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Autore: Flexum Sci_Fi    20/05/2012    2 recensioni
Questa è la prima storia che pubblico su questo sito, spero che vi piaccia. Anche se sono ormai quattro anni che scrivo, fin'ora l'ho sempre fatto per me stesso. Quando ho scoperto l'esistenza di questo sito mi sono precipitato a visitarlo, mi ha fatto una buona impressione e ho deciso di fare un tentativo con questa storia. Risale a qualche anno fa, quando ero alle prime armi, e non credo sia il massimo dell'intrattenimento. Forse è un po' ingenua, dal punto di vista contenutistico, e potrebbe essere carente anche sul fronte grammaticale, sempre perché l'idea risale a quando avevo quattordici anni. Tuttavia ho fiducia in me stesso e credo che, con le correzioni che ho apportato di recente, il racconto possa essere gradevole da leggere. Ma passiamo a qualche accenno sul contenuto.
Si tratta di un racconto breve, di genere fantascientifico, che ho scritto sperando di avvicinarmi al cyberpunk che tanto mi affascina. Con lo svilupparsi della storia ho notato che il tutto ha assunto una sfumatura distopica (un po' orwelliana, alla "1984", per intendersi). Il racconto tratta di un gruppo di rivoluzionari armati di macchine fotografiche, che danno noia agli esponenti del governo assolutistico che vige.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AW

Admin-Watching

Il bianco palazzo della corporazione torreggia sulla piazza affollata. Facendomi strada fra la gente, raggiungo l’ampia gradinata antistante l’ingresso dell’edificio. Qui la folla è molto più rada: l’afflusso di persone alla hall del grattacielo è estremamente ridotto. Strano che un luogo tanto importante sia così poco affollato. Occasionalmente, uomini eleganti, privi d’espressione, varcano la soglia dell’atrio ed escono dall’edificio, altri vi entrano. I vetri a specchio si richiudono immediatamente alle loro spalle, impedendo l’ingresso di chiunque non sia autorizzato. Le pareti incolori del colosso architettonico salgono verso il cielo per alcune centinaia di metri, senza mai essere interrotte dai vetri di una finestra: l’edificio è costituito da un unico candido parallelepipedo di liscio materiale plastico. L’unica interruzione della sua superficie è costituita dai pannelli scorrevoli dell’ingresso.

Quando mi trovo a meno di un metro dalla porta, questa riconosce il mio pass cerebrale e si apre velocemente, senza produrre alcun suono. Varco la soglia e le porte si chiudono. Mi trovo nell’ampio atrio dell’edificio: anche negli interni prevale il bianco. Una tiepida e incorporea voce femminile risuona nella mia mente: Utente sD-12/K3a, la rilevazione dei suoi dati biometrici è stata completata. I suoi dati biometrici coincidono con le informazione del suo pass cerebrale. Il suo accesso è stato consentito. Tutti i dispositivi elettronici che ha con lei sono stati disattivati. In tal modo sarà garantita l’incolumità degli altri Utenti. Le sue azioni saranno costantemente monitorate per tutta la sua permanenza presso l’edificio. Buona giornata.

Cammino verso gli ascensori. Il pavimento dello spazioso atrio è coperto di lucide piastrelle di un color grigio chiarissimo, che non si discosta più di tanto dal candore accecante delle pareti e del raro mobilio. Il soffitto è rivestito con una vernice fotogena la cui intensità di emissione è regolata dal computer centrale. Quando raggiungo la porta dell’elevatore, quella si apre automaticamente ed io vi entro, dopodiché ordino all’IA di portarmi al penultimo piano, ossia nel punto più alto che esso può raggiungere. Il magnete sottostante la cabina si aziona sospingendo l’abitacolo verso l’alto, e in pochi secondi raggiungo la meta. La voce incorporea torna ad invadere i miei pensieri: Livello -1. Anticamera. Utente sD-12/K3a, si serva delle scale per raggiungere il Piano Amministrativo.

Le porte scorrevoli dell’ascensore si aprono con uno sbuffo ed io muovo un passo verso l’Anticamera del Piano Amministrativo. Vengo investito da un’inconsueta luce azzurrina. Aggrotto la fronte, dubbioso: che si divertano a dipingere le stanze con i colori più disparati? Qui, i muri sono nero pece: l’unica fonte di luce è uno stretto tubo turchese al neon che corre lungo tutto perimetro del soffitto. Abbandono l’ascensore e le porte di quest’ultimo si chiudono alle mie spalle. Allora mi dirigo verso la stretta rampa di scale che porta al Livello 0. La rampa in questione ha un’inclinazione ottimale di 45° gradi ed è costituita da numerosi gradini. Di tutti quei gradini, i primi dodici, ossia quelli visibili stando nell’anticamera, sono spogli; dal tredicesimo in poi, in ogni spigolo è incorporato un corto neon azzurro che illumina soffusamente l’ambiente. I neon del trentaduesimo gradino si allungano verso l’alto, seguono verticalmente le pareti unendosi al centro del soffitto, a formare un arco. Quando supero la volta luminosa vengo scosso da un brivido che mi attraversa la spina dorsale dal basso verso l’alto. Ignoro la sgradevole sensazione e salgo i sedici gradini che mi separano dalla porta nera contrassegnata da uno “zero” blu al neon.

Finalmente giunto al Livello 0, varco la porta appena aperta e torno ad annegare nel biancore obliante caratteristico del pianterreno. L’unica differenza è che ora mi trovo trecento metri più in alto. Mi restano da salire tre gradini, resi quasi invisibili dall’omogeneità della luce che pervade la stanza. A breve, il tavolo dei “pezzi grossi” sarà entro il mio campo visivo. Mentre pongo il piede sul primo dei tre gradini, la voce s’impossessa nuovamente dei miei emisferi cerebrali: è stato rilevato un errore. L’Utente sD-12/K3a è già presente presso il Piano Amministrativo.

Nell’edificio è presente un intruso.

Mi accorgo di aver percepito le ultime parole per mezzo delle orecchie: la voce non si limita più soltanto alla mia mente, ma sta diffondendosi nell’aria della stanza per mezzo degli altoparlanti nascosti nelle pareti. Chiunque potrebbe udire queste parole. Sanno della mia presenza.

L’intruso si trova presso il Piano Amministrativo.

La voce si spegne lasciando spazio al fastidioso urlo di una sirena, la vernice fotogena cambia colore e il soffitto s’illumina di rosso lampeggiando con insistenza. Fra uno squillo e l’altro, odo alcuni stralci delle imprecazioni furiose dei “pezzi grossi” che abbandonano il tavolo per mettersi al sicuro. Salgo rapidamente gli ultimi scalini e mi lancio all’inseguimento delle mie prede. Attorno al lungo tavolo grigio chiaro, metà delle sedie sono riverse a terra. Quei codardi degli Amministratori, i cosiddetti “pezzi grossi”, stanno correndo con evidente agitazione attorno al tavolo. Mi concedo alcuni secondi per godere delle loro espressioni spaventate, dopodiché estraggo la mia ImmaGun 2200. È molto gradevole alla vista: l’impugnatura polimerica nera si adatta perfettamente alla mano e il largo grilletto color antracite è talmente liscio che tenerci sopra il polpastrello dell’indice è un piacere. La canna zigrinata dell’arma è leggermente conica e talmente candida da confondersi col biancore delle pareti e far sembrare che stia impugnando solo il calcio. Due solchi cuneiformi seguono la canna per tutta la sua lunghezza divenendo più profondi con l’avvicinarsi dell’impugnatura.

Quando tendo il braccio destro mirando all’uomo che mi appare più ridicolo, quello alza gli avambracci per proteggersi il viso e inciampa in una sedia, rischiando seriamente di cadere a terra. Sorrido e premo il grilletto. L’uomo lancia un urlo stridulo che non si distingue più di tanto da quello della sirena, poi si butta volontariamente sul pavimento coprendosi la testa con le mani strette dietro al nuca.

Soddisfatto del mio lavoro, rinfodero la mia pistola fotografica e me la do a gambe con un ghigno stampato in faccia: sto visualizzando la foto nel mio display retinico e la trovo molto divertente. Gran parte del merito va sicuramente alla mia ImmaGun di ultima generazione. Il primo modello di IG era nato nell’ambito giornalistico e non si trovava sul mercato: era utilizzato dai reporter di guerra che avevano lavorato sui campi di battaglia durante i conflitti consumatisi in Africa alcuni anni fa. Poi una multinazionale belga aveva comprato i diritti e rielaborato i progetti originali, adattato le pistole ad un utilizzo amatoriale e diffuso una grande quantità di queste merci sul mercato globale. Le ImmaGun erano immediatamente divenute accessori di grande tendenza e lo erano rimaste per alcune settimane, dopodiché il fenomeno si era notevolmente ridimensionato, pur non tramontando del tutto. Gli Admin-Watchers erano nati proprio in quel periodo, come movimento di protesta.

Di questi tempi, del governo si può dire qualunque cosa tranne che sia trasparente: il Presidente Supremo sale al potere secondo una procedura sconosciuta e governa per svariati decenni senza mai rivelare il proprio volto ai cittadini, sceglie personalmente gli uomini che lo rappresentano in ciascun distretto, e prende decisioni senza il consenso della cittadinanza. L’elemento più caratteristico della situazione è l’alone di mistero che avvolge i visi dei governatori: nessuno sa che aspetto abbiano. Nel linguaggio colloquiale, infatti, la gente indica l’attuale situazione politica con l’espressione “Regno dei Senza-volto”. Le uniche persone che osano opporsi siamo proprio noi Admin-Watchers, costantemente braccati dalle autorità, con le nostre fedeli ImmaGun e con tutto il resto della nostra strumentazione Hi-Tech.

Certo, perché l’ImmaGun è solo la punta dell’iceberg: il mio equipaggiamento è composto da una mezza dozzina di gadget ad alta tecnologia che mi sono procurato tramite il Mercato Nero. Falsificatore di dati biometrici, per emulare i dati altrui e far credere al rilevatore che sia realmente la persona per cui mi sto spacciando, Disturbatore di campo magnetico, per impedire al sistema di sicurezza di disattivare tutta la mia strumentazione…

Corro più veloce che posso, ripercorrendo a ritroso la strada che ho fatto per raggiungere i pezzi grossi: presto il sistema di sicurezza sbarrerà tutte le porte ed io rimarrò chiuso in qualche stanza, in balia delle mitragliatrici di sicurezza, e sarò ucciso. Accade quando raggiungo l’Anticamera: bloccato nella stanza dalle pareti scure, immerso nella luce azzurra dei neon, scalcio furiosamente contro la porta scorrevole dell’ascensore. Quella non vuole decidersi a lasciarmi entrare: sono spacciato.

Questo è ciò che vi lascio, amici. La mia eredità. Il frutto di vari mesi di preparazione e di pochi minuti di pura adrenalina. Alla faccia vostra: nessuno era ancora riuscito a scattare una foto così ridicola. Fatevi quattro risate in mio ricordo e continuate a combattere.

Penso a queste parole mentre, per mezzo del mio DCN (Dispositivo Cerebrale di Navigazione, ndr) diffondo la foto nella Matrice perché tutti possano vederla. Perché è questo il compito di noi Admin-Watchers. Un secondo dopo, nel soffitto si apre una fessura e ne esce una densa nube di nano-macchine, le quali si aggregarono tra loro a formare la canna di una mitragliatrice di sicurezza. Mostro il dito medio alle telecamere invisibili che sorvegliano la stanza. Il lampo sulla bocca di fuoco è l’ultima cosa che vedo. Nessun proiettile, nessun rumore: perché i proiettili, e anche il suono, sono più lenti della luce.

Luce. Finalmente la vedo. Vedo la Matrice. Gli schemi di numeri che vorticano all’impazzata lungo linee rette, su pareti infinite ed infinitamente lontane. Un IA che ho predisposto quando ero vivo entra in azione proprio in questo momento, attivata dall’improvviso appiattimento della linea del mio elettroencefalogramma. E l’IA inizia immediatamente a registrare la mia ultima avventura: scrive, come se stesse battendo a macchina. Inchiostro virtuale s’imprime su fogli di luce che sfrecciano verso i limiti della Matrice. E in men che non si dica, la storia è pronta. Pronta per essere letta. Il reso conto della morte di uno dei più grandi AW della storia entra così a far parte della letteratura, in un mondo in cui i testi che parlano di liberta e ribellione vengono cancellati per sempre dalla Matrice.

 

 

  
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