla gola. Vide che la donna stringeva la manina della bambina, mentre lei guardava prima uno e poi l’altra con occhi smarriti. Era davvero troppo piccola…

“Questa bambina porta sfortuna agli altri. Non può scegliere chi… Anche se parla soltanto con loro, se li sfiora o se si lega a loro, porterà sempre chiunque sulla strada della sfortuna. Anche se è umana… no… proprio perchè è un essere umano... c’è qualcosa che non va in lei.

La donna sembrò sul punto di cedere, ma fu forte abbastanza per trattenersi. Himawari guardò sua nonna preoccupata e poi guardò ancora il monaco.

“Mi dispiace.” ripeté Haruka con voce grave. “La sua nipotina porterà sfortuna alle persone attorno a lei… per tutta la vita.

 

Dal porticato Haruka rimase ad osservare le due figure che si allontanavano verso l’uscita del tempio. La donna camminava lentamente, come se fosse stata improvvisamente sobbarcata di un peso insopportabile. Quando si erano salutati, gli era sembrato che il suo viso fosse molto più vecchio. La bambina seguiva sgambettando la nonna, guardandola dal basso in su, intuendo che qualcosa in quello strano incontro l’aveva turbata. Ad un certo punto dovette accorgersi che lui le stava guardando, perché si voltò indietro e, continuando ad incespicare attaccata alla manica della nonna, gli sorrise salutandolo con ampi gesti della mano. Haruka le sorrise di rimando e ricambiò il gesto seppur con più compostezza.Era una bambina davvero carina, con un bellissimo sorriso luminoso.

Era un peccato che l’averla incontrata aveva segnato il suo destino.

Sentiva ancora nel petto la sensazione spiacevole che il contatto con l’aura infetta della bambina gli aveva lasciato. Anche lui, nonostante il suo potere e la sua forza, era rimasto invischiato nella ragnatela della Sfortuna. Era come un’onda di marea che avanzava nel suo corpo e non aveva modo di fermarla.

Quanto tempo gli restava? Pochi giorni al massimo…

Chi l’avrebbe mai detto che Haruka Doumeki, rispettato da tutti come un’eminenza del mondo mistico e spirituale, sarebbe morto per aver cercato di aiutare una bambina sfortunata…

Eppure, nonostante la chiara certezza che la morte si stava avvicinando, Haruka non provò tristezza per sé stesso. Chissà per quanto tempo quel sorriso sarebbe sopravvissuto sul volto di Himawari, prima che la vita a cui era destinata le spezzasse il cuore.

Una sensazione frustrante, già provata fin troppo di recente, gli si avvinghiò alla gola.

Quella mattina era venuta da lui una giovane coppia di sposi a chiedere aiuto per loro figlio. Era un bambino pallido dall’espressione spaventata, svenuto tra le braccia del padre. Vedeva gli spiriti, gli avevano detto, e gli spiriti vedevano lui. Era tormentato e perseguitato da mostri che nessun bambino dovrebbe mai nemmeno sognare.

Ed anche quella volta Haruka non aveva potuto far niente. Quel bambino era destinato ad una vita d’inferno perché un semplice esorcista non poteva cambiare le leggi del fato. Il massimo che gli era concesso era di lasciar loro un talismano per proteggerlo, ma quanto sarebbe durato?

Haruka era un uomo dalla sconfinata pace interiore, non perdeva mai la calma, ogni parola, ogni movimento ed ogni gesto era ponderato e tranquillo. Il suo spirito era come il grande albero sacro che stendeva i suoi massicci rami al centro del cortile: ben radicato alla terra e proteso verso il cielo. Una presenza rassicurante per chiunque vi avesse a che fare.

In quel momento però Haruka si sentiva solo un piccolo essere umano che aveva tanta voglia di mandare al diavolo il fato, il destino o chi per loro.

Che senso aveva la sua forza?

Aveva deluso Himawari, anche se lei non se ne rendeva conto. L’aveva mandata verso un’esistenza segnata di lutti continui, di occhiate torve da parte degli altri, di solitudine e di sofferenza.

Non aveva potuto far nulla.

Aveva deluso il piccolo Kimihiro, anche senza averlo praticamente mai incontrato. Il bambino non si era svegliato e lui aveva insistito perché i genitori non lo disturbassero. L’aria pura del tempio era l’unico piccolo sollievo che gli aveva potuto concedere, prima di lasciarlo tornare alla sua vita di persecuzione.

Non aveva potuto far nulla.

Avrebbe deluso Shizuka. Gli aveva appena promesso di insegnargli a tirare con l’arco quando fosse stato abbastanza grande per farlo, ed invece ora l’avrebbe lasciato. Lui era praticamente l’unica persona con cui il bambino parlava… Chi avrebbe avuto accanto ora? Chi avrebbe compreso il potere che riposava in lui? Chi gli avrebbe insegnato a farne uso?

Shizuka sarebbe cresciuto da solo ed in silenzio, come il suo nome.

Non poteva fare più nulla nemmeno per lui ora.

Erano pensieri tristi quelli in cui si era immerso, non erano da lui, non rispecchiavano la serenità con cui era vissuto. Respirò profondamente una, due, tre volte e cacciò la malinconia dal suo cuore.

Quei bambini se la sarebbero sicuramente cavata anche senza di lui. E se per loro ci sarebbero stati momenti bui, in cui la strada da seguire era troppo difficile da percorrere da soli, Haruka si ripromise che avrebbe finalmente fatto qualcosa per loro.

La morte non è la fine di tutto.

Con un sorriso più sereno rientrò per occuparsi delle ultime cose che gli restavano da fare. Nel cortile del tempio il ciliegio sacro fu scosso dal vento ed i suoi fiori abbandonarono i rami, danzando nell’aria e cadendo al suolo come lacrime.

Nulla accade per caso.

  
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