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Autore: Celestine    18/05/2012    8 recensioni
Aveva picchiato Sherlock Holmes. Aveva realmente dato un pugno in faccia a Sherlock Holmes!
Non riusciva a crederci. Eppure la prova era evidente:ma mano destra con le nocche sanguinolente e doloranti. La scrutava raggiungendo la macchina. Quasi scivolava sul ghiaccio tanto era stupito.
Sherlock/John in sottofondo
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anderson, John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Del modo contorto ed un po’ speciale in cui Sherlock Holmes si prende cura della gente
 
 
 
Sherlock Holmes quando era sulla scena di un crimine richiedeva il massimo silenzio. E quando lui parlava di silenzio, non intendeva la semplice mancanza di suoni, ma la sospensione di “attività celebrali moleste” da parte degli agenti di Scotland Yard.
 
Anderson era un caso a parte. Lui non solo doveva stare zitto e non pensare ma doveva necessariamente uscire dalla stanza, o, se non era possibile, rivolgergli la schiena perché lo deconcentrava.
 
Non che quello fosse il motivo principale per cui Anderson non sopportasse Sherlock Holmes. Poteva elencare centinaia di ragioni, dal suo parlare veloce come una macchinetta con l’ovvio e preciso intento di far imbestialire gli altri, al suo camminare sulle scene del crimine come se si trattasse di un parco giochi.
 
C’erano poi le sue deduzioni. Se si fosse limitato alla scena del crimine forse avrebbe anche potuto ignorarlo ma Sherlock-quantosonoodioso-Holmes doveva ficcare il naso anche nella sua vita privata.
Nella sua e in quella di Sally. Cioè, di Donovan.
 
Per ripicca lo chiamavano Freak, anche se non sembrava che ciò lo toccasse più tanto. Non dovevano essere stati i primi. Sicuramente erano lontani da essere gli ultimi.
 
Anderson ancora si stupiva che qualcuno riuscisse a sopportare la sua presenza più d’un’’ora, quando, un giorno, era arrivato il dottor Watson.
Un uomo con l’aria pacifica e il taglio militare. Era diventato il suo coinquilino e non aveva ancora dato segni di disturbi mentali – se non si elenca il masochismo di vivere con quel pazzo.
Lo seguiva sempre e, inevitabilmente, anche sulle scene del crimine.
 
Così aveva incontrato John Watson, mentre correva dietro al detective con estrema fatica zoppicando con una stampella d’alluminio ed una smorfia tra il sorpreso e il dolorante.
 
Non poteva negare che l’arrivo del dottore era stata una boccata d’aria fresca. Holmes dedicava meno attenzioni agli Yard e più parole – infinite parole - a John che ascoltava paziente ed affascinato.
 
 
 
Quella giornata per Anderson non era delle migliori.
 
Poche ore prima aveva telefonato l’ospedale, informandolo che sua madre era stata ricoverata per un improvviso malore. Non sembrava nulla di grave, avevano detto, probabilmente un po’ di stress causato dall’avvicinarsi delle feste e della necessità di comprare la carne perfetta per l’arrosto perfetto. Non c’è nulla di cui preoccuparsi, diceva a se stesso, ma proprio non riusciva a farne a meno.
 
Salutò con un cenno Donovan che accanto all’auto di pattuglia controllava che nessuno sorpassasse il nastro giallo e nero. Lei gli si avvicinò e, con un tono che usavano solo tra loro, lo informò della successiva mazzata della giornata.
 
 – Freak sta già arrivando. Il caso è talmente assurdo che Lestrade ha fatto a meno di aspettare questa volta. – sospirò – speriamo non ci faccia l’abitudine, se no faremo davvero la figura degli incapaci.
 
Anderson gemette. Raggiunse la porta della villetta a schiera, stando attento a non scivolare sulla neve. Rintracciò Lestrade nella camera da letto dell’abitazione ed il suo stomaco si rivoltò sotto sopra. Non c’era molto da dire. Non c’era nemmeno un corpo da esaminare. Solo pezzi di cadavere accatastati in montagnette negli angoli della stanza. 
 
Quella era iniziata davvero come una giornata orrenda.
 
Nonostante i pensieri per la testa - dall’indignazione verso il genere umano alla preoccupazione per sua madre - fece il suo lavoro.
 
L’ora del delitto era probabilmente risalente ad almeno due giorni prima. L’arma doveva essere molto affilata perché la carne e le ossa erano tagliate con precisione chirurgica. Per terra non c’erano impronte ma solo sangue che raggiungeva le pareti.
 
Aveva quasi finito quando il telefono vibrò nella sua tasca. Senza esitazione uscì dalla stanza e rispose alla chiamata nervosamente fermandosi sulle scale che portavano al piano inferiore. Era sua moglie e lo informava delle condizioni della madre. Sembrava stesse bene, la trattenevano solo per sicurezza, ma comunque Anderson non riusciva a rilassarsi.
 
Anche suo padre aveva avuto un malore. Tutti l’avevano sottovalutato ed il giorno dopo Jason Anderson, tranquillo e sorridente, riposava morto nel suo letto.
 
Si accorse a malapena del Consultive Detective e compagno che gli passavano accanto sulle scale mentre spiegava a sua moglie il migliore tragitto per evitare il traffico dal S. Charles fino a casa di sua madre.
 
Quando chiuse la telefonata era più nervoso di prima e trovarsi Sherlock Holmes tra i piedi peggiorò soltanto la situazione.
 
Stava sulla soglia della stanza, come un avvoltoio, ed osservava attento il disastro di sangue e arti davanti a sé mentre John Watson si era voltato facendogli un cenno, forse anche per prendere un respiro profondo prima di mettere di nuovo gli occhi su quell’inferno.
 
- Anderson, oggi sei riuscito a dare il peggio di te, come al solito del resto – disse il Consultive Detective con voce atona.
Lestrade stava interrogando i vicini al piano inferiore ed a custodire la camera da letto era rimasto uno scricciolo di Yard di poco meno di venticinque anni che era da ammirare considerando che era il suo primo caso sul campo e non aveva ancora rimesso. La giovane dai capelli raccolti in una coda stretta e severa ringraziò con gli occhi Anderson quando gli fece cenno che poteva andare.
Fuggì via mentre si preparava a quella battaglia che sempre perdeva contro Holmes.
 
- E tu invece, dai sempre i meglio nel comparire nei momenti migliori non è vero? Scommetto che ti porteresti volentieri a casa un paio di quei pezzi. Per la tua collezione. – rispose acido.
Era formidabile come la sua voce diventasse stridula quando parlava con lui.
 
- Sai perfettamente che mi ha chiamato Lestrade e sì, effettivamente un paio di quei pollici mi potrebbero essere utili. Ovviamente molto più utili di quanto tu mi sia mai stato. Non che abbia bisogno di te in alcun modo ma il tuo consumare ossigeno rallenta il mio cervello e la tua faccia mi disgusta. Considerando poi la tua innata incapacità di fare bene il tuo lavoro mi chiedo perché tu non ti sia ancora licenziato. Forse ti preoccupa che tua moglie ti rinfacci quanto guadagna o forse non vuoi abbandonare le gonne di Donovan.-.
 
Lestrade stava salendo a due a due i gradini delle scale quando vide il pugno che colpì Holmes. Il detective era caduto nel corridoio e si teneva il naso sanguinante. John diede uno spintone ad Anderson tremante ancora piegato in avanti, e si avvicinò preoccupato al coinquilino.
 
Lestrade stava per abbaiare contro il medico legale quando questi lo sorpassò scendendo le scale ed urlano un maleducato – Vado a casa!-.
 
 
Aveva picchiato Sherlock Holmes. Aveva realmente dato un pugno in faccia a Sherlock Holmes!
Non riusciva a crederci. Eppure la prova era evidente:la mano destra con le nocche sanguinolente e doloranti. La scrutava raggiungendo la macchina. Quasi scivolava sul ghiaccio tanto era stupito.
Prese le chiavi dell’auto ed esalò un sospiro di sollievo. Che soddisfazione. Che soddisfazione! Tutta la tensione accumulata nel giro di qualche ora si era volatilizzata con un solo, indimenticabile pugno!
Ora poteva occuparsi di sua madre, e chi se ne frega del lavoro e diSherlock-quantosonoodioso-Holmes!
Accese la macchina e partì.
 
 
 
 
John e Sherlock si erano spostati nella camera adiacente ed il medico si era procurato il necessario per sistemare la faccia di Holmes, prima che tutto quel sangue gli inzuppasse la camicia. John non poteva dire di essere stupito dei battibecchi tra il suo coinquilino ed il medico legale ma il suo istinto gli diceva che c’era qualcosa di strano. Qualcosa che andava oltre alle solite scaramucce. Allora fece la cosa più logica da fare: chiese spiegazioni.
 
- Che cosa è successo? – domandò calmo mentre tamponava il naso dell’uomo alto, seduto sul gabinetto di fronte a lui.
 
- Mi sembra abbastanza evidente cosa sia successo John, Anderson mi ha dato un pugno. Ed anche un bel pugno – disse gemendo. – Non lo avrei mai immaginato.
 
Dubitando dell’ultima affermazione del detective, sospirò e gentilmente pulì il viso dagli schizzi di sangue sparsi qua e la.
 
– Sherlock, forse non sono intelligente come te, ma non sono completamente cieco. Hai chiesto a Lestrade di lasciar perdere perché avevi esagerato. – tentò di enfatizzare il concetto come se questo realmente fosse necessario.
 
Holmes che copre le spalle ad Andersonera una delle cinquanta cose che non si aspettava di vedere nella sua vita.
Una piccola certezza in quella gabbia di pazzi che era diventata la sua esistenza accanto a Sherlock. Non che se ne lamentasse ovviamente. Non era mai stato più felice.
 
 
Il detective sbuffò alzandosi e controllando con occhi di ghiaccio le condizioni del suo naso. Si era gonfiato un po’ ma non era nulla di che.
Notò John che lo fissava insistentemente dallo specchio. Alzò gli occhi al cielo. Come era possibile che a questo mondo fossero tutti così ciechi!
 
- Donovan oggi profumava di vaniglia. – Sherlock controllò i denti nello specchio. Anche lì nessun danno. John ancora lo fissava senza capire. Sherlock sospirò, e di scatto si voltò verso John, inchiodandolo con lo sguardo. Con il volto sempre più vicino a quello dell’altro.
 
- Oggi è martedì e da circa quattro mesi Anderson e Donovan hanno preso l’abitudine d’incontrarsi dalle 4.00 alle 5.00 del mattino facendo combaciare i loro turni notturni.
I loro incontri si svolgono di solito in un motel, non troppo vicino alla stazione per non essere riconosciuti, non troppo lontano in caso di emergenze, ovviamente a sud del fiume, dove la moglie di Anderson non si troverebbe per nessun motivo considerando che odia i ponti e lavora in uno studio nella zona nord est di Barbican. Quando sono in questo motel, entrambi utilizzano i prodotti da bagno già presenti nella camera e perciò da quindici martedì a questa parte quando si passa loro vicino si sente un leggerissimo odore di latte di mandorle, che a lei piace, ma che lui non sopporta, perciò sta estremamente attento a sciacquarsi, con acqua calda che gli irrita la pelle delle mani lasciando degli arrossamenti leggermente visibili anche a distanza di ore. – Sherlock prese un lieve respiro e si godette la visione di un John completamente affascinato e con la bocca aperta. Il detective contò cinque secondi prima che il dottore si riprendesse. Stai rallentando, John.
 
Il medico tossì bruscamente arrossendo e voltando lo sguardo cercò calmarsi. Parlo con voce ancora tossicchiante - comunque non mi è chiaro come tutto ciò abbia a che vedere con il tuo naso sanguinante. - perché diavolo aveva bisogno di calmarsi?! Non c’era assolutamente nulla di compromettente o pericoloso perciò non c’era nessun motivo per agitarsi e quindi per calmarsi!
 
Sherlock tornò a guardarsi allo specchio per controllare la camicia su cui non compariva nessuna macchia. Lasciò che John riprendesse un colore vagamente normale e ricominciò a spiegare l’ovvio:
 
- Come ho già detto oggi è martedì e Donovan profuma di Vaniglia, il suo solito bagnoschiuma, quindi non è stata al motel. Perché? Non era arrabbiata e nemmeno tesa, quando lo è si gratta ritmicamente la giacca con le unghie della mano destra portando sempre, inevitabilmente alla rottura di quella del mignolo, ed oggi i suoi mignoli erano identici e curati, perciò è da escludere un litigio tra i due amanti. Cosa rimane? Un contrattempo? Cosa avrebbe potuto disturbarli? Un caso? Ma allora non dovrebbero essere qui, almeno non entrambi considerando le scartoffie da compilare. Allora cosa rimane? Problemi familiari. Di lei? No, troppo rilassata. Di lui? Sì. Ed infatti, eccolo sulle scale che muove avanti ed indietro il piede, ovvio segno di nervosismo, mentre parla al telefono. Con chi? Ho sentito distintamente la voce di una donna. Data la confidenza con cui le parlava ed il non essersi preoccupato di cercare un luogo più appartato per la telefonata direi che si tratta della moglie. Ipotesi confermata quando lo sento salutare chiamandola Annie. Ma perché era agitato? Perché il telefono acceso durante l’orario di lavoro? Anderson odia lo squillo dei cellulari quando è vicino ad un cadavere. Lo spaventa. Allora lo spegne sempre per i pochi minuti in cui è sulla scena del crimine. Per fargli tenere acceso il cellulare deve essere successo qualcosa di grave. Al telefono stava dando delle indicazioni stradali, ha nominato Elgin Crescent e Powis Square.
Che cosa si trova in quella zona. In quella zona abita sua madre, quasi sicuramente in Talbot road. Questo lo so perché Anderson abita dall’atra parte di Londra, per essere precisi a Tottenham, ed ogni domenica passe per MaryLebone Road incrociando inevitabilmente Baker Street. Ascoltando le noiose conversazioni del lunedì con altri Yard ho saputo che sua madre, ogni domenica prepara dolci squisiti in grande quantità, che avanzano sempre e che ogni tanto lui porta a Scotland Yard, perché la moglie è costantemente a dieta e quei dolci ipercalorici non li può vedere, mentre Lestrade li adora silenziosamente.
Appurato che Talbot road è dove si trova la casa della madre c’è da chiedersi cosa possa essere successo. Basta sapere cosa c’è d’interessante nella zona di Elgin Crescent e la risposta è subito servita: St Charles Centre For Health & Wellbeing. Ti ricordi John? (È l’ospedale in cui mi hai portato per l’intossicazione da gamberetti.)
Anderson è nervoso perché sua madre è ricoverata in ospedale. Da quanto? Noi non lo vediamo da una decina di giorni ma la sua agitazione è troppo sottopelle per non essere piuttosto recente. Questo è confermato dal fatto che Lestrade nel suo ufficio, che abbiamo visitato stamani, nasconde ancora due muffin fatti in casa con l’incarti di uno mangiato probabilmente ieri mattina ed un altro appena gustato, aveva ancora delle briciole sui pantaloni e la cintura. Se ci sono i Muffin significa che la Signora Anderson stava bene fino a domenica e sommando ciò all’incontro saltato tra i due amanti si deduce che l’emergenza sia scattata non più di 16 ore fa.
 
John era nuovamente sbalordito – oh, come adorava la faccia sbalordita di John. Poi John parlò, e l’unico Consultive Detective del mondo capì il significato metaforico di “ mi cadono le braccia”.
 
- Tutto questo è straordinario Sherlock, davvero fantastico ma ancora non capisco.- Lo disse con un’espressione talmente ingenua e confusa che Holmes era combattuto tra l’idea di strapazzarselo un po’ ed aprirgli la scatola cranica per controllare che il cervello fosse ben ossigenato. Optò per un lungo sospiro, sedendosi di nuovo sul gabinetto aspettando le domande che sarebbero arrivare dal lì a qualche secondo.
 
- La tua spiegazione è stata assolutamente chiara, Sherlock, non fraintendere, ma tu non hai risposto alla mia domanda. Che cosa è successo. O per meglio dire perché hai lasciato che Anderson ti desse un pugno in piena faccia, quando potevi benissimo evitarlo. Se pensavi che fosse troppo nervoso per essere lucido nell’analisi dei cadaveri – e qui gli vennero dei brividi gelidi a ripensare alla scena a pochi metri da loro – bastava che lo dicessi a Lestrade, l’avrebbe sicuramente mandato a casa.
 
Sherlock alzò gli occhi al cielo. – Ci sarebbe voluto troppo tempo John ed avrei dovuto dare una spiegazione a Lestrade per convincerlo a mandarlo a casa. E Lestrade non è te. – sibilò sfiorando con le dita pallide i capelli biondi dell’altro facendolo rabbrividire.
 
- Non è tutto Sherlock, qualche tassello manca – disse con tono sicuro. Aveva le sopracciglia aggrottate come un bambino che sta componendo un puzzle particolarmente difficile.
 
- John, davvero non c’è niente altro di rilevante. Doveva andare da sua madre e ci è andato nel modo più veloce possibile.- Disse alzandosi dal gabinetto e sovrastando il coinquilino. Stava uscendo dal bagno che avevano chiuso quando erano entrati, quando senti uno strano verso uscire dalla gola di John. Si voltò e lo vide indicarlo con la bocca spalancata. Annaspò come un pesce rosso e poi parlò, come se avesse in bocca una verità assoluta ma incredibile.
 
- Tu non l’hai insultato pesantemente perché aveva analizzato male la scena del crimine. Tu l’hai insultato perché volevi che se ne andasse all’ospedale da sua madre!
 
Sherlock alzò un sopraciglio ed i suoi occhi di ghiaccio osservano curiosi il viso squadrato di John – Le due cose possono perfettamente convivere John.
 
John ghignando abbassò il braccio ancora sollevato davanti a sé: - ed io che avevo creduto fosse Mycroft il cocco di mamma! Invece ance tu hai un debole per le signore anziane. Dovevo capirlo quando hai abbracciato Mrs Hudson la seconda volta che ci siamo incontrati!
 
Sherlock sbuffò. – Sfortunatamente nostra madre non faceva i dolci come Mrs Anderson ne è vagamente paziente come Mrs Hudson. Penso sia stata piuttosto felice quando me ne sono andato. – gli occhi vagarono per un istante nei ricordi, senza malinconia o nostalgia, solo con la calma di chi rilegge un vecchio foglio abbandonato sulla scrivania e non più guardato per molto tempo.
 
Quando tornò alla realtà John lo fissava. Non erano passati più di cinque secondi.
 
- Ora che ho risposto alle domande sul noiosissimo caso Anderson possiamo tornare ad occuparci del motivo per cui siamo venuti qui? – chiese retoricamente aprendo la porta del bagno.
 
John annuì distrattamente ma poi si riscosse. Holmes era ormai a metà del corridoio quando si voltò verso il dottore che gli pose un’altra domanda. Ancora un’altra domanda.
 
- Perché hai lasciato che ti desse un pugno?
 
Sherlock, di profilo, guardò il soffitto, una mano nel cappotto e l’altra che si tastava il naso leggermente dolorante.
 
- Beh era meglio un naso rotto piuttosto che un incidente stradale a causa di accumulo di tensione repressa e di ghiaccio sulle strade no? Ora possiamo andare John? Davvero, Lestrade ci aspetta. – terminò come un bambino che chiede alla mamma di muoversi perché la fila del parco giochi sta andando avanti senza di loro.
 
John Watson stava per aprire la bocca ma si forzò a richiuderla. In quel momento non aveva alcuna voglia entrare in una stanza piena di pezzi di corpi umani. In quel momento aveva solo voglia di prendere Sherlock Holmes per la maledetta camicia, sbatterlo al muro e baciarlo finché non gli sarebbe rimasto più fiato. Ma decise di trattenersi perché Sherlock Holmes, dopo quel pugno preso con quello spirito, si meritava un po’ di divertimento.
 
Sorrise pensando che avrebbe avuto tempo più tardi di dimostrare il suo orgoglio per quel suo gesto di attenzione un po’ contorto. Magari dopo la fine del caso, avrebbe potuto sperimentare che effetto aveva la tensione repressa su un ghiacciolo come Sherlock Holmes.
 
 
 
 
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Questa fic è stata una bella impresa ma non posso dire di non essermi divertita! Spero che sia piaciuta anche a voi! A presto!
CLSTN
  
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