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Autore: WBJK    18/05/2012    2 recensioni
Tutti i trekker del mondo hanno cercato di immaginare le conseguenze di una certa fusione mentale. Questa è la mia versione, spero che vi piaccia. Spoiler per "Requiem per Matusalemme", TOS.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: i personaggi e le ambientazioni di Star Trek sono di proprietà della CBS Paramount. Ma per quanto mi riguarda appartengono a tutti noi.

 

Non era la prima volta che si addormentava sui rapporti, il lavoro d’ufficio era una di quelle maledizioni bibliche che neanche la tecnologia avanzatissima del 23° secolo era riuscita a debellare definitivamente. Certo, ora siglava rapidamente dei padd piuttosto che dei fogli di carta, e il più delle volte era il computer a leggergli i rapporti mentre si dedicava all’indispensabile cura di sè che era parte del carisma che sapeva di esercitare sul suo equipaggio, il migliore della flotta stellare, quello che più di tutti meritava un capitano alla sua altezza.

Tuttavia non era la parte del suo lavoro che preferiva, evidentemente, e spesso gli dedicava solo i ritagli di tempo, prima di addormentarsi o prima di iniziare il servizio nel turno alfa. Quindi, inevitabilmente, qualche volta crollava sul desktop per qualche minuto o, talvolta, qualche ora di sonno scomodo ed agitato prima di arrendersi alle necessità del suo corpo.

Questa era una di quelle volte: James T. Kirk si stiracchiò per qualche secondo mentre si riprometteva per l'ennesima volta che non avrebbe più lasciato che il lavoro d'ufficio lo sopraffacesse, e, recuperando pian piano lucidità, si accorse che non ce n'era affatto nè sulla scrivania, nè sullo schermo lampeggiante del computer. Ora, questa era una cosa strana: aveva affrontato stress ben più severi di quello appena passato, costeggiando l'ultima frontiera, e non aveva mai passato l'intera notte sulla scrivania, nè gli era mai capitato di crollare quando scartoffie non ce n'erano affatto.

La febbre rigelliana aveva rappresentato una grave emergenza a bordo dell'Enterprise, e Kirk aveva assistito disperato e impotente alla devastazione che la malattia, che McCoy definiva una moderna peste bubbonica, aveva portato sul suo equipaggio. Ma il suo lavoro era un costante esercizio di coraggio ed autocontrollo: anche se non aveva la presunzione di essere più che umano, si sforzava continuamente di non permettere che la disperazione prendesse il sopravvento, di non lasciar trapelare la debolezza, perchè sapeva fin dai tempi dell'accademia, e forse inconsciamente da Tarsus IV, che tra i suoi compiti di comandante rientrava trasmettere all'equipaggio la calma e la sicurezza indispensabili al superamento di ogni crisi. Era il prezzo che pagava per la possibilità di esplorare le stelle: comprimere costantemente la paura, la disperazione, il dolore, la rabbia, per distillarne la forza che gli aveva permesso, fino ad allora, di tenere insieme la nave contro le incognite dell'universo. Nei lunghi anni di preparazione al comando aveva caparbiamente blindato il suo carattere per prepararsi ad esse e soprattutto alle loro conseguenze, per quanto soverchianti potessero essere, ed era fiero di esserci riuscito senza per questo sacrificare la gioia di vivere e la capacità di meravigliarsi. Quello che avveniva quando le porte del suo alloggio si chiudevano era solo affar suo e, occasionalmente, del Dr. McCoy quando questi riteneva che fosse necessario per il capitano lasciarsi indietro un pò di peso per continuare a camminare. Anche se era Spock che, per la sua natura di telepate, aveva potuto realmente incontrare e comprendere la sua mente, e anche se il vulcan era un fratello che aveva scelto, invece di trovarlo, era sempre McCoy il confidente preferito. Era un medico, era, anche lui, un amico fraterno, e aveva una quasi inesauribile riserva di brandy sauriano, che ha la sua utilità terapeutica quando saggiamente utilizzato. Quando il peso delle responsabilità rischiava di fargli dimenticare perchè si trovasse là fuori, Kirk sapeva di poter contare su entrambi e, forse più importante ancora, sapeva che non avrebbe dovuto chiederglielo. E sapeva che, senza loro a metterlo in sicurezza, non avrebbe potuto essere l'uomo che era. Era grato per questo, e per questo amava Spock e McCoy, che avevano realizzato l'ideale di amicizia con il quale era cresciuto leggendo antichi libri d'avventura nelle calde notti estive dell'Iowa.

Anche quella volta, con il loro sostegno, aveva messo in atto tutte le possibili contromisure, aveva trovato in giro per la galassia la ritalina che aveva salvato la giornata e si era chiuso nel suo alloggio per riposare e piangere le vittime dell'epidemia.

Ma mai gli era capitato di passare tutta la notte sulla scrivania, neanche quando il dolore era insopportabile. Neanche quando aveva perso Edith.

Tuttavia non aveva il tempo di occuparsi della questione: il turno alfa stava per iniziare e il suo posto era sul ponte di comando che, lo sapeva, avrebbe curato ogni inquietudine. Quindi, nonostante non si sentisse ben riposato, si infilò nella doccia sonica, indossò un'uniforme pulita e si scrollò il problema dalle spalle pensando fugacemente che in fondo c'è sempre una prima volta. Adesso aveva una nave di cui occuparsi, e solo se la cosa si fosse ripetuta in futuro, e avesse influenzato le sue capacità di comandarla, sarebbe stato il caso di darle qualche importanza.

Emerse dalla sua cabina nel corridoio, irradiando la consueta sicurezza di sè, diretto verso la mensa per la colazione, e nonostante la sua intenzione di mettere da parte la nota stonata con cui si era svegliato, questa gli risuonò, ancora più stridente, durante il tragitto. Perchè ogni membro dell'equipaggio incontrato nel tragitto lo salutava con compassione e tristi sorrisi, e qualcuno addirittura si era spinto a seguirlo con lo sguardo, uno sguardo carico di pietà e affetto che lo metteva in profondo disagio.

Kirk immaginò che l'atteggiamento dei suoi uomini fosse legato al lutto per i compagni morti durante l'epidemia, ora che l'emergenza era terminata: in fondo un'astronave, per quanto grande, non è che una piccola città in cui tutti si conoscono. Pure notò, osservando di sottecchi, che l'equipaggio sembrava riservare esclusivamente a lui la simpatia che si dimostra a chi ha subito una perdita.

Qualcosa non andava, lo sentiva nello stomaco. Non era un mistero per nessuno a bordo dell'Enterprise che il Capitano si faceva personalmente carico di ogni vittima, a torto o a ragione.

Ma nelle altre occasioni in cui l'esplorazione aveva preteso il suo pedaggio di morte, l'equipaggio mai aveva manifestato tanto apertamente la sua vicinanza al comandante, perchè ne conosceva la riservatezza, il bisogno di affrontare da solo il dolore. Allora, con mille piccole attenzioni che intenerivano Kirk e ne rafforzavano la volontà, sia pure velleitaria, di non perdere più nessuno, l'equipaggio con discrezione lo ringraziava per aver limitato i danni.

La sensazione di allarme che lo attanagliava dalla mattina si espanse ancora quando Kirk notò l'assenza di Spock nella mensa. Non che fosse un obbligo per gli ufficiali superiori consumare la colazione insieme, ma negli anni era diventata una piacevole consuetudine iniziare la giornata con qualche chiacchiera disimpegnata tra veterani che avevano condiviso pericoli e gioie. Anche se Spock non partecipava spesso attivamente alla conversazione, Kirk trovava la sua silenziosa presenza rassicurante. Invece quella mattina al solito tavolo un pò isolato dagli altri, tradizionalmente il tavolo del team di comando, c'erano Scott con la testa affondata negli articoli scientifici, soltanto una tazza di caffè bollente davanti, e McCoy stranamente silenzioso che non sollevava gli occhi da quello che il sintetizzatore di cibo interpretava come delle uova strapazzate.

Uhura, Sulu e Chekov avevano completato il pasto, e nel recarsi sul ponte lo salutarono con lo stesso sguardo comprensivo di tutti che cominciava ad irritarlo e preoccuparlo, perchè non ne capiva la ragione.

Quindi era un Kirk in allarme giallo quello che raggiunse i due ufficiali portando un vassoio con cappuccino, biscotti e succo d'arancia, o quel che diavolo sembrava al sintetizzatore.

"Buongiorno, signori", esordì con un sorriso senza lasciar trasparire l'ansia.

"Capitano", grugnì Scott alzando solo per un attimo uno sguardo finalmente senza ambiguità.

"Jim", salutò con inusitata dolcezza McCoy, ricambiando il sorriso e aggiungendo subito "Come sta?"

"Sono stato meglio. E lei?", rispose, dimenticandosi del suo disagio davanti a quello evidente del dottore, che dopotutto era colui che durante la febbre rigelliana aveva sopportato il carico più gravoso. McCoy aveva mangiato a malapena e solo quando Chapel lo aveva costretto, aveva dormito nei ritagli di tempo, aveva lottato con tutte le sue forze contro una malattia orrenda e aveva perso più volte di quante potesse sopportarne. Impotente, non aveva potuto fare altro che vegliare un'agonia dietro l'altra, giovani della cui fine avvertiva il peso nell'anima. Il senso del suo lavoro era curare le persone, non accompagnarle al decesso, dannazione! Malgrado gli anni, l'esperienza, il costante contatto con il dolore e la morte avessero coltivato su di lui un sano guscio di durezza, osservare un'agonia senza poter fare nulla era una cosa che ancora lo angosciava profondamente.

Kirk poteva chiaramente vedere un'ombra di barba sul volto del dottore, smagrito in quei pochi giorni, le occhiaie ancora più profonde, la tristezza nell'intera sua figura. Gli mise una mano sulla spalla e inconsciamente gli dedicò lo stesso sguardo affettuoso che finora aveva subito, cercando parole non banali che non trovò.

"Non è stata colpa sua, Bones, non poteva farci nulla. Ha salvato la vita di tutti diagnosticando la malattia e sviluppando la cura. Dovrebbe pensare che ventitrè malati gravissimi sono sopravvissuti grazie a lei."

McCoy sollevò uno sguardo sofferente, sorrise appena e rispose: "Non ci si ricorda mai dei successi, Jim, non sono io a doverglielo dire. Solo degli errori e delle sconfitte".

"Per una volta, lasci che le rubi la battuta", sorrise Kirk, e citò: "Dovrebbe prendere qualche giorno di riposo. Forse dovremmo prenderlo tutti. Quando arriveremo alla base per sbarcare i malati otterrò una franchigia. Conto su di lei, signor Scott, per una revisione completa della nave, e si prenda tutto il tempo che è necessario."

"Sì, signore, grazie, signore!" rispose entusiasta l'ingegnere, per il quale l'ordine del Capitano era praticamente un invito a nozze.

"Può essere una buona idea", concesse McCoy, che appariva leggermente rincuorato. "La impegno ad accompagnarmi nei più malfamati bar della base, ordine del medico. Ne ha bisogno."

"Trova?"

"Beh, è stato un periodo molto faticoso, per non parlare dell'incontro sul pianeta".

Lo stomaco di Kirk si chiuse di colpo. Cosa c'era stato di faticoso nell'incontro con Leonardo da Vinci? Certo era stato snervante l'atteggiamento incoerente che il loro ospite aveva mostrato all'inizio ma, come si dice, tutto è bene quel che finisce bene e alla fine avevano ottenuto la ritalina e anche la promessa che Flint avrebbe condiviso le sue conoscenze. No, Bones stava condividendo il rammarico per gli uomini persi, doveva essere così. Ma in Kirk si insinuò il dubbio che, nonostante i suoi sforzi per apparire perfetto, qualcosa in lui, peggio, qualcosa che non aveva visto, mettendo così in pericolo la nave, convogliasse la convinzione che stava per crollare.

Scott, udite le ultime parole del dottore, salutò compitamente e abbandonò il tavolo con una certa precipitazione. Quello che stavano per dirsi i suoi superiori aveva l'aria di essere strettamente personale, e anche se era tentato, come tutti, di confortare il Capitano (och, nella sua maniera rude, perfino antiquata di gentiluomo delle Highlands, gli aveva fatto tenerezza dal primo giorno, quel ragazzino che sembrava arrivato per caso alla postazione centrale, e aveva dimostrato all'intero universo che era nato per essa), riteneva che, se avesse gradito la sua confidenza, Kirk gliel'avrebbe chiesta. E non era così, tutti sapevano chi godeva di questo privilegio. La cosa non lo disturbava: gli sarebbe piaciuto potersi considerare un amico del Capitano, ma comprendeva perchè Kirk, la vera àncora di tutti, da tutti mantenesse la distanza necessaria al mantenimento della disciplina, e ne ammirava la ferma gentilezza non priva di calore con cui lo faceva.

Kirk registrò la fretta con cui Scott si era allontanato, e gliene fu grato. Si ripromise quanto prima di regalargli una bottiglia di vero whisky scozzese, invece della schifezza che gli permetteva di distillare più o meno clandestinamente nella sala macchine. Poi fissò McCoy diritto negli occhi, e con il suo tono più professionale chiese: "Cosa c'è che non va in me, dottore?"

McCoy sgranò gli occhi azzurri. Per un attimo pensò che il Capitano stesse scherzando, ma Kirk non usava mai quel tono per uno scherzo. Quello era il tono in cui pretendeva una risposta, e che fosse quella giusta. Ma saperlo, quale era quella giusta. Decise di guadagnare tempo.

"Che intende dire?"

Impercettibilmente il Capitano si rilassò: dunque l'occhio clinico di Bones, che a volte poteva essere addirittura fastidiosamente penetrante, non rilevava alcuna anormalità. Pure, gli aveva prescritto a modo suo del riposo. Bones non parlava a vanvera. Ok, qualche volta con Spock parlava a vanvera, anche a sproposito. Non quando Kirk esigeva una risposta dalla quale dipendeva il benessere della nave.

"Perchè pensa che abbia bisogno di riposo?"

"Mi sembra ovvio, dopo quello che abbiamo passato. Non è stata una passeggiata neanche per lei, Jim, non nasconda la sua sofferenza più del necessario"

"Fa parte del gioco, Bones. Vorrei solo aver forzato di più la nave, forse avremmo trovato prima la ritalina e non sarebbero morti tre uomini" Kirk abbassò gli occhi, mentre per l'ennesima volta ripassava, imprimendoli indelebilmente nella memoria, i nomi e i volti di coloro che aveva deluso.

McCoy lo osservò perplesso. Sapeva che il suo amico era uomo di profondi sentimenti e che la fama di dongiovanni che lo accompagnava non gli rendeva giustizia. Certo, se necessario faceva conto sulle sue capacità di seduzione, e accidenti se ne aveva, e accidenti quanto spesso sembrava necessario; ma il più delle volte le usava per sfuggire alla cattività, per cambiare la morte nella possibilità di combattere per la vita. Quando si innamorava, però, era tutta un'altra cosa, McCoy ne era stato testimone durante la terribile avventura con il Guardiano del Sempre. Il lutto che ne era seguito, tanto più penosamente evidente quanto caparbiamente occultato, era stato così profondo che persino l'equipaggio ne era stato contagiato: per dieci giorni la tristezza sulla nave era stata quasi solida, come se la sua anima fosse appassita. In quei dieci giorni Kirk aveva rifiutato ogni contatto extraprofessionale, poi lentamente si era costretto a guarire quando si era reso conto dell'atmosfera che regnava, quando aveva intuito di esserne il responsabile, a colpi di chilometri in piscina, sedute di arti marziali e passeggiate solitarie sul ponte di osservazione a guardare le stelle, finchè un altro pericolo non era venuto a reclamare tutta la sua attenzione. Solo alla fine di quella nuova emergenza, a notte fonda, aveva cercato la compagnia e il brandy del dottore, e aveva finalmente commemorato il suo amore perduto lasciando fluire le lacrime.

Ora non c'era traccia di quella cupezza: la sofferenza di Kirk era fatta di rammarico e autoflagellazione, non di quella schiacciante disperazione nonostante fosse veramente innamorato di Rayna, McCoy lo sapeva. Il Capitano aveva ragione: c'era qualcosa che non andava.

Poi capì, come se l'avesse visto accadere, cosa era successo: Spock. Dannato folletto dal sangue verde! Possibile che dopo tanti anni a contatto con gli umani non avesse ancora capito che non sempre ciò che si dice è ciò che davvero si vuole? McCoy si dette ripetutamente dell'imbecille per avergli, sia pure involontariamente, instillato l'idea di usare una fusione mentale per cancellare la memoria del Capitano: avrebbe dovuto saperlo che Spock avrebbe cercato una soluzione logica, e quale soluzione più logica di questa? Imbecille, mille volte imbecille! Di certo era stata un'iniziativa del vulcan, era molto inverosimile che Kirk gliel'avesse chiesto. Dannazione ai folletti, alla fusione mentale, alle interpretazioni letterali e a tutto l'infame universo!

E adesso si trovava davanti un altro problema: cosa avrebbe dovuto fare? Spiattellare al suo amico la verità, che comunque era solo un suo sospetto, oppure tacere e tranquillizzarlo sul suo stato di salute? Di tutti i maledetti dubbi amletici...!

Risolse di adottare lo stesso atteggiamento che molte volte si era rivelato proficuo quando non gli era chiaro come agire davanti a una patologia instabile: aspettare che evolvesse senza modificarne l'equilibrio. Il suo giuramento gli imponeva per prima cosa di non nuocere, e il medico aveva imparato con gli anni che il più delle volte precipitare le cose per l'ansia di intervenire non era la scelta migliore. Alcuni dei suoi pazienti ad inizio di carriera gliel'avevano insegnato nella maniera peggiore.

“E' tempo di esplorazione, Capitano”, disse con eccessiva allegria. Diavolo, gli riusciva meglio fingere con i pazienti. “Mi troverà in infermeria se avrà bisogno di me”.

Kirk lo salutò con un sorriso e un cenno della mano, e a sua volta si avviò verso il ponte di comando, non del tutto rasserenato. In compenso, ormai decisamente infastidito dall'atteggiamento compassionevole dei suoi uomini, lanciò nel tragitto sguardi fiammeggianti in risposta a ogni espressione patetica che incontrava.

Mentre il turboascensore saliva ai ponti superiori, trasse qualche profondo respiro per calmarsi: era ingiusto nei confronti del suo equipaggio e decisamente poco consono al suo ruolo lasciarsi influenzare. Il problema era un altro, in effetti, solo ora riusciva a focalizzarlo: perchè il suo equipaggio pensava che avesse bisogno di conforto? Kirk non riusciva a trovare una risposta convincente, l'unica che prepotentemente gli era sovvenuta tra un profondo respiro e l'altro era che ci fosse qualcosa che non sapeva. No, che non ricordava: sarebbe stato gravissimo che ci fosse qualcosa che non sapeva, grave al punto che avrebbe dovuto considerare l'ipotesi di essere inabile al comando, e non era così. Una grande astronave non è che una piccola città, si ripetè, e questo significava che radioguardiamarina doveva aver diffuso una voce. Una voce che lo riguardava da vicino e che doveva essere dovuta a un'errata interpretazione dei fatti, come spesso accade per le voci, perchè non ricordava nulla che giustificasse tutta quella empatia. Decise che il logico passo successivo (sogghignò tra sé e sé pensando che forse sull'Enterprise si cominciava ad abusare del termine) era riconsiderare i vari momenti della missione. Perciò colpì, con maggiore veemenza di quanto volesse, il tasto dell'intercom.

“Kirk a ponte”

“Qui Spock, Capitano”

“Ci sono problemi?”

“No, signore. Come da suoi ordini siamo in rotta per la base stellare 12 a warp 4, l'arrivo è previsto in 48,2 ore. Status della nave regolare, tutte le sezioni riportano condizioni standard, nessuna variazione prevedibile al momento.”

Ai suoi tempi, il Primo Ufficiale Kirk si sarebbe limitato a un “No, signore, tutto a posto, signore”. Magari gergale ma non logorroico. Per la prima volta quella mattina Kirk sghignazzò apertamente: era incredibile quanto lo tranquillizzasse il suo amico mettendolo, semplicemente con la voce atona e con la completezza delle informazioni, in contatto con la parte di sé più razionale e meno esposta ai pericoli dell'istinto.

Continuando a sorridere, disse: “Molto bene. Ho bisogno di qualche minuto per me, signor Spock. Mi troverà in sala riunioni se necessario.”

“Ricevuto, Capitano”

Deviò il turboascensore, deciso a porre fine una volta e per tutte a quell'irritante mistero.

Non si accorse del leggero sospiro carico di ansia che anticipò la chiusura della comunicazione.

Nell'interrompere la comunicazione dal suo posto, Spock si girò verso il sedile centrale, tributandogli l'addio.

Stimò in venti minuti il tempo necessario perchè dalla sua vita sparissero i colori di cui l'aveva riempita Jim Kirk. Serrò le labbra e tornò al monotono monitoraggio che rappresentava l'attività routinaria della nave, cercando di controllare il rimpianto che a ondate voleva travolgerlo mentre, a dispetto della sua volontà, ricordava il benessere che gli infondeva sentire di avere un posto nell'universo. Quell'umano unico, con la sua naturalezza, la sua fiducia incondizionata, la sua amicizia mai intrusiva, mai imposta, il suo calore, la sua totale accettazione senza tentennamenti, aveva creato quel posto, aveva fatto di lui un essere completo, alleggerendo il conflitto da sempre in fiamme nell'anima del Vulcan. E ora, perchè non era riuscito a resistere all'illogico impulso umano di farsi carico della sua sofferenza, ingannando quella fiducia cristallina, Spock aveva messo tutto a repentaglio. Per una volta, trascurò di calcolare le infinitesime probabilità di restare a bordo dell'Enterprise, il suo posto nell'universo. Erano già passati due minuti.

  
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