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Autore: Elpis Aldebaran    18/05/2012    3 recensioni
[SPOILER! OVUNQUE]
Era strano, di solito parlavamo un sacco, se non di noi, degli dei, della guerra, della nuova profezia di Rachel. A volte anche della stessa Rachel, ma l’argomento non mi faceva impazzire e lui lo sapeva bene, gli piaceva quando diventavo gelosa.
Rachel era l’Oracolo, non le era concesso avere un ragazzo, da qui all’eternità, ma la sua astinenza ancora mi convinceva poco.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Note dell’autrice: questa piccola cosuccia è piena di spoiler. Dal titolo fino alle note, per cui se non volete sapere niente, non leggete, grazie.

Per tutti coloro che invece conoscono la storia, buona lettura. La fic non è niente di che, racconta solo cosa è successo il giorno prima che Percy sparisse. Uno stralcio di normalità, una volta tanto, senza mostri, furie o dei arrabbiati in cerca di vendetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre giorni, sei ore e circa dodici minuti

 

 

 

“Ci siamo incontrati al campo martedì, immaginando di passare tre settimane insieme. Doveva essere grandioso. Poi dopo il falò, lui – lui mi ha baciata per la buona notte, è tornato indietro alla sua cabina, e al mattino se n’era andato. Abbiamo cercato per l’intero campo. Abbiamo contattato sua madre. Abbiamo provato a raggiungerlo con ogni mezzo che conosciamo. Niente. È semplicemente scomparso.”

[Annabeth a Piper]

[1]

 

 

Abitare nella stessa città non vuol dire necessariamente riuscire a vedersi tutti i giorni.

New York è immensa e le nostre scuole vergognosamente lontane; senza contare che io stavo in collegio, con regole ben precise sugli orari e sugli spostamenti fuori sede.

Non stavo male, Percy veniva all’uscita di scuola tutte le volte che poteva, anche solo per vedermi cinque minuti, per stare un po’ insieme e progettare le nostre vacanze al Campo Mezzosangue. Era questo l’argomento ricorrente delle nostre conversazioni nelle ultime due settimane ed entrambi non vedevamo l’ora finalmente di passare insieme le giornate, senza la necessità di scandire il tempo con il contagocce.

Martedì era il giorno prestabilito. In realtà avremmo potuto vederci anche prima, ma Sally Jackson era decisa a passare qualche giorno col figlio prima che scomparisse nei confini del Campo e onestamente non potevo darle torto.

Invidiavo il legame che c’era tra loro due, era quel tipo di affetto che io non avevo mai provato in vita mia e che certamente aveva contribuito a rendere il mio carattere … scostante.

Arrivai al campo lunedì e notai con piacere che non c’erano ancora molti ragazzi in giro, solo quelli che stavano al Campo per tutto l’anno – perché non avevano un’altra famiglia da cui tornare.

La mia Casa, osservai con una punta di fastidio, era un totale disastro. Era stata abitata nelle ultime settimane solo da tre dei miei fratelli e l’avevano ridotta peggio della Casa di Dionisio durante la Festa del Vino. Non ebbi molto tempo di arrabbiarmi, comunque.

Il mattino seguente molti dei figli di Atena sarebbero rientrati e potevano stare certi che li avrei fatti sgobbare come muli per riportare la Casa a un minimo di decoro; ci tenevo all’ordine degli altri.

Io sono l’architetto dell’Olimpo, una mente particolarmente intelligente e creativa, non ho tempo di pensare all’ordine della mia testa, figuriamoci a quella della mia postazione. Per le pulizie esistono i miei fratelli e dato che sono la seconda per anzianità in quella Casa, nonché capogruppo e fidanzata a tempo indeterminato del figlio di Poseidone, posso permettermi di dettare legge e impartire ordini a mio piacimento.

«Malcolm» chiamai a voce alta, posando lo zaino a terra.

Non ricevetti risposta. Mi avviai verso la Casa Grande, ma incontrai solo qualche figlio di Afrodite e di Ermes, nessuna traccia dei miei fratelli e in particolar modo del mio capogruppo in seconda.

Malcolm era un ragazzo a posto, un po’ confusionario ma di certo una persona fidata. Mentre io ero stata eletta con regolare votazione alla guida della Casa di Atena, Malcolm era diventato mio vice perché lo avevo scelto di persona. Era un anno più grande e aveva una dote che apprezzavo particolarmente: quella di farsi gli affari propri. Dote che mi era risultata molto utile da quando stavo con Percy.

Riuscii a trovare Malcolm e i miei fratelli sulle rive del lago, intenti a godersi quei pochi raggi di sole tiepido che la stagione consentiva; tutti avevano a fianco un blocco da disegno con alcune matite mangiucchiate. Non era inusuale vedere i figli di Atena sempre accompagnati da quegli strumenti; siamo intelligenti, un vulcano di idee in eruzione, dovevamo appuntarle di continuo per non dovercele scordare.

«La Casa è un macello» annunciai, mettendomi a sedere accanto a loro.

«Annabeth, che sorpresa! Non dovevi arrivare domani?» chiese Mallory, la mia sorellina di dieci anni.

«Cambio di programma» dissi senza tanto entusiasmo.

I miei fratelli sorrisero malandrini, senza però azzardarsi a fiatare. Solo Malcolm si rivolse a me con uno sguardo furbo.

«Percy arriva oggi?».

«No».

«Domani?».

Mugugnai in risposta.

«Capito tutto. Ragazzi, mettiamo a posto la Casa, Annabeth è decisamente di cattivo umore».

Ammetto: Malcolm per certe cose era davvero più intelligente di me.

 

La serata passò tranquilla, dato che eravamo ancora in pochi. Neanche Rachel era arrivata, ma in compenso c’era Clarisse. Ma il suo stare sempre appiccicata a Chris, a bisbigliarsi chissà cosa nell’orecchio, non migliorava il mio umore.

Decisi di andare a letto presto: Percy sarebbe arrivato la mattina seguente e avremmo passato tre settimane intere insieme, solo per noi.

Sarebbe stato magnifico.

 

«Annabeth? Annabeth, svegliati!».

Aprii gli occhi quel tanto che bastava per riconoscere Mallory.

«Che ore sono?» chiesi, notando con disappunto che fuori dalla finestra il cielo era grigio.

«Le sei e mezzo» fece la mia sorellina, con uno sguardo colpevole.

«E’ presto, è successo qualcosa?».

Mallory si mise a sedere sulla sponda del mio letto, un po’ incerta. Sembrava che si stesse pentendo di avermi svegliata.

«Sono andata al bagno dieci minuti fa e … ho visto che qualcuno è arrivato alla Casa di Poseidone».

Il mio cervello scattò come una molla. Mi alzai in fretta, rovesciando per terra la mia povera sorellina e correndo ad affacciarmi alla porta.

Poco lontano, la Casa di Poseidone era in attività. Un grosso borsone da viaggio era ai piedi della porta, le finestre erano spalancate e fui quasi certa di notare un’ombra che si muoveva all’interno. Mi voltai verso Mallory, che poverina si massaggiava il sedere dolente.

«Hai visto chi era? Può – può essere Tyson».

«Tyson? Lui non viene spesso al campo. Solo quando è sicuro di trovarci Percy, no?».

Aveva ragione.

Senza neanche cambiarmi o mettermi una felpa addosso, camminai veloce verso la Casa di Poseidone, con il cuore che mi era salito in gola. Riconobbi il borsone.

Ero quasi vicina alla porta quando un ragazzo alto, dai capelli neri e gli inconfondibili occhi verde acqua uscì fuori, stiracchiandosi le braccia.

Ci guardammo per pochi secondi, come se le nostre menti dovessero verificare che non eravamo due allucinazioni, e il resto fu immediato.

Percy spalancò le braccia e io mi buttai su di lui, come se non lo vedessi da mesi interi, invece che da una settimana e poco più.

Non ero una persona sentimentale, non mi piaceva neanche scambiare smancerie in pubblico con lui; m’imbarazzavo facilmente, lo ammetto. Ma da quando era finita la guerra e avevamo fatto chiarezza con i nostri sentimenti – io avevo fatto chiarezza con Luke – la sua presenza mi era diventata indispensabile. Saperlo accanto a me mi rassicurava, pensare di poter contare su di lui per qualsiasi cosa mi faceva sentire amata, come non lo ero mai stata in vita mia.

Non sapevo se per lui era lo stesso, ma credo che fosse un sentimento che ci andava piuttosto vicino.

Senza pensare al fatto che probabilmente c’era ancora Mallory che mi stava osservando da lontano, spinsi Percy all’interno della sua casa e lo baciai di slancio, prendendogli il viso tra le mani. Lui rispose subito, chiudendo con un calcio la porta.

«Non ci è permesso di stare da soli dentro a una Casa, vuota» bofonchiai, mentre sentivo le sue mani che mi scivolavano lungo la schiena.

Percy mi sorrise e pareva che i suoi occhi brillassero nell’oscurità della stanza.

Gli ero mancata, non c’era dubbio.

«Non mi pare di essere un ragazzo che bada molto alle regole del Campo» fece, tornando a baciarmi sulle labbra.

Non aveva tutti i torti e io niente da obiettare.

 

Nel pomeriggio Chirone non era per niente contento. Quel centauro ha occhi e orecchie ovunque e il fatto che fossimo usciti dalla Casa di Poseidone solo verso l’ora di pranzo fu una cosa che lo fece uscire di testa.

I miei fratelli non dissero nulla a riguardo, limitandosi a ridere tra di loro ogni volta che mi trovavo nelle vicinanze, ma a Percy non era andata meglio.

Connor e Travis Stoll non gli dettero pace per tutto il tempo, seguendolo dalla signora O’Leary, al molo delle canoe, al tiro con l’arco, nel bosco a cercare Grover, stordendolo con le loro allusioni poco caste.

Durante il banchetto della sera, Percy toccò il fondo quando pure Clarisse cominciò a prenderlo in giro. A quel punto, decise che avrebbe volentieri saltato il falò.

Lo trovai molto più tardi, seduto sul molo e con le gambe a mollo nel lago.

Era più pensieroso del solito e pensai che fosse per tutte le prese in giro della giornata, ma Percy non era il tipo che se la prendeva per certe cose. Anzi, aveva anche più pazienza di me, semplicemente si faceva scivolare tutto addosso.

«Tutto bene?» chiesi, poggiando la testa sulla sua spalla.

«Tutto bene» sospirò, alzando lo sguardo verso le stelle.

Mi passò un braccio intorno alle spalle e stette in silenzio. Ogni tanto si voltava nella mia direzione, mi guardava, sorrideva, giocava con i miei capelli, ma non diceva mai niente.

Era strano, di solito parlavamo un sacco, se non di noi, degli dei, della guerra, della nuova profezia di Rachel. A volte anche della stessa Rachel, ma l’argomento non mi faceva impazzire e lui lo sapeva bene, gli piaceva quando diventavo gelosa.

Rachel era l’Oracolo, non le era concesso avere un ragazzo, da qui all’eternità, ma la sua astinenza ancora mi convinceva poco.

Dopo un’ora Percy mi accompagnò alla Casa di Atena, dove tutti erano addormentati nel proprio mondo dei sogni. Mi baciò ancora, con un po’ troppa prepotenza per essere solo un bacio della buona notte, ma di certo non avevo nulla di cui lamentarmi. Di solito ero io che prendevo l’iniziativa, quando gli altri non erano nei paraggi, ma vedere lui così intraprendente mi fece sentire ancora più innamorata.

Mi sorrise, esitò un attimo prima di congedarsi, sfiorandomi la guancia con le dita. Poi si diresse verso la sua Casa.

Al mattino, Percy non c’era più.

Se n’era andato, senza lasciare tracce, portando dietro di sé un pezzo del mio cuore.

 

 

 

“[Annabeth] si strofinò il viso e prese un respiro incerto «Scusa. Sono un po’ stanca».

«Sembri pronta a crollare» disse Piper. «Da quanto tempo stai cercando il tuo ragazzo?».

«Tre giorni, sei ore e circa dodici minuti».”

[2]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

[1] e [2] sono pezzi tradotti da “The Lost Hero”, il primo libro della saga “The Heroes of Olympus”, seguito di “Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo”.

Li ho tradotti io, quindi di seguito vi metto i brani originali in inglese.

 

“We met up at camp on Tuesday, figured we had three weeks together. It was going to be great. Then after the campfire, he—he kissed me good night, went back to his cabin, and in the morning, he was gone. We searched the whole camp. We contacted his mom. We‘ve tried to reach him every way we know how. Nothing. He just disappeared.”

 

“She rubbed her face and took a shaky breath. -Sorry. A little tired.

-You look ready to drop, Piper said. -How long have been searching for your boyfriend?

-Three days, six hours, and about twelve minutes.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo © Rick Riordan

“Tre giorni, sei ore e circa dodici minuti” – fan fiction © Elpis Aldebaran

   
 
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