Parasol
Since the call I haven’t
moved
I stare at the wall knowing
at the other side
The storm that waits for me.
–
Parasol, Tori Amos –
Correva
un caldo giorno dell’ottobre del 2009.
Alessio e Massimo si erano trasferiti da circa un mese, un mese e mezzo
a Roma
da Modena. Erano ancora un po’ spaesati dopo il
trasferimento: di fondo, si
trattava di abituarsi a una città che non era proprio a
misura d’uomo. Cioè, lo
era, ma non era una città come Modena, che si poteva girare
in poche ore, era
la Capitale. Con pochi minuti di ritardo, durante l’orario di
punta, con tutta
probabilità Alessio non sarebbe nemmeno riuscito ad andare
in università. Era
una vita più complessa, caotica, ma senza dubbio la stava
apprezzando. In quel
momento non aveva nemmeno particolari impegni studenteschi. Appena due
settimane prima, infatti, aveva fatto il test d’ingresso e
aveva iniziato da
pochissimo i corsi. Era sceso in anticipo, ma solamente
perché Massimo aveva
avuto il test un mese prima di lui: aveva approfittato in quel periodo
della
possibilità di girare un po’ per Roma. Lo faceva
spesso, da solo o
accompagnato. Aveva conosciuto, in quel palazzo, solamente alcuni dei
coinquilini più anziani, tra cui l’attempata
signora Bellegra del piano di
sotto, una vecchina ottantenne, un po’ sorda, che aveva
invitato qualche volta
Alessio a prendere un the, raccontandogli di essere cresciuta in quel
quartiere, all’epoca ancora di periferia. Era particolarmente
legata a un
parasole bianco che le aveva regalato il marito prima di morire, tre
anni
prima. Quando l’aveva vista girare per i parchi nella zona,
in quel periodo, si
era accorto che la donna raramente si separava da esso. In ogni caso, a
parte
lei, aveva conosciuto una coppia con una bellissima bambina di quattro
anni che
abitava al primo piano, mentre non era mai riuscito a beccare
l’abitante
dell’appartamento di fronte. Dai rumori che sentiva la sera,
quando si metteva
a guardare le serie TV la sera, sembrava essere un ragazzo solo,
probabilmente
anche lui trasferitosi a Roma per studiare. Ogni volta che collegava le
parole
“Roma” e “studiare”, pensava
sempre alla terribile litigata che aveva provocato
quando aveva deciso di andarsene a Roma a studiare Scienze Politiche.
Più che
altro, il trauma era per Scienze Politiche: nell’ambito di
un’intera famiglia
di avvocati giurisprudentini,
studiare in una facoltà succursale di Giurisprudenza, che in
più era anche
notoriamente la facoltà dei fancazzisti…
no, grazie.
Il
nonno e il padre non avevano apprezzato la nuova
“stranezza” del figliol e nipote prodigo e, alla
faccia delle parabole
cristiane, non credevano che si sarebbe redento e sarebbe tornato a
implorare
perdono con la coda tra le gambe. Alessio non avrebbe mai detto di aver
commesso un errore perché non stava sbagliando. Diventare
avvocato non gli
interessava minimamente, preferiva senza dubbio studiare qualcosa che
gli
interessasse di più, e intimamente desiderava iniziare a
insegnare. Non gli
interessava che le possibilità fossero poche, o che si
sarebbe dovuto fare un
mazzo tanto: era partito per Roma con tante speranze e molti sogni,
nonché con
il debole appoggio di Eva che, senza dubbio non si riteneva
soddisfatta, ma
d’altro canto continuava a sostenerlo. La convinzione del
ragazzo era dura da
scalfire, e raramente la donna l’aveva visto, testuali
parole, “così
determinato”. Lo sprone era stato anche dovuto al fatto di
non partire da solo,
ma con Massimo, tanto che la questa non era sembrata un trasferimento,
ma più
una gita fuoriporta un po’ lunghetta. In realtà,
però, il trasferimento aveva
comportato una fine. Non soffriva più come quando si erano
lasciati, ma senza
dubbio felice non era. Era stato molto pesante sopportare
l’assenza di Davide,
almeno i primi giorni, ancora prima che fosse partito per Roma. A Roma
non ci
aveva pensato, troppo occupato a sistemare tutto secondo il suo gusto e
a
iniziare a sbrigare le questioni, ma c’erano mattine in cui
svegliarsi e non
trovare la foto sul comodino, oppure un messaggio di buongiorno, era
stato
pesante. Non avrebbe cercato per un po’ nessun ragazzo con
cui uscire, perché
l’amore era ancora troppo – chi
mai
avrebbe detto che avrebbe continuato a lasciare persone che stesse
amando? –
per cercare di distrarsi. Poi, non pensava che Massimo avrebbe
apprezzato di
trovarsi qualche maschione a scopare per casa. Che poi, a dirla tutta,
non è
che avesse tutta questa voglia di sesso, anzi. Sarà stata la
nefasta influenza
etero di Massimo, ma non pensava a nessun uomo in quel momento, come
l’altro,
per l’altrettanto nefasta influenza sua, non pensava ad
alcuna donna.
Aveva
già conosciuto due o tre ragazzi gay, lì in
facoltà, ma l’avrebbe scoperto più
tardi: in fondo, chi poteva essere certo
dell’atmosfera, omofoba o meno, che vigesse nel sistema
universitario e, in
particolare, in quella facoltà?
Fu
proprio quel giorno d’ottobre a conoscere
seriamente un primo ragazzo, più che gli incontri in
università. Tanto più
considerando che, delle persone che aveva conosciuto i primi giorni,
continuò
successivamente ad avere un rapporto più stretto solo con
Adolfo.
Insomma,
in quel giorno di ottobre, attorno alle due
del pomeriggio, Alessio uscì sul pianerottolo, sentendo
urlare mostruosamente
la signora Bellegra. Si spaventò a morte, considerando che
sembrava che stesse
soffocando. Uscì di corsa, mentre vide uscire
dall’ascensore Massimo che stava
rientrando in quel momento dall’università. Anche
la faccia di Massimo era
abbastanza sconcertata, tanto che si affacciò sulla tromba
delle scale per
cercare di capire cosa stesse accadendo. Nello stesso momento
uscì dalla porta
di fronte un ragazzo che lasciò raggelato Alessio.
Biondissimo, un po’ come
Adolfo, ma alto e slanciato, carnagione chiara se non quasi slavata, e
un paio
di occhioni marroni.
–
Che è successo? – chiese il ragazzo ad Alessio,
vedendolo già fuori.
–
Non lo so! – rispose, mentre iniziava a scendere
gli scalini. Non urlava più, la signora, e si stava
spaventando a morte. –
Corro a vedere.
–
Vengo anch’io! – fecero in coro il ragazzo e
Massimo.
Scesero
tutti e tre le scale, di corsa, e suonarono
alla porta. Aspettarono due minuti ed erano ormai pronti a chiamare
l’ambulanza
e i pompieri. Bussarono furiosamente alla porta, urlando alla signora
di
aprire, o almeno di dare un cenno per far capire che stesse bene.
Finalmente,
la signora Bellegra aprì la porta, in lacrime, ma sembrava
stare bene.
Il
vicino di casa la abbracciò, dicendole di non far
prendere mai più questi spaventi.
–
Signora, che è successo? – le chiese il ragazzo
biondo, di cui Alessio non sapeva ancora il nome.
–
Ho perso il parasole. Lei sa che era un regalo del
mio defunto marito, per cui l’averlo perso mi manda nel
panico. Ho bisogno di
trovarlo, assolutamente. La prego, signor Antonio, mi aiuti!
–
Non si preoccupi, signora, glielo troverò! –
esclamò il ragazzo, che ora, finalmente, aveva un nome.
–
Aspetta, ti aiutiamo! – propose Massimo,
incredibilmente. Alessio pensò di non aver mai visto Massimo
così propositivo.
Con il senno del poi, forse, avrebbe capito anche la motivazione.
–
Quanto siete gentili, ragazzi. Vi prometto una
torta, se me lo troverete – rispose la signora, asciugandosi
le lacrime.
–
Signora, però ci deve dire che giro ha fatto oggi,
così capiamo dove cercarlo – disse Antonio,
cercando di non far collassare la
signora, sotto il peso dei ricordi.
–
Dunque… ho fatto un giro al parco, sono andata al
supermercato e anche all’edicola, dopo essere stata in
edicola sono tornata a
casa. Pensavo che fosse nel carrellino il parasole, e quando non
l’ho trovato…
– si fermò, pensando di aver detto abbastanza.
–
Che lei si ricordi, ha mai attraversato la strada?
– le chiese ancora. Alessio si domandò se
quest’Antonio non fosse un
investigatore, viste le domande precise e l’accuratezza. Ce
lo vedeva bene nel
cast di Criminal Minds, oh, sì. Sarà forse che se
lo immaginava con quella
specie di nerd secchione – a cui
due
botte le avrebbe date ben volentieri…– so-tutto-io.
Che brutta persona, che sono,
pensò.
–
No, assolutamente no! Odio attraversare la
Nomentana – rispose lei, scuotendo la testa. – Vi
prego, ritrovatemelo.
–
Stia tranquilla, glielo troveremo – le disse
Antonio, prendendole le mani. – Andiamo!
Antonio,
Massimo e Alessio scesero in cortile e
iniziarono a setacciarlo, pensando che magari la signora avesse
inavvertitamente poggiato il parasole accanto all’entrata.
Purtroppo non
riuscirono a trovarlo, per cui iniziarono ad andare in giro a cercare.
–
Penso che l’abbia perso nei dintorni dell’edicola.
Se era certa che fosse nel carrello della spesa, allora dovrebbe averlo
perso
dopo aver fatto la spesa. Altrimenti, come avrebbe fatto a non
accorgersene al
supermercato? – continuò a pensare Antonio, mentre
s’incamminavano verso
l’edicola.
–
Ma sei un detective, Antonio? Hai proprio il fare
da investigatore, sai? – gli disse Alessio, ridacchiando.
– Comunque piacere,
Alessio. E lui è Massimo, il mio coinquilino.
–
Piacere mio – rispose, stringendo la mano ad
ambedue. – Comunque, no, per niente. Sono fissato con i
polizieschi, per quello
lo faccio. In realtà studio al CTF, Chimica e Tecnologie
Farmaceutiche.
–
Oh, figo, davvero! – rispose Massimo, con uno
sguardo che ad Alessio sembrò d’adorazione.
– Io faccio Lettere e Alessio
Scienze Politiche.
–
Bravi. Adesso muoviamoci, abbiamo una missione da
compiere.
Ci
volle una mezz’ora per setacciare l’edicola, il
supermercato e anche il parco. In fondo si accorsero di conoscere la
strada;
d’altronde la signora faceva all’incirca sempre lo
stesso giro, per cui non fu
difficile ricostruire l’itinerario preciso. Si sedettero su
una panchina
davanti al gelataio lì, sotto casa, mentre Alessio
iniziò a sbuffare.
–
Che facciamo? Non penso che lo troveremo, stando
così le cose – si rivolse ad Antonio, picchettando
le mani sulle ginocchia.
–
L’istinto mi dice di aspettare ancora qualche
minuto. Nel frattempo, vi va un gelato? – disse il ragazzo
biondo, preparando
il portafogli. – Offro io!
–
Ottimo. Direi che io me lo prendo. Te, Mà? –
rispose Alessio, alzandosi dalla panchina.
–
Ma sì dai, male non fa – disse l’altro,
sistemandosi i pantaloni che si erano abbassati eccessivamente. Alessio
iniziò
quasi a pensare che Massimo stesse cercando di rimorchiare Antonio con
metodi
da discoteca gay e la cosa lo sconvolse. Vederlo
così… gay lo lasciava di
sasso. Da quando stava cambiando sponda? Ma magari, forse, era solo la
sua
testa da slashista convinto a fargli credere che ci fosse tensione
sessuale da
parte di Massimo nei confronti di Antonio.
Stava
mangiando il suo gelato al pistacchio,
tiramisù e crema catalana – perché
il
buon gusto è un’opinione! –
quando Antonio gli diede una piccola gomitata
per attirare l’attenzione.
–
Eccolo là, – sussurrò
nell’orecchio del ragazzo –
abbiamo ritrovato il parasole.
Alessio
alzò gli occhi e osservò la donna che gli
stava passeggiando davanti. Era una signora distinta, probabilmente sui
cinquanta, con vestiti eleganti che anche da lontano profumavano di
soldi e
snobismo, con uno spolverino blu e una borsa pitonata dello stesso
colore – e
di
pessimo gusto.
In
mano teneva un parasole bianco, che assomigliava
tantissimo a quello della signora Bellegra, ma dopotutto Alessio non ne
aveva
la certezza.
–
Che ne sai che sia quello? – chiese, bisbigliando
anche lui per non farsi sentire.
–
È vestita troppo bene e alla moda per avere un
parasole del genere. Poi c’entra poco con come è
vestita. Dobbiamo riuscire a
toglierglielo.
Alessio
vide la signora attraversare due volte la
strada, come se avesse visto o se avesse riconosciuto qualcuno di
fastidioso –
strano. Antonio saltò in piedi, dicendo: – Ok, so
come fare. Corriamo!
–
Ma sei sicuro? – chiese Massimo, inseguendolo.
–
Certamente, voi fatemi da spalla che parlo io –
gli sorrise il biondo, facendogli un occhiolino.
Raggiunsero
la signora con calma, per non
spaventarla e farla fuggire – anche
se,
con quelle scarpe col tacco di vernice blu sarebbe andata ben poco
lontano, a
confronto con tre aitanti giovinastri.
–
Signora, mi scusi, mi può dire dove ha trovato
questo parasole? È importante – le chiese Antonio,
con un po’ di fiatone.
–
Sono affari miei! Cosa vuoi, mascalzone? Insinui
che l’abbia rubato? – disse arrogantemente la
signora. Alessio rischiò di
scoppiare a ridere, per il trucco osceno verde fino alla tempia e le
sopracciglia alla Moira Orfei. Un bijou.
–
No, non è quello! È che, se è quello
che pensiamo,
porta una sfiga pazzesca – le disse Antonio, con tono
preoccupato. Massimo e
Alessio rimasero raggelati: dove voleva andare a parare il ragazzo?
–
Ma non mi far ridere! – continuò, con il suo tono
supponente, la donna, che iniziò ad allontanarsi, facendo
segni con la mano di
disprezzo.
–
Ha presente il negozio dove vendono questo tipo di
cose, all’incrocio con viale Ionio? È stato
comprato là, cinque anni fa, quando
il negozio stava per fallire. Quando è stato comprato quel
parasole, ha ripreso
a guadagnare. Lei se lo ricorda, il rischio di fallimento?
La
signora si fermò, raggelata. – Cosa stai dicendo,
ragazzino?
–
Che deve stare attenta. Sappia che la precedente
padrona del parasole ha visto morire sia il marito che i figli nel giro
di
pochi mesi. Lo lasci, che porta sfiga – continuò
lui, porgendole la mano.
La
signora fece cadere il parasole a terra e Antonio
lo raccolse, mentre lei fuggì via di corsa, sembrando
più un velociraptor su un
paio di tacchi che una donna. Alessio rimase sempre più
allibito: – Come hai
fatto?
–
Hai visto che ha attraversato due volte la strada?
– chiese il ragazzo, sorridendo amabilmente. –
L’ha attraversata perché ha
visto un gatto nero passare e aveva paura che le incrociasse la strada.
Da lì
ho capito che era superstiziosa e ho giocato un po’ sulla
situazione.
–
E come sapevi del negozio? – chiese allora
Massimo, adorante.
–
Me ne aveva parlato la signora Bellegra un po’ di
tempo fa. Io non sono di Roma, ma di Torino, per cui non avrei potuto
saperlo.
–
E come facevi ad essere sicuro che la signora lo
sapesse? – chiese allora Alessio, sempre più
sconvolto.
–
Culo, semplicemente – sorrise ancora il ragazzo,
sistemandosi i capelli biondi. – Insomma, le andiamo a
riportare sto parasole o
no?
I
tre ragazzi s’incamminarono verso il palazzo, e si
misero a parlare tranquillamente del più e del meno. Massimo
e Alessio lo
invitarono anche a cena, ma quello fu solo il preludio di
un’amicizia – e non solo
quella, per Massimo – che
sarebbe durata molto a lungo.
I have my little pleasures
This wall being one of
these.
-
Parasol, Tori Amos.
Note
dell’autore!
Una
cagata pucciosa e un po’ sherlockiana (io son
preso da Sherlock, l’avevo detto!), ho scritto stavolta.
L’idea mi era spuntata
fuori anche per mostrare altro di Antonio, che comunque non era mai
stato
descritto più di tanto, a differenza degli altri. E cosa
c’è di meglio che
descriverlo se non parlare di com’è iniziata la
loro amicizia? Volevo renderla
particolare, non una conoscenza così, tanto per, giusto
perché si erano visti
sul pianerottolo di casa. Cosa c’è di meglio,
allora, se non farli lavorare
assieme, anche se per un “caso” (prendere molto tra
virgolette questo termine)
da risolvere? Ammetto che è una shot senza pretese,
così, leggerina, calcolando
il sangue e il sudore che ci ho messo per scrivere il nuovo capitolo
(che sì, è
in uscita!), ma non è detto che sia brutta, per questo. Alla
fin fine, ci ho
messo tanto amore per scriverla. Anche se, ovviamente, sta a voi dirmi
cosa ne
pensate.
Comunque,
anche questo è un regalo di compleanno:
nel caso di specie, per il mio adorabile fratellone Anto, che,
nonostante dica
di essere sugli –anta, è giovine dentro, e mi
sembra il regalo minimo. (Anche
perché mi è stato inibito qualsiasi altro
regalo… >_>).
Spero
che ti piaccia, Anto, come spero che piaccia
ai lettori. Chissà, magari è meno idiota di
quello che sembra! :P Comunque,
solito disclaimer: il titolo e le citazioni sono tratte da Parasol,
magnifica
canzone di Tori Amos (sottovalutata forse quanto una buona parte del
CD).
Prendete ed ascoltatene tutti.
Vi
è, però, un’altra dedica, anche se con
qualche…
minuto di ritardo sul compleanno. Era il compleanno della carissima
Giulia
(Unbreakable_Vow), per cui dedico anche a lei questa shot. Anche se
obiettivamente è una cagata, ma tant’è.
:P
Vabbè,
per il resto, ci si riaggiorna nei prossimi
giorni, con il capitolo 10. Ci sarà di che
leggere… :P E se riuscite, una rece,
qua, schifo non mi farebbe, ecco :P
A
presto, allora! Ciao!
-RaspberryLad-