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Autore: amelie_K    18/05/2012    6 recensioni
Non sono sorpresa dalla scelta di Blair, quello che non mi aspettavo è che gli autori decidessero deliberatamente di distruggere caratterialmente qualsiasi personaggio della serie, soprattutto perché siamo a sole undici puntate dalla fine e -a mio parere- c'è un limite alla possibilità di "redenzione".
Non volevo scrivere una storia così cupa e tragica, ma è stata l'unica alternativa dal momento che non volevo nemmeno un lieto fine poco plausibile e smielato.
La storia è ambientata qualche anno dopo l'ultima puntata della quinta stagione, quando i nostri protagonisti hanno 24 anni. Dan e Blair -in una spiacevole circostanza- si trovano ad avere una breve conversazione dopo tanto tempo dall'ultima volta che ne avevano avuta una.
Piccolo chiarimento: quello che volevo mettere in risalto dei personaggi è che si tratta di antieroi incapaci di affrontare situazioni e paure che ne derivano, paralizzati nel compiere qualsiasi azione, reazione, scelta. Cinici ed egoisti. Piccoli. Sicuramente non straordinariamente cattivi, dal momento che di straordinario non hanno nulla, anzi. La loro caratteristica principale, semmai, è la mediocrità; questa trova sempre il modo di ridurli spalle al muro, per quanto vivano in un contesto così privilegiato.
[se vi va, leggela con sottofondo Goodnight, Travel well dei Killers.]
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Dan Humphrey
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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E così erano lì, Dan Humphrey e Blair Waldorf, per un attimo come se il tempo non fosse mai passato.

O meglio.
Come se non fosse mai arrivato.

Come se non ci fosse mai stato il momento in cui si erano annusati più a fondo e si erano piaciuti: i baci, gli abbracci, le promesse. Niente. Come il libro non fosse mai stato scritto, e la neosposa disperata non fosse mai scappata nella macchina Oggi sposi con il testimone. E prima ancora, le chiacchierate, i film e i bisticci...nemmeno il disprezzo, lo scrutarsi da lontano, il trovarsi spiacevolmente coinvolti a condividere gli stessi spazi, la stretta di mano che li aveva presentati: niente sembrava mai essere stato reale, e niente sembrava essere rimasto nei loro ricordi.

Prima dell'odio, l'indifferenza.

Eppure – se lo chiedeste in giro – qualcuno se ne ricorda ancora, per quanto tutti sembrano solo volerlo dimenticare. Erano stati una coppia, ed erano rimasti in stallo in questa inappropriata situazione – loro fermi da una parte, il mondo a scorrere dall'altra – per un po'. Cos'erano in fondo? Due cliché titanici, ridicoli, patetici. Il ragazzo solitario di Brooklyn e l'ape regina dell'Upper East Side. I tempi erano cambiati e nel secolo in cui vivevano, il mondo non trovava più magnificamente romantica l'unione di due realtà agli antipodi, il mondo la trovava inopportuna, anacronistica, perfino noiosa. Cos'è questa, una scialba versione di Romeo e Giulietta? E così era già finita. Silenziosa come era cominciata, non c'era stato spazio per un pianto, un addio, un ultimo bacio o una futile spiegazione: si era perso così tanto tempo a star fermi che bisognava andare avanti, recuperare il distacco.

Una volta, lei aveva provato ad avvicinarlo – quello che dovete avere ben chiaro, è che era stata lei ad andarsene, una notte: ammettiamolo, si era detta, chi è che sceglierebbe una sola persona al mondo intero? – aveva farfugliato qualcosa, ma lui non le aveva lasciato il tempo.

Lui – buon'anima, lui non si era nemmeno accorto di quali fossero gli schieramenti, prima che lei semplicemente smettesse di presentarsi – le aveva risparmiato l'imbarazzo.
Tieni  aveva detto porgendole un manoscritto – credo che questo ti descriva molto meglio di Inside.
L'aveva lasciata lì, un'ultima volta in stallo, con gli occhi lucidi e la sua aria fastidiosamente melodrammatica. Non voleva sentirla supplicare per qualcosa che nessuno dei due voleva più, e quasi per compassione aveva aggiunto – Ho fatto sesso con Serena, quella notte. Forse è sempre stata lei l'amore della mia vita. Adesso che siamo pari, vattene. Aveva chiuso la porta senza provare niente.
Pensando all'epilogo del loro rapporto gli era venuta in mente una sola frase, di Palahniuk: avevo voglia di distruggere tutte le cose belle che non avrei mai avuto.

Lei aveva letto il libro. Era orribile. Lei, in quel libro, ne usciva fuori orribilmente. Come tutti gli altri personaggi, solo un po' peggio. Aveva pensato che lui fosse cambiato, o che non l'avesse mai capita: Ho fatto la scelta giusta, ho scelto Chuck.

Lui pensava che lei non fosse mai esistita.

Per un po' erano tornati ad odiarsi, poi la natura umana aveva svolto il suo compito di ridurre gli sprechi di energia in emozioni inutili, e così avevano perso anche quella ferocia. Si erano impegnati nelle proprie vite e avevano smesso di pensarsi, abbandonando ogni riflessione spietata o consapevolezza.

Dopo l'odio, l'indifferenza.

Blair Waldorf dirigeva le industrie di sua madre, ma era ancora alla ricerca di una stilista. Ultimamente il suo futuro sposo – Chuck Bass – aveva avuto dei problemi emotivi-finanziari – oh no, non stupitevi di quanto le due cose siano collegate nell'UES – con suo padre, e Blair aveva dovuto rallentare un po' la sua ricerca per aiutare la persona che amava.

Dan Humphrey ormai non amava nessuno di quelli che aveva intorno, per cui non aveva avuto molte distrazioni che gli impedissero di scrivere. Presto era uscito il suo secondo libro Monarchia di Manhattan e da quando era stato pubblicato – con sua grande soddisfazione – non gli era rimasto quasi nessuno intorno. Da quel momento trascorreva le sue solitarie giornate tra alti e bassi – ogni cosa filtrata da quel cinismo che aveva maturato pian piano negli anni – ormai non si sentiva più destabilizzato dagli eventi.

Non che Blair fosse meno sola. Mamma e fidanzato a parte, non aveva dei veri e propri amici da quando erano finite le cose con Dan. Per questo in un primo momento aveva sperato di poter recuperare l'amicizia con il ragazzo, ma poi quel libro e quella conversazione abbozzata l'avevano fatta ricredere: aveva voltato le spalle alla porta del suo loft e si era preparata a medicarsi la ferita lasciata dall'ennesima coltellata alle spalle.

Quella che una volta era la sua migliore amica, Serena Van Der Woodsen, era ricaduta in certe cattive abitudini comprendenti alcool, droga, uomini. Blair non era sicura gliene importasse. Non era sicura di volersi prendere cura di qualcuno – oltre a Chuck – e, nello specifico, di colei che nel giro di qualche anno si era portata a letto due suoi diversi ragazzi. In ogni caso pensava che per la bionda sfavillante Serena, questo momento di crisi sarebbe durato poco, e che presto sarebbe ritornata in pista più smagliante che mai.

Invece man mano che il tempo passava, Serena sembrava sempre più incastrata nella spirale delle sue pessime abitudini. Blair seguiva la sua storia dai giornali scandalistici, e sentiva maturare in lei il bisognodi perdonarla, di riprendere l'amicizia e portarla via da lì. Eppure ogni volta che si proponesse di fare qualcosa di concreto sembrava esserci qualcos'altro a bloccarla.
Chiamala paura, chiamala angoscia di dover rivivere situazioni del passato.
Voleva uscire di casa e citofonare al piccolo appartamento che la bionda aveva preso in affitto, ma arrivata a metà strada tornava indietro estenuata. Così decise di imporsi di percorrere quel percorso ogni giorno, e ogni giorno fare qualche passo in più in direzione della meta finale. Il giorno in cui riuscì a citofonare a casa della sua migliore amica non le rispose nessuno, e tornò a casa con vergognoso sollevamento.

Qualche tempo dopo realizzò che, mentre lei pigiava quel campanello, a pochi metri Serena doveva aver da poco esalato l'ultimo respiro. Una buona ragione per non averle aperto la porta.

L'unico che aveva provato a stare vicino a Serena nei suoi ultimi mesi, era Nate. Ma Nate non era mai stato abbastanza per lei, e non era riuscito a salvarla. Era morta a ventiquattro anni per overdose, e nessuno che non peccasse di ipocrisia avrebbe potuto dire di non averlo messo in conto.

Così torniamo al punto focale della nostra storia, a Dan Humphrey e Blair Waldorf lì – per un attimo come se il tempo non fosse mai passato – al funerale di Serena Van Der Woodsen, rispettivamente l'amore della sua vita e la sua migliore amica.

L'accoglienza nei confronti dei due fu gelida.
I genitori di Serena abbandonarono la sala, Nate non li guardò nemmeno in faccia, e anche Chuck tentennò prima di stampare un bacio a stampo sulla fronte di Blair: Devo andare da Lily, ha bisogno di me, capisci?

Blair aveva annuito, distrutta. Era combattuta. Anche lei aveva bisogno di lui, glielo avrebbe voluto dire: resta. Ma Lily era l'unica persona che Chuck definisse come sua famiglia, DOVEVA essere lì per Lily. Blair avrebbe voluto stare al loro fianco, ma sapeva di non potere. La donna non le avrebbe mai perdonato il suo disinteresse per Serena nell'ultimo periodo. Insomma, Blair e sua figlia erano sempre state legate, si erano sempre fatte forza l'un l'altra e Blair non ci aveva pensato due volte ad abbandonarla. A Lily dovette sembrare imperdonabile. A tutti, dovette sembrare imperdonabile. Ci pensò su: Come aveva fatto a diventare tutto così sbagliato in così poco tempo? Perché? La ragazza voleva solo piangere, ma non poteva attirare su di sé l'attenzione.

Dan le si avvicinò con cautela, le si sedette accanto e rimase in silenzio.

Di nuovo, erano immobili mentre tutti gli altri intorno – il mondo – si muovevano freneticamente, in posizione di stallo, condannati dai loro stessi egoismi, questa volta.

Fu quasi naturale, per i due, instaurare una conversazione.
La prima a parlare fu Blair.

- Pensavo che saresti stato tu. Pensavo sareste tornati insieme e le avresti fatto riscoprire chi fosse, proprio come avevi fatto con me.
- Ed io pensavo sareste tornate amiche, che avreste superato anche questa. In fondo, non è che tu avessi scelto me. Avresti dovuto perdonarglielo.

Blair annuì nuovamente, senza poter più trattenere le lacrime:
- Già, e invece non l'ha salvata nessuno. È morta. E la cosa peggiore è che non abbiamo fatto niente, perché eravamo così presi a pensare di essere stati traditi e di soffrire e...
- Quando siamo diventati dei mostri?

Blair si guardò intorno senza sapere cosa rispondere. Cosa sarebbe successo. Dove andare. Si vide senza via d'uscita.
Dan la guardò e capì di poterglielo dire: – La notte prima, Serena era venuta da me.
Blair rimase in silenzio, lasciandolo parlare – mi aveva supplicato di perdonarla, di tornare ad essere almeno amici. Diceva di aver bisogno di me, e io le avevo risposto che non era vero. Che doveva darsi una ripulita e riprendere in mano la sua vita, e smetterla di piangersi addosso. Ma che non aveva bisogno di me, avrebbe trovato il modo di sistemare tutto anche senza. Le ho detto che mi dispiaceva, ma che non ero io la persona da cui andare. Che...che non mi sarei mai più potuto innamorare di lei.

Non c'era espressività nel tono di Dan, doveva essersi ripetuto quella conversazione così tante volte nella sua testa, che aveva perso ogni significato. Blair gli afferrò la mano istintivamente.
- Non è colpa tua, non è colpa di nessuno.
- È colpa nostra, Blair. Non lo vedi? Per tutto questo tempo, non ho fatto altro che essere segretamente innamorato di te. Che fossi tu, o Clair, aveva poca importanza. Dal momento in cui ti avevo perso, mi bastava soltanto l'idea di te. Chissà perché poi, chissà se può essere un attenuante...
- Dan mi dispiace, non avrei mai dovuto...e poi sono scappata perché sapevo che dividendo il mio tempo tra te e Chuck, non avrei mai saputo scegliere. E tu meritavi così tanto di più...

Dan le fece cenno di tacere, con garbo. Mentre si alzava, le sorrise tristemente un'ultima volta.
- Visto quello che sono diventato, suppongo che alla fine ci meritavamo a vicenda.

  
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