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Autore: fragolottina    17/05/2012    30 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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Mitrono fragolottina's time
c'era una volta una giovane donna che, persa in un romanzo a dir poco sublime ambientato in un futuro imprecisato ed alternativo, voleva scrivere una grande saga con ambientanzione cyber-punk - ma solo ambientazione -, un figo della situazione pazzesco, una cheerleader bionda ma bassa ed un po' di Veggenti random, perchè alla sopraccitata giovane donna piacciono da morire...
dalle sue riflessioni è uscito fuori il Mitronio - si è sentita molto figa per avergli dato un nome - ed una città industriale, poco città e molto industria, Synt.
fu così che fece la conoscenza di Zach Douquette e decise di voler scrivere quello che aveva da raccontare...


0.
Atom Day

L’esplosione della centrale nucleare Vermont Yankee, situata a Vernon nella contea di Windham, non fu più devastante di quella della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, nel 1986, o più contaminante della fusione dei tre noccioli dei reattori di Fukushima nel 2011.
    Sembra strano, quindi, che proprio quel disastro segni una svolta nella storia dell’umanità.
    Se non la devastazione o la propagazione radioattiva, quale fattore fece la differenza?
    Soltanto una donna, Selma Griffith, che non si sarebbe scomodata più di tanto se suo figlio, Daniel Griffith, non fosse stato in visita da un suo compagno di università proprio nel Vernon. Fu l’amore per lui che la portò a telefonare ad ogni ente governativo, del quale riuscisse a trovare il numero, ripetendo sempre la stessa frase: “Sono Selma Griffith, sono una Veggente, la Vermont Yankee sta per esplodere”.
    Si dice, che quando infine il disastro si verificò, lei fosse proprio al telefono con l’Ente Protezione Ambientale.
    Quella telefonata venne resa pubblica, lei arrestata.
    Venne interrogata mille e mille volte, non cambiò mai la sua versione: sapeva perché aveva visto, aveva visto perché era nata con quel dono. Travolta dall’attenzione mediatica, non realizzò che quello che voleva la ADP, la divisione dell’FBI appositamente creata per gestire quel nuovo problema, non era soltanto stabilire la verità delle sue ammissioni, ma sapere se di persone come lei, “con il dono”, ce ne fossero altre.
    La risposta che Selma Griffith diede fu semplice: sì.


1.
Asta

“Tutto questo non sta succedendo a me” mi ripetei ancora. Chiusi gli occhi ed inspirai. Cercai di lasciare fuori le voci, le grida di pianto, la mano che teneva il mio braccio per guidarmi e non lasciarmi scappare. Aprii gli occhi ed espirai, dovevo mantenere la calma necessaria a continuare ad illudermi: le mie capacità visive mi stavano ingannando, quello che stavo attraversando non era un corridoio tra due file di celle in vetro identiche. Io non potevo essere ad un’Asta.
    C’era un ragazzo che mi piaceva a scuola, un giocatore di pallacanestro, due giorni prima avevamo pranzato insieme: il giorno dopo saremmo dovuti uscire.
    La mia migliore amica di allora, Taylor, avrebbe suonato in un locale con il suo gruppo, i “Dancing Rabbits”, quel sabato: le avevo promesso di esserci perché era la cantante ed aveva bisogno di una faccia amica tra il pubblico, sulla quale concentrarsi per non andare in panico.
    Quel pomeriggio mi sarei dovuta esibire all’apertura della partita di basket come sostituta cheerleader di una ragazza titolare ammalata. Aspettavo un’occasione del genere dalla primo giorno di liceo, quando per la prima volta avevo visto delle ragazze con la divisa viola ed oro ed i pompon tra le mani.
    Quindi, tutto quello non poteva accadere proprio a me.
    Mi spinsero dentro una stanzetta con le pareti trasparenti, larga circa due metri quadrati ed alta tre, e chiusero la porta alle mie spalle. Non per intrappolarmi, no signore, l’ADP ti prelevava. Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello Stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test. Un semplice questionario a scelta multipla. Le domande potevano essere di cultura generale, di materie particolari, nel mio c’era stato perfino un quiz che aveva richiesto la scelta tra tre fiori. Non c’era modo di sapere chi lo avrebbe superato e chi no. Non c’era una risposta giusta ed una sbagliata. C’eri soltanto tu.
    Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
    C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
    A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante.
    Ed era davvero ridicolo, insomma io ero una normale diciassettenne, non credevo di avere particolari abilità, non avevo modo di crederlo. Ero una cheerleader e neppure tanto brava, visto che ero una riserva. Di norma i potenziali Veglianti si erano distinti negli sport o in qualche materia scolastica, cervelloni o fusti, non cheerleader con problemi con l’algebra.
    Ad ogni modo, se eri una potenziale Vegliante, se eri me, ti prelevavano da casa dopo le lezioni e, dopo aver fatto firmare un consenso informato ai tuoi genitori, ti portavano a New York con un treno esclusivo, controllata a vista da delle guardie. Ti guidavano in un fabbricato grande quasi quanto la mia città e ti chiudevano in una stanzetta di due metri per tre, in attesa che il Responsabile di una squadra di Veglianti facesse la sua offerta e ti comprasse. Non sapevo cosa accadesse ai potenziali Veglianti che non venivano scelti, ma immaginavo che lo avrei scoperto presto.
    Restai ferma a guardare le pareti di quello che sembrava plexiglass, anche se sospettavo fosse di un materiale molto più resistente. Qualche anno prima la scuola ci aveva portati a visitare l’acquario, immaginavo che i pesci si fossero sentiti proprio come me in quel momento. C’era soltanto una sedia all’interno, una sedia ed una busta di carta. La presi in mano per scrutarne il contenuto: cibo, un panino ed una bottiglietta d’acqua. Mi sedetti e ne presi un sorso, non avevo davvero sete, ma era un gesto così normale da allontanarmi dai pensieri terribili che quella situazione non poteva far altro che portare.
    Ogni volta che moriva un Vegliante, a scuola si osservava un minuto di silenzio per commemorarne la morte: quante volte mi ero alzata in piedi ed ero rimasta a capo chino in religioso silenzio per un minuto? Dieci? Venti?
    C’erano altri due ragazzi accanto a me, ognuno dentro la loro privata scatola trasparente. A destra c’era una femmina dai lineamenti ispanici che continuava a singhiozzare disperata, tremando. La guardai e mi trovai a pensare che da qualche parte nel mio cuore avevo voglia di piangere. Fin da quando la guardia aveva suonato alla nostra porta. Era come un formicolio dietro alla nuca, a metà tra il panico e la paura, ma avevo promesso a mia madre di non farlo. Aveva pianto lei, le mie lacrime insieme alle sue, mentre aveva continuato a ripetermi di essere forte, “piccola, ma agguerrita”, mi aveva incoraggiata con un sorriso umido. Mio padre nell’altra stanza discuteva i dettagli con i poliziotti che erano venuti a prendermi, pallido come non lo avevo mai visto.
    «Dille di stare zitta!»
    Mi voltai bruscamente a sinistra per osservare il ragazzo che aveva parlato, aveva l’aria corrucciata e lo sguardo fiero, quasi minaccioso, accentuato dai capelli cortissimi.
    «Sono ore che va avanti così, inizia ad essere stancante.»
    A differenza di me e dell’altra, lui stava in piedi, rigido e rigoroso come un soldatino di piombo.
    «Dovrebbe essere orgogliosa di essere stata scelta.»
    Sapevo che ce ne erano di fanatici come lui, gruppi di ragazzi troppo aggressivi: ignoravano i test ed andavano in giro ad intimidire anche i potenziali Veggenti, come se fosse una colpa nascere con un gene diverso. Il governo, ovviamente, non autorizzava certe rappresaglie, ma non le condannava neppure. Ma io credevo che ci fosse una bella differenza tra chi non aveva mai conosciuto la propria situazione ed accettava di buon grado la cura, e chi la rifiutava cercando di sabotare le produzioni di Mitronio o aderendo alla loro più orrenda legge: “un bambino vostro per ognuno nostro”.
    «Deve essere orgogliosa di avere la possibilità di spazzare via quei manipolatori.»
    Era questo il motivo di tanto astio, di quella guerra: se conoscevi il futuro, se potevi vedere ogni conseguenza di ogni azione, chi garantiva che tu non potessi anche sfruttare sette miliardi di persone in tuo favore? Il motivo che aveva portato il settantatré per cento della popolazione americana a votare sì alla soluzione proposta dall’ADP, era stata proprio la paura di un eventuale strumentalizzazione del proprio “dono”: se conoscevi il futuro, sapevi anche come cambiarlo.
    Bisognava anche considerare che la campagna propagandistica dell’ADP era stata a dir poco convincente: affliggere davanti al Ground Zero un manifesto con l’immagine delle due Twins Tower, inevitabilmente nella traiettoria di un aereo, e completare il tutto con due frasi come “E se qualcuno avesse saputo?” e di seguito come una condanna “E se Al Qaeda avesse saputo?”, non poteva non garantire i risultati sperati. Nemmeno se il sindaco di New York si dissociava dalla strumentalizzazione politica di una tragedia. Nemmeno se non c’erano prove che i terroristi fossero Veggenti: i Veggenti esistevano, la loro esistenza creava un dubbio, il dubbio era stato sufficiente a condannarli.
    «Mio fratello non ha mai fatto male ad una mosca!» gli gridò la ragazza tra le lacrime. Io la fissai ad occhi sgranati comprendendo, infine, la sua disperazione: come poteva combattere una guerra, quando suo fratello era dalla parte opposta del campo di battaglia?
    Il tipo alla mia destra colpì la parete di plexiglass che avevamo in comune con ferocia facendomi sussultare, mi trovai a sperare che fossero davvero molto resistenti. «Se non si è fatto curare lo ucciderò.»
    Lei singhiozzò più forte.
    Sospirando girai la mia sedia in modo da dare le spalle a Mr. Tatto e concentrarmi esclusivamente sulla ragazza. Era molto bella, aveva i capelli scuri raccolti in una coda in cima alla testa e la pelle color miele – una vera invidia per chi come me è rinchiuso in un corpicino pallido – occhi enormi e castani, scintillanti anche se affogati nelle lacrime.
    «Non dargli ascolto.» cercai di rassicurarla, anche se non ebbi coraggio di dire niente di più convincente.
    Lei tirò su con il naso e si tamponò gli occhi con un fazzoletto stropicciato. «So che ha sbagliato, anche se è mio fratello. Ma dovrebbero almeno concedermi un esonero.»
    Non risposi, continuavo a guardarla ed a chiedermi se effettivamente l’ADP avesse così bisogno di lei. Mi lanciai un’occhiata intorno. Non vedevo altro che file e file di celle come quella dove eravamo noi. Vegliare era pericoloso, i Veggenti attivi non avevano rimorsi di coscienza nell’uccidere, ma ogni anno erano migliaia i ragazzi che venivano mandati alle Aste da tutto lo Stato.
    «Come ti chiami?» le domandai. C’erano delle grate in alto, servivano per il sistema di aereazione, ma ci permettevano anche di parlare.
    Alzò gli occhi per osservarmi curiosa. «Amanda, Amy, tu?»
    Appoggiai il palmo aperto contro la parete che ci divideva. «Io sono Becky.»
    «Piacere di conoscerti.» fece un piccolo sorriso mentre congiungeva la sua mano con la mia.

«Non è che non si volesse curare.» confessò dopo un po’. Era passata circa un’ora e mezza da quando ero entrata lì dentro, starmene rannicchiata sulla sedia a parlare mi aveva aiutata a non pensare ai Responsabili ed ai Veglianti nelle loro giacche verde petrolio – verde Mitronio – che ci sfilavano davanti, studiandoci ed andando oltre.
    Ero più sollevata, ero arrivata alla conclusione che nessun poteva volermi. Ero piccola, gracile, riserva cheerleader, che se ne facevano? Davanti a me, troppo lontana perché potessi fare qualcosa di più che guardarla, c’era una ragazza alta più di due metri.
    Amy era più a rischio, anche se non le dissi niente: era alta e mi aveva rivelato di far parte della squadra di atletica leggera della sua scuola. Anche lei aveva problemi con l’algebra, ma nessuno pretendeva la perfezione.
    «Allora, perché è scappato?» domandai curiosa e decisa a mantenere quel clima leggermente più sereno. Mi si era anche sciolto lo stomaco e stavo addentando il mio panino, avrei avuto bisogno di andare in bagno, ma non vedevo molte possibilità a parte resistere.
    Come me, Amy si rannicchiò sulla sedia stringendosi le ginocchia al petto ed avvolgendole con le braccia. «Mi ha detto che il Mitronio l’avrebbe ucciso.»
    Mio padre mi aveva spiegato, quando avevo iniziato a fare domande, che il loro “dono” era connesso alle capacità cognitive. Una parte di cervello che di norma le persone non usavano, nei loro casi era attiva e funzionante. Quindi la cura interveniva sulle cellule neurologiche: il rischio di morte celebrale era reale.
    «L’hanno scoperto con il test?» chiesi ancora. Non mi sembrava di aver mai conosciuto un vero Veggente, in realtà nemmeno un Vegliante. Li avevo visti, venivano una volta al mese a pattugliare nella mia città. Erano lì per vigilare sulla sicurezza dei cittadini, per impedire che quel bambino – per uno dei loro – non fossi tu, ma mia madre mi aveva anche insegnato a star loro lontana. Un cucciolo di lupo, anche se allevato come un cane, un giorno o l’altro potrebbe rivoltarsi e azzannarti la mano con cui lo nutri.
    Scosse la testa, poi scrollò le spalle. «Da che ricordo io, Nick ha sempre visto. Probabilmente da quando è nato, solo che prima non sapeva dirlo.» fece un mezzo sorriso.
    Non la guardai, mentre concludevo: «Non l’avete denunciato.»
    L’ADP l’aveva sempre definito un “impegno sociale”, ma nessuna madre poteva essere così spietata da consegnare alle autorità il proprio bambino. Chiedermi se l’averla scelta e portata lì fosse una punizione per il loro mancato “impegno sociale”, era naturale.
    «Come avremmo potuto?» domandò lei fissandomi.
    «Siete una famiglia di traditori!» gridò l’altro ragazzo, che evidentemente aveva ascoltato i nostri discorsi per fornirci un suo punto di vista assolutamente non richiesto. «Meritate di morire tutti! Se fossi a capo dell’ADP io…»
    «Non sei a capo dell’ADP.» gli ricordai interrompendolo, mentre gli scoccavo un’occhiata arrabbiata. Mi sembrava quasi di vederlo, un ragazzino che magari aveva già tanti problemi con la cura di Mitronio e tutto il resto, venire importunato, infastidito, tormentato da lui e dai suoi vaneggiamenti di sterminio.
    Se io fossi stata a capo dell’ADP, avrei fatto in modo che certa gente non diventasse mai Vegliante. Avrei istituito un gruppo che sorvegliasse anche i potenziali Veggenti volenterosi di adattarsi alla legge e che li proteggesse da gente come lui.
    «Solo una traditrice può fraternizzare con un’altra traditrice.»
    Amy sollevò il capo infastidita. «Anche tu avresti scelto un fratello. Lo rifarei mille volte.» e so che era vero.
    Lui fece una smorfia disgustata. «Sentirti chiamare “fratello” uno sporco bastardo come lui mi dà il voltastomaco.» scosse la testa. «Se fossi già un Vegliante ed avessi una pistola, ti sparerei.»
    Io ridacchiai. «Solo un vigliacco vorrebbe diventare un Vegliante per avere una pistola ed affrontare una ragazza.» commentai divertita, perfino ad Amy scappò una risatina. Ero andata a scuola in un liceo pubblico ed ero davvero molto bassa, ero sopravvissuta imparando a rispondere a tono ad ogni battutina. «E comunque, non sei ancora un Vegliante. Nessuno ti vuole.» conclusi e sperai che nessuno lo scegliesse.
    Rosso di rabbia ed umiliato, diede un pugno al muro che ci divideva, per poi scrollare la mano dolorante e scatenare un’altra risata tra me e la mia fresca di conoscenza amica. «Le donne non dovrebbero essere potenziali Veglianti con tutti i vostri sentimentalismi.»
    «Mm… non sono d’accordo.»
    Tutti e tre ci voltammo verso un donna davanti alla mia cella, doveva aver assistito alla scena.
    Era sulla trentina ed aveva lo sguardo alto e sprezzante di chi era orgoglioso di essere l’unico padrone di sé stesso. Aveva i capelli neri tagliati in un caschetto asimmetrico, il lato sinistro le sfiorava il lobo dell’orecchio, quello destro arrivava qualche centimetro sotto la mascella; le labbra erano tinte con un rossetto cremisi, mentre gli occhi, neri quasi quanto i capelli, erano contornati da una precisissima – ed assolutamente invidiabile – riga di eye-liner a sottolinearne la forma allungata.
    Ma il dettaglio più importante era il suo cappotto verde dei Veglianti con un stella argentata all’altezza del petto: non era soltanto un soldato, era una Responsabile.
    Il ragazzo, rendendosi conto di aver commesso una terribile gaffe, si raddrizzò sull’attenti per cercare di impressionarla. «Chiedo perdono, signora. Ovviamente non era a lei che mi riferivo.» si scusò e ci lanciò un’occhiataccia.
    Sollevai gli occhi al cielo, ma evitai ulteriori commenti.
    La Responsabile si spostò davanti alla cella di Amy – proprio come avevo temuto – e controllò il suo tablet, dove sapevo che c’era la descrizione di ognuno di noi. «Amanda Martinez, diciassette anni, seconda classificata alle olimpiadi studentesche di quest’anno in salto in alto. Hai ragione, Zachy, sembra un elemento promettente.» deglutii, preoccupata per lei.
    Solo in quel momento però mi accorsi che non era sola, ma accompagnata da un ragazzo un po’ più grande di me. Un ragazzo bellissimo. Aveva gli occhi verdi, enormi, con ciglia così folte da fare l’invidia di molte donne, fu la prima cosa che vidi perché stavano fissando i miei. Con il cuore che batteva, catturai ogni altro dettaglio del suo viso, dagli zigomi alti, al naso deciso su una bocca morbida, quasi troppo per un uomo. Come la linea della mascella precisa, ma non troppo dura.
    «Non lei.» la corresse.
    Il corpo era perfetto come quello di tutti i Veglianti, garantito da un’invidiabile predisposizione fisica e salvaguardato da un esercizio rigoroso e costante. Non era troppo muscoloso però, chiunque avesse calibrato l’intensità del suo allenamento non aveva voluto appesantire troppo il suo fisico.
    Indossava la giacca verde, ma senza nessuna stella.
    «Lei.» disse e mi indicò con un cenno del capo.
    Il cuore mi sprofondò nel terrore: non poteva davvero volermi.
    La Responsabile tornò di fronte a me e piegò di lato la testa studiandomi, io rimasi ammutolita ed immobile. Trattenni il fiato, mentre aspettavo che qualcuno dicesse che era uno scherzo, o un errore. «Non mi sembra gran ché…» commentò lei, prima di consultare di nuovo il suo tablet. «Rebecca Farrel, diciassette anni, riserva delle cheerleader.»
    Il ragazzo bellissimo distolse gli occhi dai miei. «E poi?» domandò.
    «E poi niente, dolcezza.»
    «Non importa, voglio lei.» ribadì, si mordicchiò il labbro inferiore distrattamente, i suoi denti erano bianchissimi.
    «Puoi alzarti, cara?» mi domandò la Responsabile ed io obbedii. Mi tirai su in piedi, ma rimasi vicina alla sedia perché mi tremavano le ginocchia. «Dimmi un po’, Zachy…» cominciò, mentre incrociava le braccia sul petto e gli lanciava un’occhiata di sbieco. «Non è che hai problemi di autostima e ti serve qualcuno che faccia il tifo, vero?» gli domandò sarcastica.
    Lui ignorò il suo commento ironico e si avvicinò al mio plexiglass. Ci appoggiò una mano sopra, come a volermi toccare attraverso la parete. Per alcuni secondi rimase in silenzio, i suoi occhi incatenati ai miei, poi il suo palmo scivolò via, lasciando soltanto l’alone della sua impronta, e si avvicinò a quella che ormai supponevo essere la sua Responsabile. «Ti fidi di me, vero?»
    La donna sospirò e scosse la testa. «La mia fiducia in te mi porterà sul lastrico prima ed all’inferno poi.» toccò qualcosa sul suo tablet. «Vediamo se almeno il prezzo è abbordabile.» acconsentì con poco entusiasmo.
    «Volete davvero prendere lei?» chiese sbalordito il fanatico della cella accanto. «Ma se è solo una bambina.»
    Il Vegliante Zachy lo osservò come se si fosse appena accorto della sua esistenza, più precisamente come io avrei guardato della spazzatura particolarmente puzzolente, e si strinse nelle spalle. «Beh, di tipi come te se ne trovano ad ogni Asta.»
    «E di tipe come lei a frotte dietro ad ogni giocatore di football.» ribatté.
    «Ehi!» sbottai irritata. Non mi erano mai piaciuti i giocatori di football… preferivo quelli di pallacanestro, ma questo non lo dissi.
    «Si è detta d’accordo con quell’altra sua amichetta che non ha denunciato il fratello Veggente.» ci accusò.
    Stavo per ribattere qualcosa, ma la Responsabile alzò una mano, facendomi cenno di tacere, e si avvicinò a lui. «Il tuo nome.» disse. Non era una domanda, era un ordine, una pretesa.
    «Jonathan Kindley, signora.» rispose lui pronto e recuperò la sua posizione da soldatino. Patetico.
    Gli si fermò davanti e prese a studiarlo con gli occhi fissi, enormi. Se avesse guardato me con quegli occhi, avrei iniziato a tremare come un topolino spaventato. «Da Responsabile a civile, perché è questo che sei, ti do un solo, preciso ordine: smettila di parlare senza essere interrogato.»
    «Ma…» provò.
    «Shh!» intimò lei. «Cosa ho detto?» gli chiese.
    Finalmente tacque.
    «Tornando a noi…» iniziò guardandomi. «Costi una fortuna, mia cara.»
    «Davvero?» chiesi, davvero troppo stupita per continuare a stare zitta. Di norma il prezzo iniziale, deciso dall’ADP, era proporzionale al valore, non avevo mai creduto di avere effettivo valore come Vegliante.
    Lei si appoggiò le dita sulla labbra, pensierosa. «È necessario chiedersi perché.»
    «Faresti meglio a chiederti se ci sono altri potenziali acquirenti, Jean.»
    Anche se ero chiusa nella mia cella e quindi al sicuro, mi trovai a fare un passo indietro. L’uomo che aveva parlato era esattamente il tipo di Responsabile al quale ero abituata. Nessun taglio di capelli stravagante, nessun trucco impeccabile: grande, muscoloso, minaccioso. Nei suoi occhi si leggeva la spavalderia di chi non aveva mai chiesto niente, ma aveva afferrato tutto quello che aveva voluto a mani nude, senza curarsi di chi fosse stato calpestato nel farlo. Era anziano, sembrava avere l’età di mio padre, cinquant’anni circa, ma avrebbe potuto averne di più. Era scortato da due Veglianti che sarebbero andati sicuramente d’accordo con il tipo fanatico. Niente a che vedere con la Responsabile Jean e Zachy, che sembravano fratello e sorella a spasso insieme: nel loro gruppo si vedeva fin troppo bene chi era a comandare.
    Afferrò un braccio del ragazzo bellissimo, quasi gli appartenesse, e lo allungò studiandone la linea, prima di dargli una pacca sulla schiena e sul torace. Lo trattava come se fosse un animale ad una fiera di bestiame. Lessi nei suoi occhi verdi la voglia di scrollarselo di dosso, colpirlo magari, ma nello sguardo serio e fisso della sua Responsabile c’era un ordine all’immobilità che non aveva bisogno di parole per essere esplicato.
    «Zach Douquette…» lui deglutì. «È il tuo caposquadra ora che Josh è venuto a mancare.» annuì, ma non spostò neanche per un secondo lo sguardo da quello del suo Vegliante. «Davvero, un ottimo elemento, mi congratulo con la tua scelta.»
    Lei chinò il capo in un gentile cenno di ringraziamento. «Merito vostro e del vostro addestramento, signore.»
    «Troppo modesta, mia cara.» lasciò stare Zach e guardò me. Io deglutii, mentre pregavo in silenzio che, se proprio qualcuno dovesse portarmi a casa, non fosse lui. «Sei interessata alla ragazzina, Jean?» le domandò. «Non vedo niente degno di nota in lei.» continuò senza darle il tempo di rispondere.
    «I Veggenti ci sta dando un bel po’ da fare.» ammise con un sorriso. «Il mio stratega mi ha suggerito un’idea rischiosa, ma intrigante.»
    Per un attimo, il tempo di un battito di ciglia, tra Zach e la sua Responsabile passò uno sguardo d’intesa.
    «Spero che non sia un piano così segreto da non poterne mettere al corrente il tuo vecchio responsabile.»
    «Certo che no.» sorrise ancora, ma era un sorriso tirato, nervoso, che non impediva ai suoi occhi di rimanere guardinghi. «Una trappola.» mi indicò. «Un’esca.»
    Sussultai sgranando gli occhi senza fiato.
    Perfino lui sollevò le sopracciglia stupito, ma poi annuì compiaciuto. «Il tuo stratega è andato a sfogliare i rapporti del passato.» sembrava quasi onorato.
    «Il sacrificio di quei bambini è servito allo scopo: ho ucciso io stessa uno dei Veggenti più sfuggenti di San Francisco.»
    Ero carne da macello. Mi coprii la bocca con la mano, mentre il ragazzo bellissimo continuava a fissarmi. Avrei voluto urlargli addosso “perché io tra miliardi di persone?”. Mi morsi le labbra per impedirmi di mostrare quanta voglia di piangere avessi. Perché io? Ero sicura che i miei occhi glielo stessero chiedendo, perché ne sembrava quasi dispiaciuto.
    La Responsabile Jean gli accarezzò la schiena orgogliosa. «Zach non sarà da meno.»
    Grazie al mio sacrificio avrebbe ucciso un Veggente pericoloso, sarebbe stato onorato, sarebbe diventato un eroe, contento?
    «Non ne dubito.»
    «E voi?» gli domandò lui, senza guardarlo. «Avete posato gli occhi su qualche elemento interessante?»
    Accadde tutto troppo in fretta perché io riuscissi ad afferrare ogni dinamica. Mi accorsi che uno dei Veglianti dell’uomo minaccioso fece un passo avanti e tirò indietro il pugno per colpire Zach. Ma ero in ritardo perché Jean aveva già preso provvedimenti, mettendosi tra i due. Il pugno si fermò ad un soffio dalla sua faccia, ma lei non batté ciglio. Capii perché un momento dopo: a differenza di quel Vegliante, il suo di pugno aveva raggiunto eccome il suo stomaco, costringendolo a barcollare all’indietro.
    «Quando io facevo parte della vostra squadra, non avrei mai osato alzare il pugno su un Responsabile.» sibilò fredda.
    L’uomo rise di gusto. «Oh, Jean, sei uno dei miei più grandi successi. Senza ombra di dubbio.»
    Io ero ancora a bocca aperta, ci si aspettava che fossi più o meno al loro livello. Anzi no, in fondo ero solo carne da macello.
    «Scusa il mio ragazzo, è un po’ troppo protettivo nei miei confronti, anche se il tuo è senz’altro un po’ sfacciato.»
    Zach gli lanciò un’occhiataccia che la Responsabile spense con uno sguardo infuocato dal disappunto.
    «Ad ogni modo, ha rischiato di colpirti ed un tale affronto non rimarrà impunito.» scosse la testa, poi guardò le celle accanto alle mie, sia quella di Amy che quella del fanatico. «Credo, che io mi porterò a casa questi due.»
    Guardai la mia nuova amica impallidire e mi vergognai del moto di sollievo che mi crebbe in petto, anche se la mia situazione non era molto rosea: lei se ne sarebbe andata con quell’uomo spaventoso, io sarei stata usata come esca.
    «Una scelta accurata, signore.» commentò lei con un sospiro.
    Io sarei stata usata come esca. Rabbrividii e mi strinsi le braccia addosso per impedirmi di tremare.
    «Vuoi punire Lucas tu stessa?»
    Il ragazzo che aveva tentato di aggredirla poco prima deglutì, rigido con gli occhi bassi ed il capo chino, era incredibile perché era un ragazzo alto, dall’aria minacciosa, forte, ma aveva così paura, proprio come me.
    Lei sospirò, deglutì ed infine scosse la testa. «Ho piena fiducia nel vostro giudizio.» e non ne sembrava affatto contenta.
    «D’accordo.»
    Il suo secondo Vegliante incastrò il tablet prima davanti alla cella del fanatico, poi a quella di Amy, che mi lanciò un’occhiata disperata non appena sentì la propria porta aprirsi. Avrei voluto dirle qualcosa di confortante, ma non ci riuscii. Come lei d’altronde non seppe dire niente di rincuorante a me.
    Il Responsabile minaccioso si allontanò mentre sventolava una mano verso Jean. «Buona fortuna con il tuo Veggente.» i due tipi tenevano stretti sia Amy che Jonathan Kindley, ma lei si sforzò comunque di voltarsi e guardare verso di me. La salutai con un cenno della mano ed un sorriso poco convincente, mentre una lacrima mi rotolava sulla guancia.
    «Grazie, signore.» rispose piano la Responsabile.
    Non appena lui non fu più a portata di orecchi, si girò verso Zach, gli afferrò il viso con la mano e lo strattonò con forza verso il basso, per portarlo all’altezza dei suoi occhi. Lo fissò minacciosa. «In sua presenza devi stare zitto.» scandì piano, ma con autorità. «Quante volte devo dirtelo?»
    «Ma…» cercò di difendersi, senza però tentare di liberarsi.
    La donna gli schiaffeggiò al guancia, interrompendolo. «Zitto.» e lui tacque. Jean tornò a guardare me, prima di incastrare il suo tablet allo schermo accanto e premerci il palmo aperto. «Prendiamo la ragazzina e ce andiamo.»
    Quando la porta della mia celletta si aprì, segno che il pagamento era stato effettuato e che io appartenevo ufficialmente alla Responsabile, stavo singhiozzando. Non riuscivo più a ripetermi che quello non stesse succedendo a me: era me che avevano preso; era me che avrebbero portato con loro; era me che avrebbero usato come esca.
    Non avrei mai più visto quel ragazzo che mi piaceva e con il quale avevo contato di uscire il giorno dopo.
    Non avrei ascoltato Taylor cantare “Venus” davanti ad un vero pubblico, non sarei stata il viso amico che avrebbe in mezzo al pubblico.
    Non mi sarei esibita mai come ragazza pompon.


sempre la giovane donna di poco fa non è sicura di essere in grado di scrivere una roba del genere, perchè di norma pubblica e scribacchia storielline molto più semplici... quindi ogni incoraggiamento è gradito!
se poi non vi piace, che vi dico? evidentemente non sono pronta ancora!
un bacione a tutti quelli che arriveranno fin qua giù perchè è lungo lungo!
a presto!

   
 
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